Lo strano caso del libro di Luca Pani


Capita spesso che a conclusione di un incarico di responsabilità vi sia il desiderio di raccogliere in un libro alcuni aspetti cruciali della propria esperienza. Anche l’ex direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), il dr. Luca Pani, ci ha voluto provare. E fra i diversi aspetti controversi sui quali è stata chiamata in causa l’AIFA nei circa sei anni della sua direzione, Pani ha deciso di tornare su un tema per il quale si era già molto impegnato nel corso del suo mandato.
Il libro in questione è “Lo strano caso Avastin-Lucentis”1 e il sottotitolo fornisce già la chiave di lettura “Perché tutti vogliono delle agenzie regolatorie indipendenti che però quasi nessuno può permettersi?”. La tesi del libro è che l’uso off label dei farmaci – e cioè in indicazioni o posologie o vie di somministrazioni diverse da quelle per le quali un farmaco ha ottenuto l’approvazione per l’immissione in commercio – è pericoloso e va combattuto. Nel caso dell’uso intravitreale per il trattamento di gravi patologie oculari, l’AIFA ha fatto bene a difendere il principio dell’utilizzo del farmaco con indicazione approvata, il ranibizumab-Lucentis, anche se l’alternativa off label fornita dal bevacizumab-Avastin aveva un costo di circa 30 volte inferiore. Interventi di altre autorità – come la sentenza dell’Antitrust del 2014 che ha condannato le aziende produttrici dei due farmaci, Novartis e Roche, per collusione ai danni dei pazienti – possono provocare gravi danni sia alle persone che alle aziende farmaceutiche. Se le agenzie regolatorie sono forzate ad avallare l’uso di farmaci off label fanno un danno ai cittadini. Ha fatto male l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a inserire il bevacizumab nella lista dei farmaci essenziali. Bisogna sempre difendere l’evidenza scientifica, anziché farsi guidare da scopi economico-politico-ideologici, altrimenti si va a finire come con Stamina.
Proveremo a spiegare perché le cose non stanno come le propone Pani. Non è vero che l’uso off label sia di per sé dannoso per i cittadini; non è vero che l’Antitrust abbia operato male; non è vero che il farmaco con l’indicazione approvata, il ranibizumab, abbia un profilo beneficio-rischio migliore del bevacizumab nell’indicazione intravitreale; quella dell’OMS è stata una decisione intelligente in favore dei cittadini di tutto il mondo; non ha alcun senso associare la questione Avastin-Lucentis con quella di Stamina.

LA QUESTIONE DELL’USO OFF LABEL
Frenare l’uso off label è, di norma, una strategia corretta per evitare che i cittadini siano sottoposti a trattamenti che, se testati in maniera rigorosa, si sarebbero dimostrati più dannosi che utili. Ci sono situazioni, tuttavia, nelle quali un farmaco può non avere l’indicazione registrata anche a fronte di prove scientifiche solide derivanti da studi clinici rigorosi. La ragione è che l’indicazione di un farmaco può essere richiesta solo dall’azienda che ne è proprietaria, ma un’azienda può decidere di non richiedere una determinata indicazione se manca un interesse di mercato. Gli esempi non mancano, e riguardano di solito l’utilizzo in gruppi di pazienti meno coinvolti nelle sperimentazioni cliniche pre-registrative (dalle malattie rare, alla popolazione pediatrica, alla gravidanza)2, o l’utilizzo di farmaci a brevetto scaduto che possono essere efficaci anche in indicazioni aggiuntive a quelle originarie (situazione frequente con i vecchi farmaci oncologici).
Il fenomeno dovrebbe essere ben noto all’ex direttore dell’AIFA, in quanto è presente in Italia una norma lungimirante (Legge 648/1996) che consente di utilizzare farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) anche al di fuori delle indicazioni approvate, previo parere positivo della Commissione tecnico scientifica (CTS) dell’AIFA. Sono centinaia le “coppie” farmaco-indicazione per le quali l’AIFA autorizza l’uso off label. Nei circa 6 anni in cui Pani è stato direttore, l’elenco è stato continuamente aggiornato e non risulta che ne sia mai stata chiesta la cancellazione. Giustamente. Se un’azienda evita di fare domanda per il riconoscimento di un’indicazione, nonostante la presenza di solide prove di efficacia, la tutela della salute dei cittadini esige che un’agenzia regolatoria non giri la testa da un’altra parte3.
