Domande e risposte di cura
Percorsi di accesso ai servizi sanitari delle persone vulnerabili
che abitano la grande città
Marzia Ravazzini,
Gaia Jacchetti
Fondazione Casa della Carità
Angelo Abriani, Milano
marzia.ravazzini@casadellacarita.org

ABSTRACT
Health care: demand and supply
Aim. To study the relationship between vulnerability and the health care system, investigating the variables that generate access inequality and complexity in the healthcare personnel-patient relationship.
Methods. This research applies the quanti-qualitative methodological intersection, as in the “here and now” of a medical examination, combining narrative and numbers.
The study mainly focuses on patients’ awareness of the health services and their behaviors and capacities in accessing health care during the preceding year and in their future intentions.
The study was carried out in the outpatient unit of the “Casa della Carità” Foundation in Milan, which provides lodging and care for vulnerable people.
Outcomes. A total of 105 patients, 63% of whom were men, were recruited during the 8 week study period. All patients were adults, either resident in the “Casa della Carità” or using its services, and all were accessing the clinical facility for the first time.
The health care paths reported connect three levels: patient, practice and policy.
The patients’ health care requests/needs outline: the desire to be listened to (38%), the willingness to change (30%), the need for care addressing basic needs (25%), and a suffering often not understood by the health care system (24%).
The general practitioner (GP) remains marginal among the services: 54% of patients used the clinic inappropriately, despite having their own GP. The most used service is the emergency room (61%); the other services requested are those for patients with chronic diseases.
In all, 48% of patients arrived at the hospital with the help of social workers.
Conclusions. For vulnerable people, matching requests with delivery of care remains difficult. Demand does not reach the public health system autonomously, both because it is not completely grasped and because of its complexity.
An active health system capable of addressing the needs of the vulnerable is essential.
Key words. Vulnerable population | social determinants of health | health care disparity | health care access | health care need | health care delivery.

RIASSUNTO
Obiettivi. Studiare il rapporto tra vulnerabilità e organizzazione sanitaria, indagandone le variabili che generano inequità nell’accesso e complessità nella relazione di cura.
Metodi. Lo studio si avvale dell’intersezione metodologica quanti-qualitativa, nell’ora e qui di una visita medica. In particolar modo si indagano la conoscenza dei servizi, le capacità e i comportamenti dei pazienti nelle modalità di accesso, nell’ultimo anno e nelle intezioni future. Campo d’indagine è l’ambulatorio medico della Fondazione Casa della Carità a Milano, struttura di accoglienza per le persone vulnerabili.
Risultati. Nelle otto settimane di studio, i pazienti inclusi sono stati 105: 66 (63%) uomini e 39 (37%) donne, tutti adulti, residenti o che afferiscono alla Casa, nel loro primo accesso all’ambulatorio. Le traiettorie di cura esplicitate connettono tre livelli: patient, practice e policy. La domanda del paziente evidenzia il desiderio di ascolto (38%), la volontà di cambiare (30%), il bisogno di cura subordinato ai bisogni primari (25%), una sofferenza spesso non compresa dall’apparato sanitario (24%). Tra i servizi, il medico di medicina generale (MMG) resta distante: il 54% dei pazienti ha utilizzato impropriamente l’ambulatorio, pur avendo il MMG. Il servizio più utilizzato è il Pronto Soccorso (61%); altri servizi usati rispondono a pazienti portatori di patologia cronica. Infine, il 48% dei pazienti è arrivato all’ambulatorio con l’aiuto di operatori sociali.
Conclusioni. Per le persone vulnerabili l’incontro tra domanda e risposta di cura rimane difficile: la domanda non raggiunge in autonomia il servizio pubblico, sia perché non completamente intercettata, sia perché complessa. Occorre una sanità attiva nei confronti dei vulnerabili, sensibile e attenta ai bisogni, ma anche pronta ad intercettarli.
Parole chiave. Vulnerabilità | determinanti sociali di salute | dimensione di cura | accesso alla cura | complessità della domanda | sanità d’iniziativa.


