Educare all’accoglienza
Virginio Colmegna
Presidente Casa della Carità di Milano
segreteria.direzione@casadellacarita.org






Sono sempre più convinto dell’urgenza di partire dalle situazioni periferiche non soltanto nel senso geografico, ma nel senso esistenziale di attenzione alle fragilità per le quali creare cambiamento, innovazione, deistituzionalizzazione, ripresa della coscienza positiva in termini di cittadinanza attiva.
Il rischio oggi è di essere travolti dalla realtà dell’emergenza, percepita come nostra e non degli altri, p. es. quelli che arrivano, che ha come risposta l’assistenza; senza capacità culturale e politica innovativa che coniughino capacità professionali e intelligenza sociale. Il contesto culturale sembra dominato dalla paura (dei portatori di fragilità) e dall’incapacità di lettura dell’esistente con la creazione di muri, di manicomi dell’emergenza. Mi ricordo Martini, quando volle Casa della Carità: un luogo di ospitalità anche gratuita, ma soprattutto un ambito culturale 1.
In Flatlandia 18822 si racconta di un mondo senza ombre dove vivono figure a due dimensioni: le donne sono le linee rette, i ceti più svantaggiati sono i triangoli isosceli, il ceto medio è composto da triangoli equilateri, le professioni più elevate sono i pentagoni; infine i sacerdoti sono i cerchi. Il problema fondamentale di questi abitanti è quello della relazione tra di loro. Infatti gli incontri negli spazi pubblici sono pericolosi, ciascuno degli abitanti può vedere solo dell’altro linee che si allungano o si accorciano così finiscono spesso di essere infilzati gli uni sugli altri. È una società ostile quella raccontata in questo libro, dove le relazioni tra le persone sono superficiali e incerte, gli incontri portano a morti violente.
Il testo salva invece la scuola che diventa luogo dove le figure possono imparare a riconoscersi reciprocamente. A un certo punto arriva il perturbante, cioè la sfera che racconta dell’esistenza di un mondo a tre dimensioni. La metafora è molto attuale su come la mancanza di profondità, la mancanza di diversità portino a relazioni sociali appiattite anche culturalmente, caratterizzate solo dall’immediatezza, dall’urgenza, dell’emergenza e dalla relazione dicotomica amico-nemico. L’urgenza di assistenza diventa spesso business, un rafforzamento di proprie identità chiuse, anche quando animate da sentimenti di bontà 2.
In Casa della Carità attualmente ospitiamo 140 persone da 90 Paesi diversi. La massificazione dice che sono poveretti, accolti nell’emergenza. L’ospitalità da chi è diverso per cultura o per storia chiede fortemente l’attenzione di non dare risposte standardizzate alle domande che ci pone chi ha bisogno. Quando abbiamo impostato la deistituzionalizzazione psichiatrica, la chiusura degli istituti, l’apertura di comunità, la cultura dell’affido, la cultura della capacità di ricostruire sistemi di relazione, di responsabilità, di comunità avevamo fiducia nelle istituzioni. Ci appelliamo a una cultura di beni comuni che è appartenenza a un mondo anche diverso dove si inietta l’energia del futuro. Oggi sembra prevalere la sopravvivenza del sistema e dei gestori dell’emergenza, senza dimensione dell’ascolto e dell’incontro.
Quando Papa Francesco a Lampedusa disse “lasciateci piangere” non era l’effetto di una situazione emotiva, ma di un sentimento di ricostruzione, dall’indignazione all’auspicio per la capacità di leggere, relazionarsi in modo diverso. Con Appadurai3, come Casa della Carità siamo per il partire dal basso, per ricostruire continuamente questa capacità. Tutti avvertiamo il senso della complessità, ma è a partire dalla relazione di aiuto e dai luoghi dove si sviluppano i sentimenti che si crea la forza di cambiamento. L’ascolto delle storie contribuisce a rafforzare la capacità di innovazione grazie alla potenza dell’empatia, che non è solo capacità di identificarsi con una persona, mettersi nei panni dell’altro come si teorizza, ma ascoltare i racconti vuol dire entrare in universi diversi, esplorare immagini mentali diverse. Empatia vuol dire farsi anche affascinare dai racconti non solo come ascolto professionale, ma anche come predisposizione a “stare con”, senza la retorica di chi porta aiuto o con il distacco di un atteggiamento che finisce per essere di distanza e umiliante.
