Empowerment clinico del paziente e gestione collettiva della domanda di cure: realtà o illusione?
Gianfranco Domenighetti
Slow Medicine e Università della Svizzera Italiana
gianfranco.domenighetti@usi.ch


ABSTRACT
Clinical empowerment of patients and collettive management of demand for care and medical service: reality or illusion?
The consideration proposed evaluates the process of “shared decision making” between a physician and a patient as a privileged way to manage the individual clinical relationship. The paper also looks at the use of economic tools for the “management of the collective demand for care and medical services”. In particular, the analysis raises the question of whether these two different approaches could contribute to the patient’s personal “empowerment” and, respectively, to the collective consumer-patient in view of a more appropriate resource consumption. The conclusion is disappointing: the “shared decision-making process” collides, from the physician’s side, with the uncertainty behind medical science and clinical practice – the latter as a direct consequence of the variability between individual physicians in terms of level of knowledge, how updated that knowledge is, degree of statistical literacy, presence of conflicts of interest, and practice of defensive medicine. From the patient’s side, this process collides with the patient’s chronic clinical and technical illiteracy. The “sharing” will, in most cases, be virtually non-existent and can only lead to the patient’s uncritical adherence to the physician’s proposals, independently of their level of appropriateness. Therefore no appreciable contribution to patient “empowerment” will be present.
The “management of the collective demand for care and services” sector is monopolized by economists: these seem to be obsessed with a phenomenon called “moral hazard”, i.e., the fact that consumers have opportunistic behaviors in pursuing their own interests while damaging the counterpart. Economists, in fact, believe that in “universal” health systems patients consume too many resources, going to the doctor even when it is not necessary or appropriate. Economists believe that managing the demand for medical services while reducing or avoiding these circumstances can only be achieved by implementing “crude” economic and financial barriers and obstacles to accessing care and medical services (implementation of disincentives, patient participation in the costs generated, tickets, and exemptions). The presumed usefulness of these instruments is based on one randomized trial carried out in the 1970s that showed, unsurprisingly, that consumption and overall cost decreased with the growth of cost sharing by patients. According to the results of that study the consumption of “inappropriate or unnecessary” medical services was also reduced, although “appropriate or necessary” medical care was reduced as well. This latest result, in addition to not being of practical use, could easily have been predicted given the chronic clinical illiteracy of patients. Consequently, also in this case, there was no contribution of these tools to the “empowerment” of demand, even though most countries have welcomed and implemented these tools in order to involve patients in the co-financing of continuously growing health care spending.
Key words. Shared decision making | empowerment | patient participation | health service | health economics.

RIASSUNTO
La riflessione qui proposta analizza, da un lato, il “processo decisionale condiviso” tra un medico ed un paziente quale modalità privilegiata di gestione della relazione clinica individuale di cura e, dall’altro, il ricorso a strumenti dell’analisi economica per la gestione della domanda collettiva di cure e prestazioni. In particolare l’articolo si pone la domanda se queste due modalità di gestione della relazione e dell’accesso al sistema contribuiscano all’ empowerment clinico individuale del paziente e collettivo del cittadino-utente-consumatore in vista di consumi più appropriati. La conclusione è deludente: un “processo decisionale condiviso” si scontra, dal lato del medico, con l’incertezza della scienza medica, con l’aleatorietà della pratica clinica quale conseguenza diretta della variabilità delle conoscenze e dell’aggiornamento di ciascun medico, del suo grado di alfabetizzazione statistica, dei suoi conflitti di interesse e della sua pratica della medicina difensiva. Dal lato del paziente, tale processo si scontra con il suo cronico analfabetismo clinico e tecnico. La “condivisione” sarà quindi, nella quasi totalità dei casi, praticamente inesistente e non potrà che ridursi per il paziente ad aderire, sulla base della fiducia, acriticamente alle proposte del terapeuta aldilà del grado di appropriatezza della prescrizione. Di conseguenza nessun contributo apprezzabile all’ empowerment del paziente.