INTRODUZIONE
Più della metà della popolazione mondiale vive in aree urbane1. Nel rispetto di questo dato, e supportati da una vasta letteratura, si può inoltre affermare che il fenomeno dell’inurbamento mostra una crescita della popolazione urbana povera, anche nei paesi sviluppati, per cui ogni tre nuovi abitanti in città due sono poveri2. Queste persone sono tante, e non hanno individualità riconosciuta (pazienti psichiatrici, poveri, rifugiati, immigrati): una “nazione trasversale” alle nazioni ufficiali, ove le sofferenze si incrociano, si confondono, si specializzano ma non trovano risposte, nella accezione paradigmatica della sofferenza urbana, che in questo lavoro assumiamo coincidente con la vulnerabilità della grande città.
All’origine dello studio vi è la necessità di studiare il rapporto tra le persone vulnerabili e l’organizzazione sanitaria, mettendo in evidenza la complessità di questa relazione e cercando di approfondire le variabili che generano inequità nell’accesso ai servizi sanitari e i nodi che intercorrono nella direzione di cura.
Per vulnerabilità intendiamo una situazione di vita caratterizzata dall’inserimento precario nei canali di accesso alle risorse materiali fondamentali e/o dalla fragilità del tessuto relazionale di riferimento (famiglia e reti sociali territoriali); ciò che la caratterizza non è solo un deficit di risorse ma l’esposizione a processi di esclusione sociale che mette in crisi i meccanismi di integrazione sociale e di acquisizione/utilizzo delle risorse3.
Diventa rilevante, allora, affrontare il tema delle disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari come ambito in cui si evidenziano difficoltà a convertire i mezzi disponibili – pur ridotti che siano – in capacità4.
Per organizzazione sanitaria, ci riferiamo alla considerazione base pronunciata dalla Commissione sui determinanti sociali della salute, per cui “una cattiva salute (…) è il prodotto di una tossica combinazione di politiche e programmi sociali inadeguati, assetti economici iniqui, cattiva politica e conseguenze preterintenzionali e inaspettate derivanti da altre politiche” per considerare il sistema sanitario un fondamentale determinante di salute e di equità5.
A questa analisi accostiamo le riflessioni degli antropologi medici della Scuola di Harvard – per cui la salute, la malattia e la cura sono come parti collegate all’interno di un sistema culturale, ossia il sistema medico, da interpretare tra loro in termini relazionali e non singolarmente, con l’intento di connettere fattori esterni (sociali, politici, economici, storici, epidemiologici e tecnologici), a processi interni (psicofisiologici, comportamentali e comunicativi)6. La dimensione di cura – nelle accezioni di disease, illness e sickness – e la relativa esperienza di sofferenza esperita dai soggetti vulnerabili, allora, assumono un ruolo fondamentale nella domanda di cura e salute. L’ipotesi di una nuova definizione di salute, che pone l’accento verso le capacità di adattamento e di autogestione di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive7, concorre a rafforzare questa visione più dinamica di salute.
Tra i numerosi servizi per la popolazione vulnerabile a Milano, l’ambulatorio medico della Fondazione Casa della Carità di Milano A. Abriani è stato il punto di osservazione della ricerca. Casa della Carità (Cdc) è una struttura di accoglienza nata a Milano nel 2004 con l’intento di dare una risposta ragionata e integrata ai bisogni delle persone in condizioni di grave marginalità e, in primis, senza fissa dimora. È un ambiente deputato ai tanti bisogni sociosanitari dei più vulnerabili, per cui oltre ad un’estrema varietà della domanda di cura, questa ultima diventa subito complessa.
Obiettivo specifico di questo lavoro è quello di presentare le caratteristiche della popolazione vulnerabile che accede all’ambulatorio medico e metterne in evidenza le modalità di accesso alla cura.

