RECENSIONI


Minori con disabilità: molto è stato fatto, molto è da fare
Un titolo breve, ma che suscita pensieri, contiene significati, stimola riflessioni: “L’attrazione speciale”. I termini “attrazione” e “speciale” possono essere intesi, e compresi, in diversi modi, anche in base alle molteplici personalità di chi si accinge a leggere il libro di Giovanni Merlo, direttore della LEDHA (Lega per i diritti delle persone con disabilità), dedicato ai minori con disabilità e ai temi dell’integrazione scolastica, scuole speciali, presa in carico, welfare sociale, ma anche molto altro. Attrazione speciale può, e forse vuole, evocare qualcosa di positivo, perché è speciale, il bambino con disabilità, ma anche ogni altro bambino. Perché è importante fin da subito ragionare sul termine “normale”, cosa si intenda o si voglia intendere con normalità, in un mondo di bambini ognuno con caratteristiche proprie, più o meno evidenti, più o meno facili da gestire nella società, che lo rendono speciale. Ed è proprio sul concetto di normalità che l’autore porta il lettore a ragionare fin dalle prime pagine, per modificare idee radicate più o meno consapevolmente in molti se non tutti. Ma attrazione speciale può indicare anche l’attrazione che ancora oggi, dopo anni di impegno e conquiste per l’integrazione scolastica e sociale, delle persone con disabilità, porta diversi genitori a scegliere le scuole speciali per i loro bambini. Scuole che ancora ci sono, funzionano, e “attraggono” le famiglie come un porto sicuro, in cui la persona cara potrà essere seguita bene sotto ogni aspetto, in cui istruzione e riabilitazione si incontrano, in cui parte delle fatiche nel gestire tempi, spostamenti e modi sembrano risolversi, in cui si cerca la rassicurazione sull’offrire il meglio possibile al figlio. Il libro parte proprio dallo scoprire, con stupore, che ci sono ancora, e non poche, scuole speciali, anche se diverse da quelle di una volta, e si vuole interrogare sul perché questa realtà permanga, dopo quarant’anni di passi in avanti nell’integrazione e inclusione; anni che hanno visto grandi risultati ma anche fallimenti se proprio le persone con maggiori bisogni, i casi forse più gravi ma non sempre, continuano un percorso separato nella società, segnato soprattutto dall’aspetto sanitario nella loro gestione. Una pagina dopo l’altra ci si immerge in un mondo poco conosciuto, di cui si parla ma non abbastanza, o forse non con la giusta prospettiva. Pian piano il lettore viene portato ad addentrarsi e districarsi, se non esperto, in tematiche inizialmente difficili, con un ragionamento che via via si snoda, offrendo gli strumenti necessari per la comprensione del problema e delle sue numerose, e insidiose, sfaccettature. Il testo, rivolto a chi è in contatto con queste realtà ma anche a chi non le conosce e ne è interessato, cambia le consuete prospettive e partendo dalle radici, dagli aspetti legali e del diritto, dalla storia, pone dubbi, scardina presupposti, porta a interrogarsi, a capire meglio, e ad aver voglia di rimboccarsi le maniche per cambiare una situazione che, seppur migliorata, ha ancora tanta strada da percorrere, sia nella mente e nel vissuto delle persone, comprese le persone con disabilità e i loro familiari, sia negli aspetti legali e burocratici, organizzativi e formativi.



Poste le basi di conoscenza necessarie, vengono illustrati i risultati di un’indagine svolta fra le famiglie che hanno scelto per i loro figli le scuole speciali in Lombardia, con la presentazione dei risultati di interviste, per andare alle radici della scelta e capire da cosa sia stata spinta, dove qualcosa non abbia funzionato, e perché, per “ripercorrere i percorsi esistenziali che portano alcuni genitori di bambini con disabilità alla scelta della scuola speciale”, spiega Merlo. Solo così, scoprendo anche risvolti inaspettati in scelte spesso sofferte, è possibile andare oltre e provare a cercare soluzioni. Il libro rappresenta il primo passo necessario, portando alla luce una realtà se non negata, comunque poco conosciuta, con scuole che lavorano bene, diverse rispetto al passato, ma che si scontrano con il cammino per l’inclusione. “Attorno alle scuole speciali non vi è un vero dibattito: esse sembrano semplicemente esistere”, scrive l’autore, e scrive ancora: “si potrebbe forse ripartire da qui, facendo di ogni percorso di un bambino verso la scuola speciale un evidente percorso di fallimento sociale, da riconoscere, studiare e analizzare per comprendere quali siano nella concretezza i problemi da affrontare e risolvere. Una storia da ripercorrere nell’interesse di quel bambino, affinché qualunque proposta gli venga offerta sia comunque concepita, sempre e comunque, per garantirgli il rispetto dei suoi diritti umani, a partire da quello di poter essere incluso nella società. Un modo semplice per riconoscere e restituire a quel bambino la dignità di persona e cittadino, ma anche per mantenere alta la tensione al fine di favorire, sostenere e premiare i tanti percorsi virtuosi di inclusione attivi nelle nostre scuole e nelle nostre comunità”. Un primo passo è dunque parlarne di più, e parlarne diversamente, e riflettere, capire, con quel cambio di prospettiva che parte dal chiedersi cosa sia davvero normale, in un mondo scolastico in cui le difficoltà degli alunni su cui soffermarsi e ragionare sono molteplici e richiedono forse un ripensamento più generale sul concetto di istruzione e cultura.
Valeria Confalonieri
valeriamaria.confalonieri@fastwebnet.it