La “gestione della domanda collettiva di cure e prestazioni” è un settore monopolizzato dagli economisti. Per quanto attiene il settore sanitario essi sembrano essere ossessionati dal fenomeno denominato “azzardo morale”, cioè dal fatto che i consumatori assumano dei comportamenti opportunisti al fine di perseguire i propri interessi a danno della controparte. Altrimenti detto gli economisti ritengono che nei sistemi sanitari “universali” i pazienti consumino troppe risorse andando dal medico anche quando ciò non sia né necessario né appropriato. Al fine di ridurre o evitare questa dinamica gli economisti ritengono che la gestione della domanda di prestazioni non può essere attuata che tramite l’introduzione di “rozze” (in quanto non considerano l’effettiva necessità medico–sanitaria e l’appropriatezza delle prestazioni) barriere ed ostacoli di tipo economico e finanziario all’accesso a cure e prestazioni (implementazione di disincentivi al consumo, partecipazione dei pazienti ai costi generati, ticket e franchigie). L’utilità presunta di questi strumenti si fonda su un’unico studio randomizzato condotto negli anni ‘70 che dimostrava che il consumo e il costo globale delle prestazioni diminuivano con la crescita della partecipazione ai costi da parte dei pazienti, il che non rappresenta una grande sorpresa. Secondo gli autori di quello studio anche l’assistenza medica “inappropriata o non necessaria” (sovra-utilizzo) è stata ridotta come pure però lo sono state anche le cure mediche “appropriate o necessarie”. Quest’ultimo risultato, oltre a non essere di grande utilità pratica, poteva già essere predetto visto l’analfabetismo clinico dei pazienti. Di conseguenza anche in questo caso nessun contributo all’ empowerment della domanda anche se praticamente tutti gli Stati hanno accolto questi strumenti allo scopo di far partecipare i pazienti al co-finanziamento di una spesa sanitaria in continua espansione.
Parole chiave. Processo decisionale condiviso | empowerment | partecipazione del paziente | servizi sanitari | economia sanitaria.


INTRODUZIONE
Il settore sanitario è probabilmente il più importante settore economico di largo consumo di beni e servizi caratterizzato dalla complessità, dall’incertezza, dall’asimmetria informativa, dalla qualità poco misurabile, dai conflitti di interesse, dall’inflazione tecnologica nonché dalla opacità e dalla variabilità delle decisioni medico-cliniche, fattori questi alla base della sovra e/o sotto medicalizzazione del paziente quindi dell’inappropriatezza della prescrizione di prestazioni medico-sanitarie.
Da qui una spinta sociale significativa auspica, tramite l’utilizzo degli strumenti della ricerca clinica, dell’epidemiologia e della sanità pubblica, che la relazione clinica individuale tra un paziente e un medico sia fondata sul cosiddetto “processo decisionale condiviso” (shared decision making) in vista della gestione o della risoluzione di un dato problema individuale di salute1,2.
D’altro canto la non controllabilità della crescita della spesa sanitaria che mina a livello collettivo la sostenibilità economica dei sistemi di salute cosiddetti “universali” è alla base dell’implementazione, a livello di sistema, di organizzazioni e strumenti, proposti dall’economia sanitaria, che dovrebbero permettere una gestione non inflazionista della domanda collettiva di cure e prestazioni.
La riflessione qui proposta analizza questi due aspetti: il “processo decisionale condiviso” e il ricorso a strumenti economici per gestire la domanda collettiva. In particolare l’articolo si pone la domanda se essi contribuiscano all’empowerment individuale del paziente e collettivo del cittadino-utente-consumatore.
Non sono invece qui trattate e discusse quelle dimensioni dell’empowerment che si rivolgono a cittadini soggettivamente in buona salute allo scopo di migliorare la loro cultura sanitaria in senso lato e la cosiddetta health literacy. Tra queste ricordiamo, la prevenzione primaria, centrata sui fattori di rischio e di protezione dalle malattie cronico-degenerative e dai rischi ambientali, oppure l’informazione puntuale sugli effetti avversi del sovraconsumo di certe prestazioni sanitarie, quali ad esempio gli esami con emissione di radiazioni ionizzanti, l’abuso di antibiotici o di inibitori della pompa protonica, ecc. Altre dimensioni non considerate concernono la partecipazione pubblica alla definizione dell’organizzazione dei servizi sanitari oppure alla valutazione di alcuni aspetti della qualità dell’assistenza sanitaria e della ricerca e, per i Paesi che riconoscono i diritti di referendum e di iniziativa, la partecipazione dei cittadini a scelte strategiche circa l’orientamento e le priorità da dare ai servizi sanitari. Sta il fatto che oggigiorno, come sottolinea anche l’OMS, la tradizionale promozione della salute fondata sulla modifica degli stili di vita deve essere affiancata da interventi efficaci sulle diseguaglianze di tipo economico e sociale che rappresentano i principali determinanti dello stato di salute 3,4.