METODI
Lo studio è stato effettuato presso l’ambulatorio medico della CdC; la popolazione che vi afferisce è variegatamente composta: le persone residenti della Casa, adulti – maschi e femmine, italiani e stranieri, i senzadimora frequentanti la Casa per i diversi servizi offerti, gli abitanti di So-Stare, comunità terapeutica per persone con disagio psichico e le persone che utilizzano le docce comunali della città di Milano.
Lo studio è stato condotto tre giorni alla settimana (un mattino, un pomeriggio e una sera) e nel giorno di rilevazione erano presenti insieme nello studio il medico e l’antropologo. Sono state incluse tutte le persone, di età 18 anni, che accedevano all’ambulatorio medico per la prima volta nei due mesi di studio.
Il disegno dello studio ha previsto contemporaneamente l’utilizzo del metodo quantitativo e qualitativo. Lo strumento di rilevazione del metodo quantitativo è stato il questionario somministrato dal medico, attraverso l’intervista diretta. La ricerca qualitativa è stata la trascrizione etnografica, attraverso la thick description di Clifford Geertz8, ampliata con colloqui in profondità e l’osservazione partecipante – interattiva e negoziata9.
Lo strumento di rilevazione – il questionario – è articolato in quattro sezioni: dati socio-demografici; conoscenze, capacità e comportamenti rispetto ai servizi sanitari; visita e dimensione di cura, e infine modalità di accesso alla cura, sia rispetto al passato (indagato il comportamento durante l’ultimo anno) sia nelle intenzioni future espresse dal paziente. Dopo aver raccolto entrambe le tipologie di dati – simultaneamente ma separatamente – si è proceduto con l’analisi distinta dei due database, integrando i risultati tramite un processo di trasformazione dei dati, per cui si distingue la quantizzazione dei dati qualitativi o la qualitizzazione dei dati quantitativi.

RISULTATI

Dati socio-demografici
Il periodo di studio è stato di 8 settimane, dal 4 febbraio al 29 marzo 2013; i pazienti inclusi nello studio sono stati 105 (66 uomini e 39 donne); le caratteristiche della popolazione sono riportate in tabella I. L’età mediana era di 38 anni, il 51% ha dichiarato di avere frequentato le scuole primarie. Le persone analfabete erano 18: tra loro non vi era alcun italiano, il 44% proveniva dalla Romania, il 61% era solo, senza famiglia in Italia, il 56% non aveva permesso di soggiorno (pds) o iscrizione anagrafica (documenti necessari per i cittadini extracomunitari e comunitari, rispettivamente, per avere diritto al servizio sanitario pubblico in tutte le sue forme) e il 78% era disoccupato.
Le persone disoccupate erano il 77% (la distribuzione per sesso ha mostrato che era disoccupato il 74% delle donne e il 79% degli uomini); il 54% delle persone viveva in Cdc.
Gli stranieri rappresentavano il 92% (60 uomini e 38 donne), le nazionalità maggiormente rappresentate erano Romania (29%) e Marocco (12%); il 48% proveniva dall’Africa e il 35% dall’Est Europa. Il più giovane tra gli stranieri aveva 18 anni, il più anziano 69 anni.
Il 24% degli stranieri era in Italia da un periodo ≤ a 3 anni e il 31% da più di 10 anni. Le persone in Italia da un periodo >10 anni avevano le seguenti caratteristiche: 12 erano femmine e 19 maschi, avevano un’età compresa tra i 27 e i 63 anni, metà viveva in Cdc e non aveva pds.
Il 43% della popolazione straniera non era in possesso del pds o iscrizione anagrafica: il 55% erano donne, il 43% viveva in Cdc ed era in Italia da un tempo mediano di 7 anni. Gli italiani erano 7 (6 uomini e 1 donna); la loro età minima era 43 anni la massima 79 anni e 5 vivevano in Cdc.
Delle 105 persone incontrate, 3 hanno rifiutato l’intervista.