Questa norma è stata “estesa”, proprio a seguito del contenzioso nato dalle richieste di uso del bevacizumab intravitreale. Così, ora, è possibile prescrivere una farmaco off label, anche in presenza di un’alternativa terapeutica con indicazione approvata: “Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati, previa valutazione dell’AIFA, sono inseriti nell’elenco (della Legge 648/1996), con conseguente erogazione a carico del SSN, i medicinali che possono essere utilizzati per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico-scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza” (art. 3 Legge 79/2014).
Evidentemente a Pani questa estensione della Legge 648/1996 non è proprio piaciuta: “unico esempio nel mondo, l’ordinamento del nostro Paese, in conseguenza di un’altra deriva antiscientifica di contaminazione del piano scientifico e clinico con ingerenze politiche che descriveremo a breve, deroga a un principio generale in materia, secondo cui l’impiego di un farmaco da parte del medico e l’ammissione dello stesso all’interno del regime di rimborsabilità possono avvenire soltanto se tale farmaco ha ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio per le medesime modalità di somministrazione, dosaggio o indicazioni terapeutiche d’utilizzo”.

IL BEVACIZUMAB OFF LABEL E RANIBIZUMAB IN LABEL
L’oggetto del contendere non è l’uso off label in sé, ma se questo uso sia sostenuto o meno da adeguate dimostrazioni di efficacia. Se ci sono studi solidi a sostegno di indicazioni non approvate, l’off label si crea solo perché le aziende non richiedono il riconoscimento dell’indicazione. Se invece mancano gli studi a sostegno, l’uso off label dipende in primo luogo dalle aziende che utilizzano questo strumento, in modi più o meno mascherati in tutto il mondo, per ampliare il fatturato. A testimonianza di questi comportamenti scorretti ci sono, ad esempio, le numerose multe di decine o centinaia di milioni di dollari affibbiate ad aziende farmaceutiche negli Usa per avere cercato di promuovere il proprio farmaco in aree terapeutiche diverse da quelle per cui avevano chiesto l’autorizzazione4.
In presenza di acquirenti che possono decidere cosa rimborsare per i propri assistiti, come è il caso del SSN, quello che le aziende farmaceutiche cercano di contrastare è un principio: che in presenza di un farmaco che ha l’indicazione approvata non sia consentito l’uso di un altro farmaco privo della stessa indicazione, anche in presenza di studi clinici che sono in grado di sostenerne l’uso5. Ed è qui che si apre la questione dell’uso intravitreale di bevacizumab-ranibizumab (Avastin-Lucentis).
La ragione per la quale i due farmaci sono stati considerati equivalenti, e il bevacizumab è stato usato off label in tutto il mondo nelle indicazioni intravitreali, è che disponiamo di numerosi studi comparitivi che lo testimoniano. Ancora quest’anno, nel mese di maggio è stato pubblicato su JAMA un trial clinico nel quale il bevacizumab (off label) è stato confrontato con l’altro farmaco utilizzato in queste indicazioni intravitreali, l’aflibercept6. Lo studio ha mostrato che non ci sono differenze cliniche fra i due farmaci e l’editoriale di accompagnamento rimarca proprio il fatto che, ancora una volta, il bevacizumab utilizzato off label si dimostra equivalente ai farmaci con indicazione approvata: “The results, along with those of other randomized clinical trials evaluating anti-VEGF agents for this condition, confirm that all 3 commonly available anti-VEGF agents (aflibercept, bevacizumab, and ranibizumab) are effective and safe treatments for macular edema due to a central retinal or hemiretinal vein occlusion”7.