Il nulla terapeutico?
“Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull’omeopatia” è il titolo del libro curato da Silvio Garattini per i tipi di Sironi Editore, con i contributi di autorevoli ricercatori dell’IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.
Vittorio Bertele’, nella sua Breve introduzione all’omeopatia, spiega i fondamenti teorici su cui si fonda l’omeopatia, a partire dai suoi esordi nella seconda metà del ‘700 basati sulle ‘leggi’ dei simili e delle diluizioni infinitesimali. Diluizioni che portano, spesso, ad eliminare qualsiasi traccia del principio attivo originario e a giustificare il titolo senza punto di domanda. L’excursus arriva ai giorni nostri, quelli dell’era dell’evidenza scientifica, che demolisce le tante ragioni malriposte in questo presunto metodo di cura.
Silvio Garattini affronta invece l’evoluzione dell’attuale legislazione italiana, influenzata dalla Direttiva Europea 83 del 2001 e sostanzialmente centrata sulla sicurezza/non nocività del prodotto omeopatico e non sulla dimostrata ed effettiva capacità terapeutica. Da ciò dipendono diverse contraddizioni. Nel decreto legislativo del 24 aprile 2006 è precisato che sull’etichetta è d’obbligo la dizione “senza indicazioni terapeutiche approvate”. In un comma del decreto 274/2007, riguardante la pubblicità dei prodotti omeopatici, poi, si dice che sulla documentazione di accompagnamento deve “essere stampigliata in modo visibile che trattasi di indicazioni per cui non vi è, allo stato, evidenza scientificamente provata dell’efficacia del medicinale omeopatico o antroposofico”. I prodotti omeopatici, però, possono essere venduti solo in farmacia, su prescrizione medica o su indicazione del farmacista, consentendo in tal modo l’affermarsi di una convinzione di efficacia, salvo poi negarne il rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale, ma al contempo permettendone la deducibilità fiscale del costo.



Giorgio Dobrilla, esaminando la lettura scientifica riguardante l’omeopatia, riporta le conclusioni a cui sono arrivati diversi enti pubblici internazionali, dopo aver valutato qualità e attendibilità dei risultati di numerose ricerche. L’ultima autorevole, in ordine cronologico, è quella del National Health and Medical Research Council australiano, che ha così sentenziato: “Dalla ricerca sugli esseri umani non è emersa alcuna prova certa che l’omeopatia sia efficace per il trattamento della gamma di condizioni di salute considerate: nessun studio di buona qualità, ben disegnato e con un buon numero di partecipanti sufficienti per un risultato significativo ha dimostrato che l’omeopatia determini miglioramenti di salute superiori rispetto al placebo, né pari a quelli causati da un altro trattamento”.
Emilio Benfenati affronta i tentativi di dare risposte ‘scientifiche’ ai vuoti teorici connessi alla sostanziale mancanza del principio attivo nel prodotto omeopatico. La più recente riguarda la presunta ‘memoria dell’acqua’, in base alla tesi che l’acqua manterrebbe l’impronta della sostanza in essa disciolta. Luc Montagnier, premio Nobel della Medicina per aver isolato il virus HIV, ha affinato la teoria sostenendo che dei residui di batteri, diventati ‘nanostrutture’ fatte d’acqua, sarebbero in grado di conservare fedelmente l’informazione genetica del DNA. Tuttavia la tesi non ha retto alle evidenze sperimentali, dimostrando al contrario che l’omeopatia fa acqua da tutte le parti.
Luigi Cervo mette, a sua volta, a confronto effetto placebo e omeopatia arrivando alla conclusione che: “se, da una parte, l’effetto placebo è stato oggetto di molti studi che hanno dimostrato, oltre alla sua rilevanza clinica, anche alcuni elementi del meccanismo neuronale sotteso, studi sperimentali o clinici simili a riguardo dei prodotti omeopatici sono assenti dalla letteratura e questo risulta tanto più strano se si considerano i duecento anni di vita della teoria. Quindi, ritenere che i rimedi omeopatici siano una forma di placebo è un’ipotesi che deve essere ancora una volta provata o confutata”.
Lorenzo Moja, last but not least, si cimenta con i numeri del fenomeno omeopatico. Il mercato omeopatico oscillerebbe tra i 250 e i 400 milioni di euro, poca cosa se confrontata con la spesa farmaceutica complessiva (26,6 miliardi di euro nel 2014), che però risulta vicino al 5% in proporzione alla spesa per i farmaci non rimborsabili pagati direttamente dai cittadini (8,16 miliardi di euro). Secondo l’Istat nel 2013 gli italiani che si sono rivolti alle medicine alternative, in generale, sono stati 4,9 milioni, pari all’8% della popolazione, la metà dei quali ha fatto ricorso a ‘cure’ omeopatiche. Altre rilevazioni arrivano invece a stimare fino a 10-11 milioni la platea dei soli omeopatici. Dati comunque contraddetti dal numero di medici omeopati che si aggirerebbero attorno ai 700 sui 250.000 medici che praticano la professione, a cui si debbono però aggiungere i farmacisti che sono autorizzati a vendere prodotti omeopatici senza prescrizione medica. Nelle conclusioni, Silvio Garattini chiama in causa la responsabilità delle Università, degli Ordini dei Medici e dello Stato che, a vario titolo e in vari modi, promuovono e legittimano terapie che non hanno nessuna base scientifica.
Red.