Conoscenza, capacità, comportamenti
Conoscenza: più della metà della popolazione conosceva correttamente i propri diritti relativi all’accesso al medico di medicina generale (MMG) e al Pronto soccorso (PS). Le procedure amministrative per la scelta e revoca del MMG era conosciuta da 58 persone.
Rispetto alla conoscenza dell’esistenza dei servizi territoriali: il 21% delle donne conosceva i consultori familiari, il 20% dei pazienti i centri vaccinali e il 58% le ASL.
Capacità: rispetto all’ultimo accesso presso un servizio medico, il 65% è stato aiutato da qualcuno e di queste 50 persone il 28% lo ha ricevuto da figure educative, il 22% da amici.
Rispetto alla capacità/possibilità di seguire le prescrizioni mediche (farmaci o indagini diagnostiche), il 69% è stato in grado da solo, il 18% ha ricevuto le terapie gratuitamente presso il centro di cura a cui si sono rivolti.
Rispetto al comportamento attuato nell’ambito della primary health care la popolazione in studio delinea quattro categorie:
1. chi non ha pds o iscrizione anagrafica e quindi per la legge italiana e normativa regionale non ha diritto ad avere il MMG: 43%;
2. chi pur avendo diritti, perché in possesso dei requisiti, non assolve le pratiche burocratico-amministrative per avere la Tessera sanitaria (e quindi il MMG): 13%;
3. chi ha il MMG ma non lo utilizza (comportamento valutato nelle tre dimensioni temporali, presente, passato e futuro):
a. tra le persone che si sono rivolte all’ambulatorio nei giorni dello studio più della metà (54%) lo ha fatto “impropriamente” essendo in possesso del MMG;
b. il 45% di coloro che nell’ultimo anno sono stati valutati presso gli ambulatori per immigrati irregolari aveva il MMG; rispetto a queste 14 persone (8 uomini), 5 avevano il MMG in un’altra città e una persona era italiana;
c. il 47% di coloro che ha il MMG non lo userebbe nel futuro in caso di necessità;
4. chi ha utilizzato il MMG nell’ultimo anno: 66%.
Nel raccogliere il dato qualitativo rispetto alle dimensioni di conoscenza normativa, alle capacità di muoversi nei servizi sanitari e sui comportamenti già attuati e da agire nell’immediato futuro, la connessione con gli elementi offre un quadro ampio e diversificato, rispetto alle tre indicazioni emerse in modo preponderante.
1. Non linearità: alcuni pazienti intervistati, pur mostrando una conoscenza della reale possibilità di cura offerta dalla legge, non associano comportamenti coerenti, fermandosi spesso ad una messa in moto di qualsiasi tentativo (aprendo mille porte contemporaneamente) per perseguire l’obiettivo in maniera non coerente.

Ha atteso a lungo fuori dalla porta, poi, passata la mattina in coda per il centro d’ascolto, O. entra nell’ambulatorio con fare deciso. È una donna piccola, con mani veloci e lingua ancora più energica. Arrivata in Italia nel 2008, faceva la badante:
“Prima ho seguito una famiglia a Potenza... tra campagna e montagne, si stava bene”, riferisce, “...e ho lavorato fino a due mesi fa”. “Sono venuta sù e ora dormo al dormitorio di via Stella e non sto bene, ho bisogno di un dottore”.
Alla domanda del ricercatore-medico: “lei ha il suo medico di base?” O. risponde: “sì, ho la ts e il medico, il dott. XY, ma non sono mai andata dal mio dottore. ...vado a YX (ambulatorio per stranieri irregolari), lì mi danno appuntamento, ho problemi di pressione alta... seguo terapia da 4 anni”. 
E ancora, nel cercare di capire la scelta di non andare dal medico di base, la signora risponde: “i professori sono tutti bravi, ma lì mi danno le pastiglie” (O., Romania, del 1943).
2. Dipendenza/accudimento: si vuole evidenziare quanto e come ha inciso, sull’asse della conoscenza, capacità e comportamento, l’abilità dell’intervistato di muoversi lungo il percorso di cura con atteggiamento autonomo e consapevole, oppure con manifeste richieste di aiuto, accudimento, fino alle espressioni di dipendenza.

Indossa un cappello dell’Adidas coi colori della Jamaica, la scarpe sono rosso acceso e il cellulare non smette di suonare musica reggae... C. ha preso il raffreddore, ha brividi e freddo e riferisce un forte mal di testa; vive in stazione centrale, è arrivato da una settimana a Milano e non sa a chi rivolgersi; possiede la tessera sanitaria, e il MMG in un’altra città, perché, entrato nel 2011 in Italia, ha vissuto a La Spezia... presso un centro per gli immigrati.
“Facevano e mi dicevano loro tutto... non sono mai andato da un medico, né al pronto soccorso, perché il dottore del centro era bravo. Ho seguito anche la profilassi per la TBC, ... ho preso medicine per 6 mesi, e al controllo in ospedale era tutto apposto; il foglio e tutti i documenti li ho lasciati lì. Ora non so cosa fare”.
Il medico suggerisce che in base alle sue intenzioni, il primo passo dovrebbe essere spostare la residenza, e lui risponde: “boh, non so. Sono in stazione, ti dico, io non riesco a dormire bene e aspetto che la notte passi. Per il lavoro, prima cerco una soluzione per dormire e vivere, poi sistemo i documenti. Ma non so nulla, al centro e nemmeno in stazione... nessuno mi dà le informazioni per sapere cosa fare e dove” (C., Camerun, del 1988).
3. Strumentalità: si configura una domanda di cura che, collocata nel contesto della visita, non risulta essere finalizzata all’ambito sanitario; gli intervistati, parlano della loro salute, con l’obiettivo di chiedere una soluzione a problematiche sociali, più impellenti e per loro prioritarie; a volte la richiesta sanitaria è amplificata per ottenere altro.