Si tratta appunto solo dell’ultimo studio comparativo che ha incluso il bevacizumab. In precedenza, come documentato nelle revisioni sistematiche, a cominciare da quella della Cochrane, erano stati condotti numerosi altri studi: CATT, IVAN, MANTA, GEFAL, LUCAS, BRAMD, VIBERA8. A nostra conoscenza non esiste un altro farmaco al mondo che sia stato confrontato, contro un’alternativa terapeutica, in così tanti studi e con risultati così coerenti. Come afferma l’editoriale di JAMA, e come riconosciuto nelle revisioni sistematiche pubblicate, il profilo beneficio-rischio di bevacizumab e ranibizumab nelle indicazioni intravitreali è sovrapponibile. Altro elemento di interesse è che tutti gli studi sono stati finanziati da istituzioni pubbliche o non profit di diversi Paesi (USA, Regno Unito, Francia, Austria, ecc.). È un bell’esempio dell’importanza della ricerca indipendente tutte le volte che i risultati attesi degli studi sono privi di interesse commerciale. E in questo caso, dimostrare che i due farmaci erano equivalenti era totalmente privo di interesse commerciale e infatti le due aziende coinvolte, Roche e Novartis, si sono ben guardate dal sostenere questi studi comparativi.

L’ANTITRUST NELLA QUESTIONE AVASTIN-LUCENTIS
E si arriva allora alla famosa sentenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Antitrust). Il lavoro dell’Antitrust, diciamo con un eufemismo, non convince Pani, secondo il quale “l’AGCM, senza peraltro compiere alcuna istruttoria tecnico-scientifica perché non ne aveva alcuna competenza, si è spinta ad affermare con una serie di leggerezze e di inesattezze scientifiche e cliniche l’equivalenza dei due farmaci”.
Ma l’Antitrust, in nessun momento dell’inchiesta, si è sostituita all’AIFA. Semplicemente, nel corso di circa un anno di lavoro estremamente approfondito, fra febbraio 2013 e marzo 2014, l’Antitrust ha documentato, con riferimenti a documenti interni alle due aziende, che Novartis e Roche si sono accordate per sostenere che il profilo di rischio del bevacizumab usato off label fosse peggiore del ranibizumab: “… risultano agli atti numerosi e rilevanti documenti che consentono d’inquadrare le attività delle imprese parti in un vasto scenario collusivo, finalizzato a differenziare artificiosamente Avastin e Lucentis attraverso l’enfatizzazione dei rischi derivanti dall’uso intravitreale del primo farmaco e il corrispondente richiamo a un’asserita maggior sicurezza del secondo, sfruttando in tal senso anche la circostanza che solo Lucentis disponeva di apposita AIC [autorizzazione all’immissione in commercio]…”9.
C’è un altro punto, documentato a pagina 4 del Provvedimento dell’Antitrust, che avrebbe meritato un riferimento per capire meglio i motivi che possono spingere due aziende ad adottare comportamenti collusivi invece che a competere. Pani cita il fatto che l’azienda che ha sviluppato sia l’Avastin che il Lucentis, la Genentech, fosse dapprima controllata dalla Roche e dal 2000 interamente di proprietà di Roche. Già questo fa sorgere più di un dubbio sull’interesse a competere per l’uso intravitreale quando nel 2003 Roche-Genentech danno alla Novartis in concessione il Lucentis. Ma forse i dubbi sarebbero stati risolti se Pani avesse citato anche un altro aspetto documentato dall’indagine Antitrust, e cioè che Novartis è detentrice di una partecipazione pari al 33% di Roche.
Nel complesso, l’inchiesta dell’Antitrust viene apertamente criticata da Pani, secondo il quale “la non curanza dimostrata dall’AGCM nei confronti degli obblighi regolatori e della necessità di studi clinici dedicati a specifiche indicazioni per lo sviluppo di medicinali costituisce di fatto un deterrente della ricerca scientifica in Italia”. E uno degli argomenti utilizzati è che l’European Medicine Agency (EMA) sia intervenuta nel modificare il foglietto illustrativo del bevacizumab allo scopo di riportare proprio le reazioni avverse note a seguito dell’uso off label intravitreale. Secondo Pani, l’EMA, resasi conto della pericolosità di questo uso, ha modificato il foglietto illustrativo del farmaco e, a seguito di questo, l’AIFA è intervenuta per rimuovere definitivamente la rimborsabilità del bevacizumab.
La realtà, sempre accuratamente documentata dall’inchiesta dell’Antitrust, è la seguente. L’EMA, su richiesta della Roche, ha rivalutato il profilo beneficio-rischio del bevacizumab anche in considerazione dell’utilizzo off label intravitreale. A conclusione della valutazione, nell’agosto 2012, l’EMA ha aggiornato la scheda tecnica del farmaco per riportare anche gli eventi avversi associati a questo uso10. Tuttavia, nello stesso “assessment” l’EMA afferma che i profili di rischio del bevacizumab e del ranibizumab sono sovrapponibili: “…the CHMP agreed that detailed safety information provided from the CATT and IVAN studies is reassuring and no evidence can be provided that bevacizumab is systematically more unsafe than ranibizumab and vice-versa”.