L’EMPOWERMENT CLINICO DEL PAZIENTE NEL “PROCESSO DECISIONALE CONDIVISO”
La gestione condivisa tra un medico e un paziente di un problema individuale di salute postula l’assunzione di un ruolo (più) attivo da parte del paziente. Questa è di gran lunga la relazione più complessa poiché coinvolge emozioni, paure, identità, valori, aspirazioni, attese, storia professionale e competenze sia da parte del paziente che del medico. Essa può concretizzarsi tramite un “processo decisionale condiviso” (shared decision making) tra medico e paziente1,2. Si tratta in sostanza di un percorso che il medico e il paziente compiono insieme e che porta a prendere una decisione condivisa rispetto alla gestione di un disturbo o di una malattia. Il medico mette a disposizione del paziente le proprie abilità e conoscenze medico-scientifiche e il paziente esprime i propri dubbi, preferenze e aspettative. La scelta sul da farsi sarà quella che terrà in considerazione entrambi gli aspetti nell’interesse primario di quel particolare individuo.
Per aiutare i pazienti nelle scelte che li concernono sono stati creati degli strumenti di aiuto alla decisione (decision aids) che dovrebbero facilitare la scelta tra le diverse opzioni di cura di alcune patologie nonché facilitare le decisioni concernenti alcuni accertamenti di diagnosi precoce e di screening. Secondo una revisione Cochrane questi strumenti hanno contribuito, per alcune patologie scelte, a migliorare la conoscenza dei pazienti sulle opzioni di cura disponibili, ad avere aspettative e più accurate informazioni sui possibili benefici e rischi dell’opzione scelta, a partecipare più consapevolmente al processo decisionale e infine a promuovere una migliore comunicazione con il professionista della salute 5. Tuttavia nonostante i numerosi studi randomizzati e controllati, vi sono scarse prove della qualità dell’effetto di tali strumenti sui processi di cura e sui risultati per il paziente6. Inoltre i medici sono riluttanti al loro utilizzo7 causa anche la perdita di tempo8 e, secondo una recente revisione sistematica, ulteriori ricerche sono necessarie per evitare aspettative premature o irrealistiche9. Altro ostacolo al loro utilizzo è rappresentato dalla durata media della consultazione presso un medico di famiglia che si situava, nel 2016 e nel Regno Unito, tra gli 8 e i 10 minuti10,11, mentre uno studio in 6 paesi europei del 2002 indicava una durata media di 10,7 minuti12. A nessuno sfuggirà come, stante una tale esigua disponibilità di tempo, un processo decisionale effettivamente condiviso tra un medico e un paziente sia piuttosto facilmente riconducibile ad un’operazione puramente virtuale.
Altri fattori che possono significativamente influenzare la qualità della relazione condivisa tra medico e paziente sono l’incertezza propria ad ogni singolo medico, che dipende dal grado di aggiornamento delle sue conoscenze, nonché dall’esperienza clinica acquisita. A questa incertezza va aggiunta quella della scienza medica che postula che le prestazioni medico-sanitarie che beneficiano di una validazione scientificamente fondata corrispondono a circa il 20% del totale13, mentre che il 33% delle prestazioni erogate non apporterebbe nessun beneficio ai pazienti sottoponendoli invece a rischi che potrebbero essere evitati14. Diversi studi hanno evidenziato la variabilità della risposta diagnostica e terapeutica tra i singoli medici anche se confrontati con pazienti che avevano la stessa patologia15-17. Ad esempio nel 2015 al 77,2% delle donne che prendevano la pillola anticoncezionale i ginecologi attivi nel Canton Ticino hanno prescritto unicamente pillole di terza generazione che mediamente raddoppiano il rischio di trombosi18. Alcune ricerche hanno mostrato come il consumo da parte dei medici (per loro stessi) di prestazioni chirurgiche “elettive” o “rituali” (consumo che può essere ritenuto un gold standard in quanto i medici rappresentano il gruppo di popolazione più informato) fosse inferiore a quanto gli stessi medici avevano prescritto a diversi gruppi socio-economici di pazienti19, inoltre per determinate patologie i medici fanno per loro stessi delle scelte prescrittive diverse da quelle che avrebbero fatto ai loro pazienti20.
