Non si muore quando si deve, ma quando si può
Maurizio Bonati
Dipartimento di Salute Pubblica
IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano
mother_child@marionegri.it


È la frase che il colonnello Aureliano Buendía rivolge a sua madre Ursula Iguaràn a circa metà del libro, entrambi morti di vecchiaia: lei ultracentenaria così da conoscere tutti i membri di tutte le generazioni della famiglia, lui che “promosse 32 sollevazioni armate e le perse tutte. Ebbe 17 figli da 17 donne diverse, che furono sterminati in una sola notte prima che il maggiore avesse compiuto 35 anni. Sfuggì a 14 attentati, a 73 imboscate e a un plotone d’esecuzione. Sopravvisse ad una dose di stricnina nel caffè che sarebbe bastata ad ammazzare un cavallo” 1. Così, quest’anno ha potuto morire Gabo (1927). Grande narratore della storia universale, realistica e fantastica. La sua Macondo (nome di un albero che cresce in Colombia e anche di una piantagione di banane vicino ad Aracataca dove è nato) è ancor oggi simbolo e sinonimo di un luogo mitico e immaginario di vita alternativa, dove il trascorrere circolare del tempo consente di vivere con più leggerezza, anche affidando la propria salute alla corrispondenza con “medici invisibili”.
Tra i grandi anziani che quest’anno si sono resi invisibili, ma la cui presenza caratterizza il quotidiano di molti, si ricordano due intellettuali militanti come Karol Kewes Karol (1924) e Bianca Guidetti Serra (1921). Il primo, di una cultura ed esperienza internazionale straordinarie, più che un giornalista impegnato, ha contribuito a far conoscere ad alcune generazioni la storia di un secolo per trarre dal passato propositi per il futuro2. La seconda, avvocata impegnata in politica, interessata all’aula giudiziaria “come luogo dei diritti in movimento, del confronto tra le istanze della società e i rapporti codificati di potere, di una dialettica tra le parti che tende a discutere e a ridefinire i confini di ciò che si intende per giusto o ingiusto della vita sociale”3.
La sanità e la politica sanitaria italiana questo fine anno pensano alle attività di tre vecchi medici che hanno contribuito alla definizione dell’organizzazione delle cure e hanno formato generazioni di medici: Elio Guzzanti (1921), Roberto Burgio (1919), Massimo Petrone (1934). Il primo, direttore dei maggiori ospedali romani, Ministro della Salute nel governo Dini, è stato il tecnico che più ha contribuito all’attuazione della riforma sanitaria del 1978 (legge 833) in ambito ospedaliero: è sua la creazione dei day surgery e dei day hospital. Il secondo è stato un prestigioso maestro della pediatria e di immensa complessità umana. “Credo che lavorare nel campo dei bambini quando lo si sceglie equivale al dovere di lavorare bene per il bambino, altrimenti è meglio non lavorare e scegliere un altro campo. Una volta il pediatra curava il bambino malato, poi viceversa si è reso conto che questo non era sufficiente perché l’infanzia di per sé è un’età che ha bisogno di protezione, di conoscenze attraverso le quali questa protezione diventa efficiente e può essere trasferita nella realtà del bambino. Per definizione il bambino è un essere dipendente e quindi ha bisogno di chi lo sostiene, di chi lo difende. Evviva i bambini”. Il terzo, neonatologo a Lecco dopo un lungo percorso di “frontiera” iniziato dalla medicina scolastica, passando alla pediatria ospedaliera per concludere il suo impegno sociale da assessore provinciale. Uno dei pochi capace di formare gruppi di operatori che si potevano chiamare veramente équipe, come in molti lo ricordano.
Un altro anno è andato “la sua musica ha finito, quanto è ormai passato e passerà”.


BIBLIOGRAFIA
1. García Márquez G. Cent’anni di solitudine. Milano: Feltrinelli, 1968.
2. Karol KS. Solik, Torino: Einaudi, 2008.
3. Guidetti Serra B. Bianca la rossa. Torino: Einaudi, 2009.