L’AIFA E L’ESCLUSIONE DEL BEVACIZUMAB DALLA 648/1996
Ci si potrebbe domandare come mai, a seguito di un giudizio di sostanziale equivalenza, la CTS dell’AIFA abbia proceduto, nel settembre 2012, con l’esclusione del bevacizumab dalla 648 per gli usi ancora previsti11. Una delle possibili ragioni è che ai componenti della CTS sia mancata la documentazione completa per assumere la decisione, e anche per questo, fra l’altro, uno dei componenti della CTS ha votato contro. Il documento dell’EMA sopra citato è stato solo illustrato ma non è stato distribuito. Per cui quando è stata presa la decisione, i componenti CTS erano consapevoli delle modifiche nel foglietto illustrativo del farmaco, ma non avevano sotto mano la conclusione secondo la quale i due farmaci erano considerati dall’EMA come sostanzialmente equivalenti.
Pani sembra così convinto del peggiore profilo beneficio-rischio del bevacizumab rispetto al ranibizumab da non prendere in considerazione anche altri documenti dell’EMA. Ad esempio, in un capitolo del libro, si spende molto spazio per documentare, anche con illustrazioni, che i due farmaci hanno strutture diverse, emivite diverse, affinità di legame diverse, e che proprio per queste differenze il bevacizumab sia meno sicuro del ranibizumab. Anche in questo caso, l’EMA si è espressa sulla possibilità che il ranibizumab, in virtù di una minore emivita, presenti una maggiore sicurezza. Come ha documentato l’Antitrust (a pagina 83 del suo Provvedimento), l’EMA ha rivalutato i dati di farmacocinetica e farmacodinamica, e ha concluso che i dati analizzati “erano insufficienti a giustificare un’avvertenza differente che dia l’impressione che Lucentis sia più sicuro rispetto ad altri trattamenti anti-VEGF sotto il profilo degli eventi avversi sistemici”9.
Pani sostiene che l’attività delle Agenzie regolatorie viene messa in pericolo dalla politica, se al solo scopo di risparmiare si fanno correre rischi alla salute dei cittadini. Ma anche questo si propone una lettura forzata: non è la politica che decide se erogare o meno un farmaco off label. In base alla norma citata in precedenza, è comunque la CTS dell’AIFA – cioè una commissione di esperti indipendenti – che deve stabilire, sulla base delle evidenze scientifiche, se ci sono le condizioni per tutelare la salute dei cittadini e garantire la rimborsabilità a carico del SSN. Così come non è stata la politica, ma il Consiglio superiore di sanità, organo consultivo tecnico scientifico del Ministero della Salute – a esprimere un parere nell’aprile 2014 secondo il quale “i dati attualmente valutabili dalla comunità scientifica evidenziano che i medicinali Lucentis (ranibizumab) e Avastin (bevacizumab), pur nella diversità strutturale e farmacologica delle molecole, non presentano differenze statisticamente significative dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza nella terapia della degenerazione maculare senile”12.

LA VALUTAZIONE DELL’OMS
Nel 2013 l’OMS ha inserito il bevacizumab come unico farmaco per le indicazioni intravitreali all’interno della XVIII lista dei farmaci essenziali13. Pani ci ricorda che “l’AIFA ha dimostrato apertamente la sua perplessità nei confronti della decisione dell’OMS, in particolare per il fatto che tale decisione fosse basata sulla valutazione di tre esperti, due dei quali contrari e uno a favore dell’inclusione di bevacizumab nel suddetto elenco”. Su quest’ultimo esperto, poi, viene avanzato il sospetto di trovarsi in conflitto di interesse per essersene già occupato all’interno di commissioni regionali. Peccato che si ometta di dire che la decisione di inserire il bevacizumab nella lista dei famaci essenziali è stata presa all’unanimità dal comitato di esperti che ha lavorato all’elaborazione della lista, oltre naturalmente ad essere approvata dagli organismi di direzione dell’OMS. E la ragione di inserire il bevacizumab nella lista, ma non il ranibizumab, derivava dall’analisi dell’insieme dell’evidenza scientifica disponibile nel 2013, che mostrava la sovrapponibilità del profilo beneficio-rischio dei due farmaci nonostante un prezzo enormemente diverso. Infine, è un peccato che non sia citato che anche nella nuova lista dei farmaci essenziali (la XX) rilasciata nel 2017 è stata confermata la presenza del bevacizumab e non del ranibizumab, in quanto i risultati degli studi che si sono accumulati in questi ultimi 4 anni non hanno fatto che confermare ciò che era chiaro già nel 201314.

