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I PACCHETTI GENERICI RIDURRANNO LA DIPENDENZA DELL’USO DEL TABACCO?
Il “packaging” dei tabacchi rappresenta un’importante forma di promozione per questo tipo di prodotti. Per questo motivo, l’adozione di pacchetti “generici” (ovvero pacchetti senza logo, colori e disegni che caratterizzano uno specifico marchio) può essere considerata un’ulteriore strategia per il controllo del tabagismo. Attualmente in Italia al confezionamento del tabacco vengono aggiunte avvertenze sanitarie testuali. È stato condotto uno studio trasversale per esaminare la percezione degli italiani verso l’adozione di pacchetti generici sia con avvertenze sanitarie testuali che con avvertenze illustrate (cioè, con immagini shock). Lo studio è stato condotto su 1065 adulti italiani, fumatori e non fumatori. I partecipanti hanno visionato tre tipi di pacchetti (pacchetto attuale, pacchetto generico con avvertenze testuali e pacchetto generico con avvertenze illustrate) e otto immagini delle avvertenze illustrate, e hanno indicato quelli che ritenevano più efficaci a contrastare il tabagismo. I pacchetti generici con avvertenze illustrate sono stati considerati i più efficaci a motivare la cessazione o la riduzione del fumo e a prevenire l’iniziazione al fumo (ritenuto efficace tra l’83,4% e il 96,1% dei partecipanti allo studio). In generale i pacchetti generici non sembrano essere molto efficaci a smettere per tre quarti dei fumatori e il 60% dei fumatori ha dichiarato che avrebbero comunque iniziato a fumare con i pacchetti generici. I giovani credono meno degli anziani che siano utili per smettere (29,4% vs 39,1%, p = 0,002). Le immagini percepite come più efficaci nel comunicare gli effetti del fumo erano quelle relative al tumore del polmone e alla cancrena (considerate efficaci da circa un terzo degli intervistati). Le avvertenze testuali sui prodotti del tabacco sono una misura di controllo ormai superata e dovrebbero essere di sostituite con avvertenze illustrate che sembrano essere più efficaci su pacchetti generici. (Silvano Gallus)
Fonte: Mannocci A, Colamesta V, Mipatrini D, et al. From directive to practice: are pictorial warnings and plain packaging effective to reduce the tobacco addiction? Public Health 2015; 129: 1563-70.




SARTANI E REAZIONI DI FOTOSENSIBILITÀ CUTANEA
Gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (sartani) sono farmaci di comune impiego nel trattamento dell’ipertensione e dello scompenso cardiaco. Le reazioni di fotosensibilità cutanea sono reazioni avverse di tipo dermatologico che si possono manifestare in soggetti suscettibili a seguito dell’assunzione di alcuni farmaci e dalla contemporanea esposizione ai raggi solari. Tra gli otto sartani attualmente in commercio, il rischio di reazioni di fotosensibilità cutanea è riportato solo nella scheda tecnica del losartan. Questo studio retrospettivo, condotto sui dati di farmacovigilanza del database internazionale (VigiBase™), ha valutato i casi di fotosensibilità indotta dai sartani. Nel database sono descritti 203 casi di reazioni di fotosensibilità, delle quali il 25% coinvolgeva il losartan, il 23% l’irbesartan, il 22% il valsartan e in minor percentuale gli altri sartani. In 126 casi l’antagonista del recettore dell’angiotensina II era l’unico farmaco potenzialmente responsabile dell’evento avverso e nel 10% dei casi la reazione descritta era grave. La valutazione del nesso di causalità dei 18 casi descritti in maniera più completa e dettagliata (6 casi per losartan, 4 per olmesartan, 3 con irbesartan, 2 al valsartan e cardesartan e 1 al telmisartan) ha suggerito che tutti i sartani sono potenzialmente responsabili di gravi reazioni di fotosensibilità, nonostante losartan e olemsartan siano i sartani maggiormente coinvolti. È quindi opportuno che medici e pazienti siano informati di questa reazione avversa potenzialmente grave. (Luca Pasina)
Fonte: Viola E, Coggiola Pittoni A, Drahos A, Moretti U, Conforti A. Photosensitivity with angiotensin II receptor blockers: a retrospective study using data from VigiBase®. Drug Saf 2015; 38: 889-94.




