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DIETA MEDITERRANEA, POLIFENOLI ALIMENTARI E INFIAMMAZIONE DI BASSO GRADO: RISULTATI DALLO STUDIO MOLI-SANI

L’infiammazione di basso grado, una condizione clinica che rappresenta un fattore di rischio per patologie croniche (cardiovascolari, cerebrali, tumorali e neurodegenerative), ad oggi è valutata tramite la concentrazione di biomarker plasmatici e/o cellulari. Molti studi suggeriscono che sia mitigata dalle sane abitudini alimentari. Gli autori hanno quindi studiato la relazione tra infiammazione di basso grado e i comportamenti alimentari osservati all’interno della coorte selezionata per lo studio MOLI-SANI. L’infiammazione di basso grado è stata espressa, per la prima volta in Italia, tramite un punteggio composito calcolato in base alle concentrazioni di biomarcatori plasmatici e cellulari e al loro effetto sinergico.
I risultati mostrano che l’aderenza alla dieta mediterranea è associata alla riduzione sia dei biomarker cellulari (piastrine e dei globuli bianchi) che plasmatici (proteina C reattiva) dell’infiammazione e della pressione sanguigna. Tali effetti sono attribuibili probabilmente al contenuto di antiossidanti e fibre tipici della dieta mediterranea. Infine l’infiammazione di basso grado è risultata modulata anche dall’apporto di polifenoli alimentari contenuti in frutta, verdura, tè, caffè e vino. I risultati dovrebbero contribuire a sostenere ulteriormente la corretta alimentazione sulla base dell’incommensurabile valore della dieta mediterranea. (Daria Putignano)
Fonte: Bonaccio M, Pounis G, Cerletti C, Donati MB, Iacoviello L, de Gaetano G on behalf of the MOLI-SANI Study Investigators Mediterranean diet, dietary polyphenols and low grade inflammation: results from the MOLI-SANI study. Br J Clin Pharmacol 2017; 83 107-13.




PROTOCOLLO DI UNO STUDIO
CROSS-SECTIONAL NELLE DONNE
Per “esposoma” si intende la totalità delle esposizioni ambientali a cui è soggetto un individuo per l’intera lunghezza della vita. Sia l’esposoma che gli stili di vita possono influire sul patrimonio genetico attraverso modificazioni epigenetiche, ad esempio metilazioni, che sono ereditabili e modificano il fenotipo senza cambiare la sequenza primaria del DNA. Il progetto è ambizioso, e multidisciplinare con l’obiettivo di valutare l’effetto dell’aderenza alla dieta mediterranea, dell’assunzione di folati e dell’inquinamento atmosferico sul livello di metilazione del genoma, utilizzando come marcatore la metilazione nella sequenza LINE1 (una delle principali sequenze ripetitive del DNA).
Si tratta di uno studio cross-sectional che prevede il coinvolgimento di 500 donne volontarie sane di età compresa tra 13 e 50 anni, le cui abitudini alimentari saranno stimate mediante l’utilizzo dei Food Frequency Questionnaires. La residenza delle partecipanti sarà geo-referenziata e incrociata con i dati di inquinamento atmosferico da PM10 e PM2.5 registrati dalle stazioni fisse e mobili di monitoraggio. Le analisi mineralogiche e chimiche permetteranno di valutare l’origine del particolato (vulcanica, desertica, marina, o antropogenica) e di misurare i diversi inquinanti adsorbiti. A ciascuna donna verrà prelevato un campione di sangue per estrarre il DNA e misurare il livello di metilazione nella sequenza LINE1 nei linfociti. Il progetto dovrebbe incrementare la conoscenza sui meccanismi biologici alla base delle malattie ambientali, nonostante alcuni limiti, inclusi quelli inerenti al disegno cross-sectional, che rendono difficile stabilire relazioni causali tra l’esposizione e l’effetto. (Elena Fattore)
Fonte: Barchitta M, Quattrocchi A, Maugeri A, et al. Integrated approach of nutritional and molecular epidemiology, mineralogical and chemical pollutant characterisation: the protocol of a cross-sectional study in women. BMJ Open 2017; 7: e014756.




I GENITORI ITALIANI CONOSCONO GLI ANTIBIOTICI?

II bambini sono tra i più esposti agli antibiotici, ed è stato osservato che tra il 10 e il 60% dei genitori li somministra ai propri figli anche senza prescrizione medica. Altri studi hanno mostrato che la richiesta da parte del genitore, o la percezione di tale richiesta, aumenta la probabilità che il pediatra prescriva un antibiotico. Uno studio multicentrico ha reclutato 1247 genitori di bambini di età inferiore ai 14 anni negli ambulatori di sette città italiane, somministrando loro dei questionari circa le conoscenze e le attitudini riguardo l’uso di antibiotici. Circa un terzo dei genitori ha dichiarato che gli antibiotici sono utili in caso di infezioni virali, uno su cinque che essi sarebbero utili per qualunque tipo di dolore e infiammazione e circa uno su sette ha affermato che egli stesso interrompe il trattamento antibiotico del figlio quando quest’ultimo si sente meglio. Oltre un genitore su quattro compra antibiotici per i propri figli senza la prescrizione medica. L’analisi multivariata ha mostrato che sono i maschi, disoccupati, e quelli con un livello di educazione più basso che hanno una più bassa conoscenza dell’argomento e tendono ad attuare comportamenti errati. Lo studio ha mostrato che i genitori non hanno una conoscenza ottimale dell’uso degli antibiotici. Particolare attenzione dovrebbe essere posta alla comunicazione con i genitori, specialmente a quelli appartenenti alle categorie più svantaggiate.
(Daniele Piovani) 
Fonte: Bert F, Gualano MR, Gili R, et al. Knowledge and attitudes towards the use of antibiotics in the paediatric age group: a multicenter survey in Italy. Eur J Public Health 2017; 27: 506-12.




CHI LEGGE LE ETICHETTE DEI PRODOTTI ALIMENTARI?

L’effetto delle etichette nutrizionali nella promozione di scelte salutari per l’acquisto degli alimenti è oggetto di discussione. Questo studio esplora la relazione tra l’orientamento alla salute – la motivazione ad assumere comportamenti salutari, le credenze e i comportamenti – e l’uso delle informazioni riportate sulle etichette dei cibi. In questo studio i fumatori, chi non fa esercizio fisico regolare, chi ha un peso corporeo non salutare ha un basso orientamento alla salute. Nei diversi modelli di analisi usati sono state considerate come variabili anche genere, età, livello educativo, economico, numero di persone nel nucleo familiare, fonte di informazione sul cibo (TV, internet, medico), tempo speso per decidere l’acquisto di un nuovo prodotto, e conoscenza nutrizionale.
Dalle interviste a 540 persone che uscivano da supermercati in zone centrali e periferiche di Milano è risultato che avevano maggiori conoscenze nutrizionali le donne e chi si riferiva al medico come fonte informativa. Persone dai 35 ai 54 anni di età, chi aveva reddito maggiore e persone con più conoscenze nutrizionali usavano più spesso le etichette. Le persone con indice di orientamento alla salute basso usavano meno le etichette, e le analisi suggeriscono che l’indice possa essere una variabile indipendente dell’uso. I risultati offrono spunti interessanti da valutare in studi su un campione rappresentativo, considerando ulteriormente i fattori legati all’uso delle etichette per decidere quali prodotti acquistare. (Cinzia Colombo)
Fonte: Cavaliere A, De Marchi E, Banterle A. Investigation on the role of consumer health orientation in the use of food labels. Public Health 2017; 147: 119-27.