Economia ingiusta, etica ed editoria liquida

Luca De Fiore


La scrivania ingombra di fogli, una catasta che neanche un adolescente riuscirebbe ad accumulare in una settimana di disordine, e l’aria da intellettuale d’altri tempi. Era il 1901 quando William Osler scriveva a mano una nuova edizione dei Principles and Practice of Medicine, un classico della medicina moderna nato alla Johns Hopkins University nel 18921. Uno dei primi trattati di medicina interna, fino al 1947 scritto da un solo autore: un libro chiave dell’editoria scientifica internazionale. “Editoria”: è parola contemporanea del lavoro di Osler se è vero che Giosuè Carducci chiedeva nel 1896 ad un amico se fosse “vocabolo suo o nuovo uso fiorentino”2 ... Un prestigio indiscusso durato cent’anni, quello dei trattati. Fin quando il credito di cui hanno goduto è stato messo in discussione da chi li ha paragonati ai dinosauri3, estinti per incompatibilità con un mondo in cambiamento: superare qualsiasi crisi presuppone leggerezza, dinamismo, rapidità e forse quella flessibilità che è condizione delle precedenti: “Dinosaurs did not die out but simply evolved wings and took off”3.



Per ragioni simili a quelle che hanno fatto spuntare le ali ai dinosauri (sarà vero?), quello passato potrebbe essere stato “il secolo breve” anche degli editori il cui lavoro era progettare cataloghi fatti di persone prima ancora che di libri o riviste. Così scriveva Roberto Calasso in un saggio breve che – a rileggerlo oggi – ha l’aria del congedo di una professione...
«Che cos’è una casa editrice se non un lungo serpente di pagine? Ciascun segmento di quel serpente è un libro. Ma se si considerasse quella serie di segmenti come un unico libro? Un libro che comprende in sé molti generi, molti stili, molte epoche, ma dove si continua a procedere con naturalezza, aspettando sempre un nuovo capitolo, che ogni volta è di un altro autore. Un libro perverso e polimorfo, dove si mira alla poikilia, alla “variegatezza”, senza rifuggire i contrasti e le contraddizioni, ma dove anche gli autori nemici sviluppano una sottile complicità, che magari avevano ignorato nella loro vita. In fondo, questo strano processo, per cui una serie di libri può essere letta come un unico libro, è già avvenuto nella mente di qualcuno, per lo meno di quell’entità anomala che sta dietro i singoli libri: l’editore»4.
Non da oggi l’editoria è senza editori5 e anche per questo è sempre più difficile guardare a ciò che si pubblica come a un mare di libri fatto di onde ciascuna diversa ma che comunque rimanda alla precedente e alla successiva. Sembra piuttosto di essere sulla spiaggia di fronte all’Isola delle Correnti, dove le onde sembrano contraddirsi una con l’altra anche all’interno dello stesso mare. O forse sono mari diversi, obbligati a fingere di essere lo stesso.

Al posto degli editori esistono invece proprietari di case editrici e – è ancora Calasso che scrive – “Si può fare una casa editrice per le ragioni più diverse, e seguendo i criteri più diversi”4.
“Quello che oggi sembra più normale, in una grossa casa editrice, si potrebbe formulare così: pubblicare libri che corrispondano ciascuno a uno spicchio di quell’immenso ventaglio che è il pubblico. Ci saranno così libri rozzi per i rozzi e libri squisiti per gli squisiti, in proporzione all’ampiezza che si attribuisce a ciascuno di quegli spicchi”4.
Ed esistono proprietari di case editrici che – così pare – riescono a far approvare leggi che risolvono i problemi fiscali delle proprie aziende. Per questo, la scorsa estate, un autore della Mondadori ha manifestato imbarazzo7 e si è pubblicamente chiesto se possa esistere una così ampia distanza tra chi produce cultura e chi, quella stessa cultura, finanzia e diffonde. Gli interrogativi di Vito Mancuso sono rimasti sostanzialmente senza risposta perché le persone alle quali si rivolgeva non potevano coglierne il senso. Non di istanze politiche si trattava, ma di inquietudini etiche proposte ad un ambiente drasticamente secolarizzato, in cui le strategie culturali hanno perso d’importanza e l’interesse principale è di tipo economico o accademico. Un mondo in cui non c’è spazio per un’economia “giusta” 8.
«La vita morale della modernità è stata lasciata senza guide trascendentali. La cultura si è così separata dall’economia e dalla vita sociale. Il capitalismo dipende da un “puritanesimo secolare” nella sfera della produzione, ma si è arreso agli imperativi del piacere e del gioco in quella del consumo. (…) L’assenza di un sistema di credenze morali radicate è la contraddizione culturale della società, la più grave minaccia alla sua sopravvivenza» 9.
È possibile che un teologo come Mancuso percepisca con maggiore forza questa “assenza di moralità”. Ma è anche probabile che abbia avvertito un problema di identità culturale osservando la stravaganza delle scelte della casa editrice che si prende cura del suo lavoro. Ma questa incoerenza è solo apparente ed è facilmente spiegabile se consideriamo che oggi il primo obiettivo è la rincorsa del pubblico e la sfida del mercato10. Ad un’editoria evenementielle non serve costruire e proporre cornici che diano il senso di quanto pubblicato, che suggeriscano interpretazioni o riflessioni. Né “si tratta di trovare un equilibrio tra qualità ed esigenze del mercato – per citare di nuovo Schiffrin – si tratta di guadagnare più soldi possibile”5.
È una realtà che riguarda solo la cosiddetta “editoria di varia”? No. Anzi, il medical publishing è stato tra i primi a interrogarsi su questi argomenti11 a partire dai problemi del conflitto di interessi, della paternità della letteratura scientifica (authorship), della sua ridondanza o inutile duplicazione e soprattutto della qualità dei contenuti. Il rilievo di tutto ciò è straordinariamente aumentato proprio con la progressiva concentrazione delle fonti (riviste, marchi e collane editoriali) nelle mani di pochissimi protagonisti per effetto di una serie di acquisizioni che ha portato all’estinzione dei publisher tradizionali, sostituiti anche qui da impersonali holding finanziarie. Ma il nodo principale è nella trasformazione delle case editrici tradizionali in agenzie di comunicazione capaci di dare assistenza all’industria dalla fase del reclutamento degli opinion leader alla stesura dei protocolli di ricerca, fino alla scelta della rivista per la pubblicazione e alla stampa di reprint da distribuire ai medici 12. Come faceva osservare Frank Davidoff nel capitolo conclusivo di un libro prezioso13, a proposito dell’intreccio tra ricerca clinica ed editoria: “Ogni cosa che mette a repentaglio l’editoria scientifica è una concreta minaccia all’esistenza stessa della scienza”. Sono trascorsi dieci anni da quando Davidoff segnalava il problema e il danno è già avvenuto: è possibile che – come temeva Stephen Lock – le riviste di medicina (anche, se non soprattutto, le più famose) servano oggi solo per incartare fish and chips14 e far guadagnare montagne di denaro a società scientifiche e industrie farmaceutiche.