INTERAZIONI TRA FARMACI CLINICAMENTE RILEVANTI IN PAZIENTI ANZIANI IN POLITERAPIA
Le interazioni tra farmaci rappresentano un fattore di rischio importante nel paziente anziano in politerapia. Nella maggior parte dei casi lo studio delle interazioni avviene in contesti molto differenti da quelli delle reali condizioni d’uso dei farmaci, per cui risulta spesso difficile che i risultati contribuiscano a cambiamenti della pratica medica.
Questo studio, sostenuto con fondi della Regione Emilia Romagna, ha valutato l’impatto di una campagna di formazione, coordinata dal Gruppo di Ricerca sull’anziano in politerapia e diretta ai medici di medicina generale di alcune ASL, per ridurre il numero di interazioni (di un elenco di 53 considerate di maggiore rilevanza clinica). Rispetto alla situazione, precedente l’intervento di formazione, a distanza di un anno, nonostante vi sia stato un incremento del numero di pazienti in politerapia, si è ottenuta nei medici partecipanti una riduzione del numero di potenziali interazioni (in media 1,5) per ogni paziente anziano in politerapia, in particolare quelle in cui erano coinvolti gli antinfiammatori non-steroidei.
Questo studio costituisce un interessante modello/esperienza di come, partendo da informazioni di rischio potenziale di interazioni tra farmaci comunemente prescritti in medicina generale, si possa costruire un percorso collettivo e collaborativo di formazione sul campo per sensibilizzare i medici di medicina generale al complesso problema delle interazioni tra farmaci con la conseguente riduzione del rischio iatrogeno e maggior appropriatezza prescrittiva.
(Alessandro Nobili)
Fonte: Raschi E, Piccinni C, Signoretta V, et al.; Emilia-Romagna elderly poly-treated patients research group. Clinically important drug-drug interactions in poly-treated elderly outpatients: a campaign to improve appropriateness in general practice. Br J Clin Pharmacol 2015; 80: 1411-20.




ALTERAZIONI EPIGENETICHE LEGATE ALLA MIGRAZIONE
Il rischio di malattie non trasmissibili nelle popolazioni migranti diventa simile a quello delle popolazioni native dopo una o più generazioni. Tuttavia talvolta alcune differenze tra popolazioni migranti e native persistono anche dopo alcune generazioni.
Utilizzando la tecnica EWAS (Epigenome Wide Association Study) sono state studiate le metilazioni al DNA in tre popolazioni differenti: i migranti originari del Sud d’Italia e che si sono stabiliti nel Nord, i nativi del meridione, e i nativi del settentrione. Per lo studio sono stati utilizzati i dati di 1061 partecipanti allo studio EPIC-Italy che erano provenienti da diverse aree geografiche e dei quali erano disponibili campioni di sangue, dettagliate informazioni riguardo allo stile di vita, alimentazione, e misure antropometriche.
Sono stati identificate alcune decine di loci differenzialmente metilati nelle popolazioni esaminate, in particolar modo le differenze erano più marcate comparando la popolazione migrante con quella nativa del settentrione. La maggior parte delle differenze riscontrabili sembra essere in relazione a network di regolazione genica. Le differenze di salute che si riscontrano tra migranti e nativi potrebbero essere quindi associate alla comparsa dei particolari profili di metilazione del DNA e che compaiono a seguito di esposizioni ambientali differenti da quelle che sono avvenute nel periodo perinatale. (Daniele Piovani)
Fonte: Campanella G, Polidoro S, Di Gaetano C, et al. Epigenetic signatures of internal migration in Italy. Int J Epidemiol 2015; 1442-9.