Ulteriore problema che può rendere virtuale il rapporto condiviso tra medico e paziente è rappresentato dall’analfabetismo statistico dei medici. In effetti la statistica è alla base dell’interpretazione dei benefici e dei rischi degli interventi e delle prescrizioni mediche. Ciononostante studi hanno dimostrato che i medici sono in grado di capire l’analisi e l’interpretazione dei risultati di solo il 21% degli articoli scientifici21. L’alfabetizzazione statistica della maggior parte dei medici è così scarsa che non si può pretendere che essi traggano le giuste conclusioni dalle analisi degli studi pubblicati sulle riviste mediche22 e non sembra che la comprensione sia migliorata rispetto a quarant’anni or sono23. Non sorprende quindi che uno studio recente24 abbia mostrato che la grande maggioranza dei medici non è in grado di distinguere tra gli screening di importanza irrilevante (consigliati negli USA dal 69% dei medici di medicina generale) e quelli che al contrario riducono in modo significativo la mortalità concomitante consigliati dal 23%.
Da considerare sarà inoltre la variabilità delle linee guida25-27 e i legami degli autori che le hanno elaborate con l’industria28-30. A tali raccomandazioni i medici dovrebbero riferirsi per la gestione di questa o quella morbilità.
Anche la richiesta di un “secondo parere medico” non può garantire, all’evidenza, l’appropriatezza. Infatti uno studio recente ha mostrato che su circa 7000 pazienti che avevano chiesto un “secondo parere medico” al 40% di loro è stata proposta una modifica della diagnosi e/o della terapia originalmente indicata31. Purtroppo lo studio non dava nessuna indicazione sull’appropriatezza del nuovo parere rispetto al primo.
Infine altri fattori “di disturbo” della relazione condivisa tra medico e paziente saranno la medicina difensiva, foriera di prestazioni inappropriate, praticata da circa l’80% dei medici in UK, negli USA e dal 66% in Italia32-34 e i conflitti di interesse tra gli attori del sistema e l’industria farmaceutica e delle altre tecnologie che investono più nel marketing che nella ricerca35 allo scopo di promuovere la prescrizione di farmaci e l’acquisto di attrezzature di regola diagnostiche.
Tutto quanto precede indica l’aleatorietà dell’empowerment nel processo decisionale condiviso tra un paziente e un medico. Se consideriamo l’analfabetismo clinico e tecnico del paziente, “la condivisione” sarà, nella quasi totalità dei casi, praticamente inesistente e non potrà che ridursi per il paziente ad aderire acriticamente alle proposte del terapeuta come pure ad accettare come “scientificamente fondate” le risposte che il medico darà alle “Giuste domande da fare al medico” proposte dal Programma Nazionale Linee Guida (PNLG) del Ministero della Salute 36 nel caso il paziente le ponesse.
Alcuni risultati positivi sono stati invece ottenuti con i pazienti affetti da patologie croniche (ad esempio: il diabete) allorquando i pazienti diventano “i primi esperti” della loro patologia.
Da ultimo una domanda sembra doverosa. L’uso dell’e-health e di internet può o potrà aiutare il cittadino a distinguere il “grano dal loglio”? Probabilmente già ora i giovani (più abili in informatica) nella misura in cui conoscono la lingua inglese e sono sufficientemente “alfabetizzati” nel gergo medico sanitario possono accedere a siti di qualità come ad esempio quelli prodotti dal National Health Service britannico o da altre agenzie pubbliche (ad esempio Medline Plus). Sicuramente in un prossimo futuro internet e l’e-health saranno un potentissimo strumento di empowerment del paziente che tuttavia necessiterà della verifica tramite la comunicazione interpersonale con un professionista della sanità. Il confronto dialettico ne sarà probabilmente arricchito per tutte quelle situazioni dove l’urgenza non imporrà decisioni immediate. “Secondo Google sto benissimo” è una frase che, sempre più spesso, comincia a diffondersi37.