E PER CONCLUDERE, STAMINA
Siamo consapevoli che sui temi trattati si possano avere opinioni diverse. Ad esempio, molte delle argomentazioni contro l’uso off label usate da Pani sono condivise dalla gran parte delle aziende del farmaco (www.eucope.org/en/ 2017/03/02/eucope-efpia-and-europabio-welcome-the-publication-of-the-european-commissions-study-on-off-label-use-and-call-for-policy-measures-that-preserve-patients-safety-and-the-integrity-of). Tuttavia, anche prendendo per buono il punto di vista che abbiamo criticato, c’è un argomento che proprio poteva essere risparmiato e la cui presenza contribuisce a far apparire particolarmente discutibile l’intera impostazione del volume: l’equiparazione fra l’uso off label del bevacizumab e la vicenda Stamina. L’associazione ci sembra francamente incomprensibile, sempre che si voglia mantenersi sul campo degli argomenti e non su quello degli insulti. Cosa lega un truffatore che millantava di avere a disposizione la cura di malattie rare e incurabili, con un farmaco la cui efficacia nell’uso off label intravitreale è stata rigorosamente verificata in numerosi studi finanziati da alcune delle più autorevoli istituzioni di ricerca al mondo? Equiparare le due vicende (bevacizumab e Stamina) rischia di trasmettere al pubblico il messaggio che la valutazione dell’appropriatezza d’uso dei farmaci non si basa sulle evidenze scientifiche (solide nel primo caso, assenti nel secondo). Se così fosse, non si finirebbe, forse, per dar ragione ai sostenitori del metodo Stamina?
Ma per Pani, che per ben sei volte nella parte introduttiva del volume accosta la vicenda Avastin-Lucentis a quella di Stamina, il paragone è “solo apparentemente irrituale”. Anzi, si lascia intendere di avere scoperto “analogie che sono suggestive di molto altro” e “poco importa che dietro l’impiego dell’intruglio di Stamina ci fossero un laureato in lettere e due biologi che lavoravano segretamente in un sottoscala, oppure per Avastin-Lucentis decine di medici e due multinazionali che fatturano quanto un paio di manovre finanziare italiane”.
Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano le aziende farmaceutiche, che in qualche modo sono chiamate in causa in questo libro. Quale direttore medico di un’azienda farmaceutica si sentirebbe di andare dalle istituzioni che hanno finanziato gli studi che hanno mostrato un equivalente profilo beneficio-rischio di bevacizumab e ranibizumab – dall’NIH negli USA all’MRC nel Regno Unito, per passare dalla Francia e via dicendo per gli altri studi – per sostenere che condividono una responsabilità analoga alla diffusione dell’abuso di Stamina?
E in fondo, sarebbe anche interessante conoscere se questa posizione è in qualche modo condivisa dall’attuale direzione dell’AIFA. Sarebbe anche questo un elemento di chiarezza, se si tiene conto che il dr. Luca Pani è stato per sei anni direttore dell’AIFA e fino all’estate 2017 uno dei due rappresentanti italiani nel comitato dei medicinali (CHMP) dell’EMA.
Giuseppe Traversa, Antonio Clavenna
1. Centro nazionale di epidemiologia, Istituto Superiore di Sanità
giuseppe.traversa@iss.it;
2. Unità di Farmacoepidemiologia,
Laboratorio per la Salute Materno Infantile
IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano


BIBLIOGRAFIA
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12. Consiglio superiore di sanità 2014. www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2149_allegato.pdf (ultimo accesso 29 ottobre 2017).
13. WHO. Model List of Essential Medicines. 18th List (April 2013). http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/93142/1/ EML_18_eng.pdf?ua=1 (ultimo accesso: 29 ottobre 2017).
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