Dal punto di vista culturale uno dei cambiamenti messi in atto da Papa Francesco è quello, per la prima volta, di aver mantenuto a sé il dicastero delle migrazioni; non per un problema assistenziale, ma perché lì intravede che c’è una questione straordinaria di cambiamento, di avvicinarsi, di riconoscere un “noi” e non solo un “io”. È la solidarietà che produce coesione sociale anche sui fenomeni migratori.
Ad esempio in Casa della Carità abbiamo ospitato una persona che ha fatto il trapianto di reni, immigrata, senza permesso soggiorno. Così come ospitiamo tre persone in chemioterapia che non hanno punti di riferimento. In un luogo di emergenza e in una realtà come Milano, questa accoglienza appartiene a una cultura di cittadinanza inclusiva di fiducia. Un modo diverso di guardare alla realtà investendo anche in cultura. Una simile consapevolezza era rappresentata anche in tante esperienze di movimenti di realtà cooperativistiche di solidarietà che oggi vanno rilanciate senza farle diventare un business. L’incontro con il valore della diversità a cui invita anche Martha Nussbaum 4 prevede di coltivare l’umanità attraverso il dialogo, l’immedesimazione nelle diverse identità e culture, ma con una immaginazione narrativa che guarda al futuro. Partire dalle disuguaglianze non è un’operazione di carattere assistenziale, ma un’operazione di sviluppo positivo anche economico. L’immaginazione narrativa nella lotta alla povertà è dunque uno strumento necessario per agire in maniera empatica e riflettere sull’interiorità di chi ci troviamo di fronte. Questo concorre alla formazione professionale, di un certo tipo di cittadino, di una certa forma di comunità. La realtà della diversità non è semplicemente una questione di carattere economico, ma mette in moto i significati più profondi dell’esistere in quanto tale interessa anche la sfera delle relazioni sociali ed economiche. A tale proposito è attuale il racconto di Don Milani in Esperienze Pastorali5: “… oggi arriva la salvezza nella nostra parrocchia di una famiglia con 6 bambini tutti handicappati…”.
La sfida della fragilità vissuta nell’ospitalità anche nostra ci riconsegna domande di vite e significati da non sciupare. Qui sta il nocciolo della condivisione: sentire come appartenenti a noi stessi interrogativi degli altri. Lacan ci insegna che l’altro ha una natura doppia: da un lato è il mio simile, dall’altro è uno che desidera, che perciò non è in grado di sapere cos’è e cosa gli manca6.
Condividere spiritualmente e culturalmente ogni fragilità significa diventare partecipi con gli altri di passioni ed emozioni. Vivere la solidarietà farsi coinvolgere così che incida anche sul nostro modo di vivere. Vivere la professione in quest’ottica anche la ricerca, se volete anche spirituale, viene avvertita non come questione sovrastrutturale, ma come questione profondamente antropologica che ci riguarda con una voglia di recuperare il sentimento di fiducia e di cambiamento.

BIBLIOGRAFIA
1. www.casadellacarita.org/ martini-dialogo-casa
2. Abbott EA. Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni. Traduzione di d’Amico M. Milano: Adelphi, 2003, pp. 166.
3. Appadurai A. Lectio magistralis. Casa della Carità, 6 novembre 2012. www.casadellacarita.org/ appadurai.
4. Nussbaum MC. Coltivare l’umanità. Roma: Carocci editore, 2006, pp. 340.
5. Milani L. Esperienze Pastorali. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina, 1997, pp. 477.
6. Lacan J. Libro V, Le formazioni dell’inconscio, 1957-58; trad. di Antonio Di Ciaccia (capp. I-XIX) e Maria Bolgiani (capp. XX-XXVIII e allegati), a cura di Antonio Di Ciaccia. Torino: Einaudi, 2004.