Una delle volontarie del Centro d’ascolto bussa e annuncia che c’è una persona che dice di aver urgenza di parlare con un medico. Il medico-ricercatore si alza, lo accoglie e incomincia il colloquio. R. è in Italia da 10 anni, da dicembre vive in un dormitorio vicino alla Bovisa; prima stava a Varese, in casa con amici...
“cerco lavoro, ma non ho il permesso, e quindi non lo trovo”.
Il medico: “Può dirmi come mai ha voluto vedermi con questa urgenza?”.
“Oggi vengo qui dal medico perché... per la verità... io dal 30 marzo devo andare via dal dormitorio. Ho la TBC latente, e sto facendo profilassi”.
“Bene, ti serve per non ammalarti”.
“Si”, prosegue, “ma il medico mi ha detto che devo tornare a maggio... ma dove vado a dormire? 200 euro me li ha spediti mia madre, ma il 6 marzo ho fatto denuncia, me li hanno rubati... e dove vado... io dovrei riposare”.
Il medico precisa: “io posso solo curarti, il posto per dormire non dipende da me, non ho questo potere”.
“Non c’entra con la malattia, dottoressa, ma coi diritti”. Però mostra tantissimi tagli sul braccio sinistro. E prosegue: “Non l’ho mai fatto prima, se tu guardi il mio corpo, io non ho altri segni. L’ho fatto due giorni fa... sono nervoso” (R., Marocco, del 1983).

Visita
Rispetto alla visita eseguita il giorno dello studio, i dati congrui all’obiettivo della ricerca sono quelli che indagano come la persona è arrivata all’ambulatorio medico di Cdc e quale esito ha avuto la visita. Il 52% delle persone si è rivolto all’ambulatorio spontaneamente, il 35% inviato dagli educatori e l’11% dal personale presente alle docce o al centro d’ascolto.
L’ascolto è stato l’esito della visita nel 77% dei casi, l’orientamento sociosanitario nel 49%; nel 43% è stata data una terapia, due persone sono state inviate in Pronto Soccorso (PS) e 8 da un medico specialista.

Accesso alla cura
Come esposto in precedenza il 75% delle persone (N=77) ha avuto bisogno di assistenza medica nell’ultimo anno.
Il 61% si è recato in PS (il 22% ha avuto da 2 a 8 accessi), il 45% dal MMG, il 40% in un ambulatorio per immigrati irregolari, l’8% in consultorio familiare e una persona da specialista privato. Il 17% delle persone era seguito c/o un Centro psico-sociale (CPS), il 16% riferiva almeno un ricovero ospedaliero nell’ultimo anno e la metà era seguita da specialisti in ospedale per patologia cronica.
Poco più della metà delle persone ha riferito di aver risolto con la visita il problema per cui si era rivolta al medico, il 16% non lo ha risolto e il 29% risolto in parte.
Il rapporto con gli operatori è stato considerato buono nel 79% dei casi, così così nel 14% e cattivo nel 6%.
L’esito della visita, in occasione della rilevazione, in più del 75% delle persone è stato l’ascolto.
Le modalità di accesso alla cura sono state analizzate utilizzando “la visuale del paziente”: una posizione prospettica, per esprimere la convinzione che i pazienti, per quanto portatori di una condizione di vulnerabilità, siano titolati a partecipare attivamente alla gestione della propria condizione. A questo riguardo, si evidenziano le principali indicazioni emerse dagli stessi pazienti:
il desiderio e la volontà di vivere il rapporto di cura al di fuori delle dinamiche di potere, in un’ottica di ascolto reciproco e di costruzione di relazione di fiducia: non solo in termini teorici, ma molto concretamente, per trovare un rapporto di onestà etica e professionale. Fattore espresso da 38 persone (37%).
G. racconta di aver avuto una volta il medico di base a Brenta.