EMPOWERMENT E GESTIONE DELLA DOMANDA COLLETTIVA DI CURE E PRESTAZIONI
La necessità di gestire la domanda collettiva di cure e prestazioni discende dall’evidenza della crescita incontrollabile dei costi dei sistemi sanitari cosiddetti “universali” che ne minano la loro sostenibilità economica. I principali fattori responsabili di questa inarrestabile dinamica sono l’inflazione tecnologica38-40, l’invecchiamento demografico (unica causa “naturale” non significativamente modificabile), il marketing mediatico che enfatizza i benefici delle prestazioni41, la credenza popolare che la medicina sia una scienza esatta42, la medicalizzazione della vita e il disease mongering43-45, la sovradiagnosi46,47 e, ovviamente, l’evidenza che la gente preferisce vivere piuttosto che morire. Le “soluzioni” per gestire la domanda globale di cure e prestazioni proposte dall’economia sanitaria, qui di seguito descritte, sono state le uniche accolte, in diversa misura, da tutti i sistemi sanitari cosiddetti “universali”.
Domanda e offerta di prestazioni sul mercato sanitario secondo la teoria economica. Per gli economisti il paziente-consumatore è un soggetto economicamente debole poiché, per mancanza di informazioni, non è in grado di esprimere sul mercato dei beni e dei servizi sanitari preferenze di consumo razionali e tecnicamente fondate. Al fine di superare l’ostacolo dell’asimmetria informativa tra offerta e domanda, ossia tra medico e paziente, gli economisti hanno inventato il cosiddetto “perfetto rapporto di agenzia”. Esso postula che il medico, nella sua qualità di professionista della salute, agisca nel miglior interesse sanitario del paziente dandogli nel contempo, se desiderate, anche tutte le informazioni indispensabili per una eventuale e possibile espressione di preferenze di consumo. Il grado di perfezione del rapporto di agenzia tra medico e paziente dipende da molti fattori; in particolare, dal grado di aggiornamento delle conoscenze professionali da parte del medico nonché dall’influenza che gli incentivi di tipo economico o professionale e i conflitti di interesse possono avere sulle decisioni prescrittive diagnostiche e/o terapeutiche 48. Mentre sui mercati “classici” il ruolo motore dei consumi è dal lato della domanda (se non acquisto più un certo bene o servizio il produttore sarà destinato a “fallire” o a cambiare la sua produzione) su questo mercato “anomalo” dominato dall’asimmetria dell’informazione e dall’incertezza della scienza e della pratica clinica49 il motore è invece dal lato dell’offerta che è in grado di decidere, tramite la prescrizione, di regola non sindacabile, la tipologia e il livello di consumo della domanda. L’offerta è così in grado anche di manipolare la domanda per soddisfare propri obiettivi di tipo economico, professionale e di prestigio. Inoltre nei sistemi sanitari cosiddetti “universali” l’accesso al consumo è indipendente dalla capacità di pagare del cittadino-paziente. Di conseguenza la concorrenza tra servizi e operatori è inesistente poiché essa potrebbe essere fondata solo sulla qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate, dimensioni queste ultime sconosciute di regola al paziente 50. Per tutti questi motivi la dinamica propria alla produzione e al consumo di beni e servizi medico-sanitari rappresenta per gli economisti il “fallimento del mercato” poiché il ruolo motore non è dal lato della domanda bensì da quello dell’offerta. In effetti la sola scelta del paziente-consumatore è di regola quella di consultare un professionista della salute allorquando un problema psico-fisico gli risulterà “insopportabile o di difficile gestione”, varcata la soglia di un gabinetto medico poi, di regola, la sua autonomia decisionale tende ad annullarsi.
