Ci vuole coraggio
Maurizio Bonati
Dipartimento di Salute Pubblica
IRCCS – Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri, Milano
maurizio.bonati@marionegri.it


Nel messaggio di fine anno il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha più volte fatto appello al coraggio e in particolare al “coraggio degli italiani”. Già un suo predecessore, Sandro Pertini, trent’anni prima sempre in analoga circostanza auspicava più coraggio e non solo (“Oggi servono due qualità: l’onestà e il coraggio”, 31 dicembre 1983). Si può dedurne che soffriamo di una carenza cronica di alcune virtù. 
Ci vuole coraggio (determinazione, intraprendenza, perseveranza, audacia) per contrastare, anche in ambito sanitario, iniziative che minano l’interesse e la salute sia del singolo che della collettività. È quanto è avvenuto, anche recentemente, con il disegno di legge del parlamento sulla sperimentazione animale o nella gestione di “stamina”. Oggi alla mancanza di regole condivise e rispettate, di diritti e doveri equamente distribuiti si deve far fronte anche alle difficoltà economiche. In questo scenario la ricerca, in particolare quella biomedica, rischia di essere ulteriormente penalizzata. I Paesi dell’Unione Europea dovranno investire, da qui al 2020, il 3% del proprio Pil in ricerca e sviluppo: l’Italia si è da sempre caratterizzata per gli scarsi investimenti (1,25% del Pil contro il 3,8% della Finlandia) ed è pressoché impossibile che ottempererà al mandato europeo. Nel frattempo molti dei fondi vengono tagliati e quelli stanziati tardano ad essere assegnati e distribuiti per lungaggini burocratiche. La sanità, con la scuola, è il settore privilegiato per effettuare i tagli di spesa appellandosi ora al “Patto di stabilità e crescita” ora alla “revisione della spesa pubblica” ( spending review): due processi di controllo e gestione della spesa pubblica che sembrano calamità abbattutesi recentemente, forse perché sinora in parte disattese essendo il primo del 1997 e il secondo del 2006.
Si assiste oggi, anche per la ricerca biomedica, alla frammentazione e all’aumento della diseguaglianza tra regioni. Sono poche le regioni che investono in ricerca con opportuni bandi di ricerca innovativa e rivolta ai giovani ricercatori: tra queste l’Emilia Romagna e la Lombardia. Gli addetti in ricerca in Lombardia sono 48.033 (21% del totale italiano) e le spese sono pari a 4,4 miliardi di euro (22% del totale nazionale). Sono 8 gli italiani che compaiono nella lista dei primi 400 ricercatori più prolifici, in termini di qualità e quantità, nell’area biomedica: 6 lavorano in Italia, di cui 5 in Lombardia. Si potrebbe desumere che la concentrazione di risorse, seppur poche, aumenta la produttività e la qualità; ma nella ricerca biomedica in cui non solo i risultati ma anche gli outcome delle cure sono parte del processo, concentrare può voler dire privilegiare. Ci vuole coraggio quindi per far meglio con meno: i ricercatori dimostrano di averlo fatto, i decisori non ancora.