Come ti sei trovato?
“…Sono stato solo quella volta; tu vieni con la tessera sanitaria. Ma il medico non prende tempo per conoscere le persone. Non ha preso tempo per me. Ha preso tessera, guardato su pc e dato medicina per problema… e basta, 5 minuti, … perché – ha detto – ha tanta gente”.
Hai risolto il problema?
“No, direi di no. Il medico non mi ha spiegato per prendere terapia come fare… poi sono venuto qua, menomale che c’era assistente sociale T… 40 minuti a parlare con me”. (G., Rep. Democratica del Congo, del 1992);
il diritto ad aspirare ad una vita migliore, che potesse essere più comprensiva dei bisogni e delle loro componenti sociosanitarie, mettendo in evidenza una forte intenzione ad essere attori del proprio cambiamento, e di quello della famiglia. Emerso da 31 persone (30%).

“Questo qua se lo ricordi per sempre”: “così mi ha detto il dott. F. quando mi hanno diagnosticato la cirrosi... era il 4 giugno del 2012 e mi hanno dato indicazioni: non bere, prendere le medicine e 2 volte a settimana fare i controlli”.
Non è stato facile...
“Mi sentivo malato. Ora va meglio, certo, però non è facile, devo convivere però credevo di morire. A giugno farò un anno”.
La voce di C. si blocca, i suoi occhi diventano lucidi...
”già certi giorni va bene, altri giorni no...”
È comprensibile C...
E continua “mi ha sconvolto, però, questa situazione. Il pensiero è come sempre andato a mio figlio, e alla paura di non vederlo più”.
Hai sogni C.?
“Dovrei dire tornare come prima; ormai le radici sono qua (sono arrivato nel 1990 in Italia), sogno una casa e un lavoretto. Mi accontenterei di questo”.
Dici niente?
“E già, è la cosa più bella e difficile che vorrei avere”.
(C., Argentina, del 1967);
una logica di priorità dei bisogni, che spesso, in assenza di casa e lavoro, e di sostegno economico, li porta a porre il bisogno sanitario in coda agli altri, con conseguente attivazione di una capacità di adattamento al rischio e alla “sopravvivenza” intesa in senso lato; evidenziato in 26 persone (25%).

“La mia famiglia è tutta in Pakistan e anche mia moglie e i miei 5 figli. Non è facile stare così, sono preoccupato. Ho il permesso, e la tessera sanitaria. Prima dell’incidente lavoravo, ma poi tutto si è fermato e sono in dormitorio, e fa freddo...”
Perché?
Perchè non potevo camminare, mi hanno trovato tumore”.
Quando?
“Sono 8 mesi che ormai ho avuto bisogno e andavo dai dottori da solo, per piede destro e per spalla sinistra; quella mattina sono andato senza mangiare, alle 7.45, per fare esami e poi ricovero”.
Non hai potuto parlare con nessuno?
“Ho due fratelli in Pakistan, ho detto loro. Basta così, mia mamma è stata operata al cuore, io non voglio dare preoccupazioni. E mia moglie e i miei figli non sanno. Sono solo... dopo l’incidente, non lavoro, non ho più soldi... e tutti gli amici qui spariti. Dunque: prima trovo lavoro e soldi, e poi penserò cosa fare... camminavo veloce, ora no ma vado lo stesso” (M., Pakistan, del 1968);
la consapevolezza di un “sentire la malattia” assolutamente vissuta in una dimensione personale-soggettiva, spesso distante e non compresa dall’apparato medico sanitario (nei modi e nei tempi di gestione); fattore espresso da 25 persone (24%).

Arriva spontaneamente, sorridendo… gonna ampia e rosa, velo bianco in testa, truccata di fresco: gote rosa e bocca accesa… spiccano gli stivali di vernice nera.
Il medico la conosce e le dice: come sei bella oggi!
“Oggi ero sola, mi sono fatta bella, ho messo su un po’ di musica e ho ballato fino a due ore fa”.
Brava… dimmi che c’è.
“Vengo per un consiglio. Non ho il ciclo normale, anche se non voglio bambini; ne ho due, magari ancora… ma non ora, forse quando A. avrà 7-8 anni, …ma ora vorrei sapere cosa c’è… forse meglio se vado all’ospedale”.
Hai fatto bene a venire a chiedere, il pronto soccorso non è il posto giusto… da quanto non fai un controllo?
“Ho fatto controllo ultimo in Romania, mi ha trovato infezione, ma pap-test è uscito bene… ho preso pillola per due-tre anni, e ciclo non è più come prima, da 5 giorni a 2 giorni… però da settembre 2011 non prendo più pillola… dove vado senza che tu mi mandi a ambulatorio per stranieri?
Ma tu hai la tessera sanitaria e puoi pagare il ticket… serve un posto dove tu ti fidi… non ti sei trovata bene lì?
“La mediatrice la conosco da quando avevo 21 anni, è brava, ma sua dottoressa bastarda. Mi ha preso in giro, mi ha detto che era meglio non avere le mestruazioni e non avere figli, … lei ha detto – dovresti essere contenta che non le hai … e poi ha detto ancora: non sei la prima che fa figli per salute, con diversi motivi – … ma io non voglio fare i figli, voglio stare bene, da lei non voglio tornare” (F., Romania, 1984).