Induzione della domanda da parte dell’offerta. Visto quanto precede non sorprende che l’offerta sia in grado di indurre la domanda di cure e prestazioni. Già nel 1974 Evans pubblicava alcune evidenze empiriche che dimostravano come l’induzione fosse possibile51, tuttavia gli economisti classici hanno combattuto (e con loro anche le corporazioni mediche) l’idea che sul mercato medico-sanitario l’offerta fosse in grado, grazie all’asimmetria dell’informazione e all’incertezza, di manipolare la domanda e indurre i consumi. Se ciò fosse stato dimostrato la teoria del “perfetto rapporto di agenzia”, pilastro teorico che permetteva di far quadrare anche per il mercato sanitario i principi dell’economia classica, sarebbe stata vanificata. I principali determinanti dell’induzione della domanda sono: gli incentivi economici (ad esempio il pagamento a prestazione o a notula dell’attività medica), la medicina difensiva, la cosiddetta “incertezza medica” (cioè l’ignoranza e il grado di aggiornamento delle conoscenze tecnico-scientifiche del medico che lo spingono a sovraprescrivere), la diffusione e il marketing dell’innovazione tecnologica ed infine i conflitti di interesse e la corruzione. Oggigiorno la teoria dell’induzione della domanda non è più contestata 52,53 e la discussione è invece centrata sulla sua quantificazione monetaria, operazione metodologicamente non facile, se non impossibile da misurare anche se ben visibile in termini epidemiologici in particolare tramite gli studi comparativi sulla variabilità ove si mette in relazione la densità medica in particolare di specialisti con l’incidenza (o eventualmente la prevalenza) di questa o quella prestazione. Ad esempio una crescita della densità medica comporta di regola un aumento delle prestazioni, e quindi dei costi, in seno ad una data popolazione, tuttavia l’aumento di prestazioni che di regola ne consegue potrebbe ad esempio essere dovuto non tanto ad una induzione dei consumi bensì ad una domanda inespressa o insoddisfatta. Chiedendo ad un campione rappresentativo di medici pagati a prestazione ( fee for service) se ritenevano che i loro colleghi avrebbero indotto la domanda di prestazioni presso i loro pazienti allorquando percepivano una diminuzione od una minaccia al loro reddito dovuto all’arrivo di nuovi colleghi, solo il 2% escludeva esplicitamente l’utilizzo di questa pratica54 il che può indirettamente significare quanto la stessa sia diffusa.
Induzione dell’offerta da parte della domanda. Ad ulteriormente complicare la relazione tra medico e paziente e quindi il “perfetto rapporto di agenzia”, si è constatato che anche i pazienti fanno opera di induzione per ottenere prestazioni e servizi aggiuntivi che i loro medici di riferimento non avevano prescritto loro55. Quest’ultimo fenomeno è in larga misura sostenuto e promosso dai media e dal marketing dei rischi di salute e dell’innovazione tecnologica pseudo o reale che sia. In Svizzera il 33% delle consultazioni mediche dà luogo ad almeno una richiesta supplementare di prestazioni da parte dei pazienti, richieste totalmente o parzialmente accolte nella misura di oltre il 90% dei medici56. In Italia secondo un sondaggio FNOMCeO-Slow Medicine il 44% dei medici dichiara di ricevere dai pazienti richieste di esami e trattamenti non necessari almeno ogni giorno o più volte la settimana. Se il paziente insiste per ottenere la prestazione non appropriata nonostante le spiegazioni, il 36% dei medici italiani rispondenti dichiara di prescrivere un test, un trattamento o una procedura pur ritenendolo inutile e il 20% si dichiara incerto57.
Gestione della domanda collettiva di cure e prestazioni. Tutti i sistemi sanitari che assicurano un accesso “universale” a servizi e prestazioni sono caratterizzati da un cronico eccesso di domanda. A questo punto si pone il tema centrale di come gestire questo flusso come pure la produzione indotta di prestazioni e servizi medico-sanitari che come abbiamo visto è influenzata sia dall’offerta che dalla domanda.
Per combattere o ridurre l’opportunismo di consumo degli attori, quindi l’induzione della domanda e dell’offerta, gli economisti sanitari di regola propongono sistemi di remunerazione dell’attività medico-sanitaria non inflazionisti (abbandono del pagamento a prestazione, promozione di sistemi con stipendio fisso o forfettario oppure a capitazione, ecc.) nonché la creazione di organizzazioni di fornitori di prestazioni e reti di cura che si occupano della “gestione globale” e “più efficiente” del paziente (tipo HMO o altre forme di managed care) anche se restringono la libertà di scelta del fornitore di prestazioni e comportano un certo rischio di razionamento58. La scelta da parte del paziente di questo tipo di organizzazione è promossa tramite diverse forme di incentivi economici.