In un’editoria scientifica senza editori, non più in grado di mantenere a lungo fisionomia e forma, si è infine smarrito il senso di responsabilità etica individuale nell’assunzione delle decisioni, ormai legato principalmente al vincolo di massimizzare i profitti di una proprietà senza volto. Le scelte vengono fatte pensando al “qui ed ora”, cercando di cogliere l’attimo fuggente di un mercato inquieto e mutevole e “la strategia del carpe diem è una risposta a un mondo svuotato di valori che pretende di essere duraturo”15. È un mondo nuovo di opportunità fugaci e di fragili sicurezze in cui “le identità vecchio stile, non negoziabili, sono semplicemente inadatte”15.
Bel problema: ci mancava anche l’editoria liquida. Che ci obbliga a inseguire e a ricostruire le nostre identità, mentre tutto intorno si muove di corsa, lettori, autori, non lettori…


Bibliografia e note
1. Golden RL. A history of Osler’s. The Principles and Practice of Medicine. Montreal, Quebec:
Osler Library, McGill University, American Osler Society, 2004.
2. Lettera di Giosuè Carducci a Guido Biagi. In: Cortellazzo M, Zolli P. Dizionario etimologico della lingua italiana. Bologna: Zanichelli, 1980.
3. Weatherall DJ, Ledingham JGG, Warrell DA. On dinosaurs and medical textbooks. Lancet 1995; 346: 4-5.
4. Calasso R. Cento lettere a uno sconosciuto. Milano: Adelphi, 2003; pp. 20-1. 
5. Schiffrin A. Editoria senza editori. Torino: Bollati Boringhieri Editore, 2000.
6. Calvino I. Il libro, i libri (1984).
In: Mondo scritto e mondo non scritto. Milano: Mondadori, 2002.
7. Mancuso V. Cara Mondadori, per le leggi il tuo sarto è proprio
su misura. Repubblica, 23 agosto 2010. http://www.repubblica.it/
politica/2010/08/23/news/mondadori_mancuso-6442732/.
8. Berselli E. L’economia giusta. Torino: Einaudi editore, 2010.
9. Giddens A. Oltre la destra e la sinistra. Bologna: Il Mulino, 1997.
10. «Il mercato – o la relazione con quello sconosciuto, oscuro essere che viene chiamato “il pubblico” –
è la prima ordalia dell’editore, nell’accezione medioevale del termine: una prova del fuoco che può anche mandare in fumo una considerevole quantità di banconote» scrive Roberto Calasso in “L’editoria come genere letterario
. Adelphiana, 16 novembre 2001. http://www.adelphiana.it/pdf/Calasso.pdf/.
11. Bailar J, Angell M, Boots S, et al. Ethics and policy in scientific publication. Bethesda, MD:
Council of Biology Editors, 1990.
12. Lundh A, Barbateskovic M, Hróbjartsson A, Gøtzsche PC. Conflict of interest at medical journals: the influence of industry supported randomised trials on journal impact factor and economy. PLoS Med 2010; 7: e354.
13. Cit. in Jones AH, McLellan (eds). Ethical issues in biomedical publication. Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2000.
14. Cit. in Smith R. The trouble with medical journals. London: The Royal Society of Medicine Press, 2006.
15. Bauman Z. Intervista sulla modernità. Bari-Roma: Editori Laterza, 2003.