DISCUSSIONE
Rispetto alla letteratura che analizza la complessa relazione che esiste tra popolazione vulnerabile e accesso ai servizi sanitari10-15, questo studio ha due peculiarità che lo rendono originale: la popolazione in studio e il metodo misto, ossia l’utilizzo nello stesso studio di metodi qualitativi e quantitativi. Per quanto riguarda la popolazione, la scelta è stata quella di non connotare categorie o sottopopolazioni omogenee, ma ricercare tra loro i comuni denominatori e le aspettative nel percorso di cura, pur consapevoli della diversità della domanda.
Nello studio è emerso come la vulnerabilità influisce sull’essere paziente (patient) e sulla capacità di andare verso i servizi, sia per una priorità di bisogni che per la difficoltà di convertire i mezzi disponibili in capacità; sempre utilizzando la “visuale del paziente”, abbiamo intercettato le criticità nell’attuale organizzazione dei servizi (practice), che generano inequità nell’accesso.
I nodi organizzativi che hanno reso difficile il percorso di cura delle persone vulnerabili sono stati due:
1. frammentazione sanitaria e sociosanitaria:

“… io ho capito che ogni medico deve seguire la propria malattia… e sono in mezzo” (H., Egitto, del 1959).
Risuonano le parole di B. Saraceno: “La città produce sofferenze e malattie multiple e offre non-risposte oppure risposte frammentate e frammentanti”2. Ecco dunque che la sofferenza urbana diviene paradigma nuovo secondo cui: le sofferenze sono intersecate fra loro, le sofferenze sono metaindividuali, le risposte sono frammentate, frammentanti;
2. fruizione dei servizi di cure primarie: l’accesso al MMG incontra ostacoli che, per le persone intervistate, sembrano insormontabili a diversi livelli:
spostare il MMG da un’altra città, sia per gli italiani che per gli stranieri, diventa molto complesso soprattutto in assenza di una casa, quindi residenza/domicilio;
accedere al MMG: le persone devono comprendere i fogli rilasciati dalla ASL con le indicazioni rispetto all’ambulatorio del MMG (orari e modalità di accesso: con o senza appuntamento), capire quando è possibile telefonare (non sempre il MMG risponde e spesso gli orari per contattarlo non sono scritti sui fogli che rilascia ASL), ed essere in grado di farlo.
Ma le evidenze della letteratura ci confermano che una buona assistenza primaria (misurata con indicatori di accessibilità, continuità, tempo dedicato alle visite, tipo di relazione medico-paziente) si associa ad esiti positivi di salute, riduzione dei costi dell’assistenza ed è in grado di ridurre le disuguaglianze sociali di salute16.
Nel 2008 nel rapporto finale, la commissione dell’OMS sui determinanti sociali di salute ha ricordato che le differenze nello stato di salute non sono frutto del destino, ma di scelte politiche (policy) sbagliate, e ha indicato la Primary Health Care come modello per affrontare le cause sociali, economiche e politiche delle malattie5.
Possiamo quindi concludere che le traiettorie di cura esplicitate mettono in relazione tre livelli continuamente interconnessi e mai separabili che sono: patient, practice e policy.
A conclusione dello studio evidenziamo:
1. la domanda di cura è la porta d’ingresso ad una richiesta più ampia e complessa, che potremmo definire domanda di salute;
2. questa complessità può essere colta nel qui e ora di una visita ambulatoriale;
3. questa complessità necessita l’attivazione di un servizio destrutturato, flessibile, capace di affrontare l’imprevedibilità, e reattivo nel rispondere alla domanda complessa su più ambiti, presupponendo la presa in carico della persona anche se non è in grado di arrivare al servizio;
4. è urgente pensare alle forme concrete di una sanità che passa dall’attesa all’iniziativa, e che questa possa tradursi in primo luogo in un “andare verso” la persona.

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