Ma gli economisti sembrano, per così dire, più “ossessionati” dal fatto che i consumatori, sul “mercato” sanitario assumano dei comportamenti opportunisti al fine di perseguire i propri interessi a danno della controparte e ciò sia nel settore pubblico finanziato con la tassazione generale (considerato come un’ “assicurazione” universale a beneficio di tutta la popolazione al di là della capacità di pagare del singolo), sia in quello privato come pure in quello delle assicurazioni sociali a vocazione “universale”. Questo opportunismo post-contrattuale del consumatore è denominato dagli economisti “azzardo morale” ( moral hazard). Nel campo della sanità non solo gli assicurati (pazienti) tendono a modificare i loro comportamenti in modo opportunista allorquando è coperto il rischio economico connesso ai loro consumi medico-sanitari, bensì anche i fornitori di prestazioni poiché (a) avranno sempre la garanzia del pagamento dell’attività svolta indipendentemente dalla prestazione erogata, (b) avranno più interesse a moltiplicare le prestazioni sui pazienti visitati nel quadro dell’intramoenia oppure assicurati privatamente.
Per ridurre “l’azzardo morale”, gli economisti sanitari ritengono che la gestione della domanda di prestazioni non può essere attuata che tramite l’introduzione di “rozze” (in quanto non considerano l’effettiva necessità medico-sanitaria e l’appropriatezza delle prestazioni) barriere e ostacoli di tipo economico e finanziario all’accesso a cure e prestazioni (implementazione di disincentivi al consumo, partecipazione dei pazienti ai costi generati, ticket e franchigie) oppure mantenendo lunghe “liste di attesa” il cui scopo non detto è quello di dissuadere gli utenti dal richiedere la prestazione a carico del servizio pubblico oppure, per coloro in grado di pagare, di promuovere l’accesso pagante nel settore privato o in quello “privato-pubblico” (intramoenia). Va osservato che questi strumenti se non correlati al reddito possono porre problemi maggiori di giustizia sociale e di equità di accesso, in particolare per i meno abbienti, i malati cronici e gli anziani. Questi “rozzi” meccanismi, ormai generalizzati in quasi tutti i sistemi sanitari, saranno efficaci solo se portano alla diminuzione di consumi inutili o inappropriati, ma saranno pericolosi se indurranno i pazienti a rinunciare per motivi economici a cure appropriate e necessarie. Sarà quindi necessario un “arbitraggio” tra efficienza economica ed efficacia sanitaria, tra incitazioni economiche ed equità di accesso al sistema. Ancor oggi l’unica analisi di riferimento in questo campo è uno studio che risale ormai ad oltre quarant’anni or sono. Si tratta del Rand Health Insurance Experiment condotto dal 1974 al 1982 da Newhouse J59,60. Lo studio, randomizzato, consisteva nella selezione casuale di 6000 persone alle quali sono stati attribuiti, sempre in modo casuale, altrettanti contratti di assicurazione che si differenziavano per il loro grado di copertura dei costi e per la quota massima delle spese mediche lasciate a carico dei singoli contraenti. Come ci si aspettava il consumo e il costo globale delle prestazioni diminuivano con la crescita dei copayments. Secondo gli autori dello studio più la partecipazione ai costi del paziente era elevata più l’assistenza medica “inappropriata o non necessaria” (sovrautilizzo) è stata ridotta, come pure lo sono state però anche le cure mediche “appropriate o necessarie”. Quest’ultimo risultato oltre a non essere di grande utilità pratica poteva già essere predetto visto l’analfabetismo clinico dei pazienti. Lo studio, durato 5 anni, non aveva un potere statistico sufficiente per evidenziare se le persone che hanno consumato meno cure appropriate o necessarie avevano più probabilità di morire. Sta il fatto che oggigiorno tutti i sistemi sanitari hanno introdotto forme diverse di copayment il cui vero scopo è quello di far partecipare i pazienti al finanziamento supplementare dei servizi e dei sistemi in funzione del loro utilizzo. Questo modo di procedere, di regola spacciato come modo per “responsabilizzare il paziente”, è un po’ come sperare di diminuire il tasso di mortalità aumentando il prezzo dei funerali.
In conclusione si può affermare che gli strumenti della scienza economica utilizzati per gestire la domanda globale di cure e prestazioni non danno nessun contributo apprezzabile all’empowerment del cittadino-paziente come pure alla gestione non inflazionista della domanda collettiva di cure e prestazioni.

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