dalle altre riviste





VALUTAZIONE DELLE RIAMMISSIONI OSPEDALIERE PER INFEZIONI DEL SITO CHIRURGICO (SSIs) IN ITALIA

Le SSIs rimangono un importante problema di salute. Il primo obiettivo di questo studio è stato valutare la frequenza delle riammissioni in ospedale per SSI in un campione di pazienti chirurgici; il secondo obiettivo è stato quello di valutare il ruolo della storia clinica e le caratteristiche delle procedure che hanno determinato la riammissione in ospedale per SSI. Questo studio retrospettivo è stato condotto considerando un campione di procedure chirurgiche (3815) eseguite durante il 2014 in pazienti a partire dai 18 anni di età in 2 ospedali di Napoli. Sono state esaminate le cartelle cliniche di tutti i pazienti che hanno avuto una riammissione in ospedale (145), di questi il 28,3% ha avuto una riammissione per SSI, cioè ha avuto un’infezione entro 30 giorni dall’operazione o entro 1 anno dall’impianto di una protesi. Le riammissioni per SSI sono state significativamente più elevate nei pazienti fumatori, diabetici, immunosoppressi, con bassi livelli di siero-albumina e sottoposti ad una procedura classificata come contaminata. Le SSIs sono state per il 26,8% superficiali, per il 48,8% profonde e per il 24,4% di un organo o di uno spazio (es. intra-addominale). Un esame microbiologico è stato fatto solo nel 39% dei casi e i microorganismi più frequentemente isolati sono stati lo Staffilococcus aureus e la Candida albicans; l’88,2% delle SSIs è stato trattato con antibiotici, solo nel 4,9% dei casi la profilassi antibiotica perioperatoria è stata appropriata. Questo studio è il primo in Italia che ha valutato i fattori associati alle riammissioni in ospedale nei pazienti chirurgici e mostra molto chiaramente come le SSIs siano il motivo più comune di riammissione nei pazienti chirurgici. In conclusione, le strategie preventive negli ospedali dovrebbero essere implementate per ridurre non solo la mortalità e la morbilità dei pazienti chirurgici, ma anche la spesa sanitaria. (Marta Saronio)
Fonte: Napolitano F, Tomassoni D, Cascone D, Di Giuseppe G, The Collaborative Working Group. Evaluation of hospital readmissions for surgical site infections in Italy. Eur J Public Health 2018; 28: 421-5.




INTERVALLO QT IN ADOLESCENTI CON ANORESSIA NERVOSA PRIVI DI FARMACI: UNO STUDIO CASO-CONTROLLO

La anoressia nervosa, che colpisce di preferenza adolescenti e giovani donne, è associata a una mortalità per cause cardiache molto elevata, del 5-10%. Una delle alterazioni elettrofisiologiche possibili è il prolungamento del tratto QT nell’elettrocardiogramma di superficie e l’aumento della sua dispersione, favoriti da farmaci psicotropi assunti da questi pazienti, da carenze dietetiche e da alterazioni endocrine. Questi fenomeni possono facilitare la comparsa di aritmie ventricolari potenzialmente letali. Per descrivere meglio le alterazioni elettrocardiografiche, sono stati studiati 77 adolescenti con anoressia nervosa restrittiva, che non assumevano terapia, e altrettanti controlli. Inaspettatamente non si è osservata alcuna alterazione potenzialmente aritmogena nei pazienti con anoressia nervosa. Non solo i valori medi di QTc e di QTcd erano simili nei pazienti con anoressia e nei soggetti sani con altre patologie psichiatriche, ma non si è trovato neppure un caso di QTc prolungato patologico, cioè con durata >460 ms. È ragionevole pensare che questi pazienti, che non assumevano farmaci psicotropi e per la maggior parte con elettroliti nella norma, non rappresentino l’universo dei pazienti con anoressia nervosa.
È uno studio negativo, le cui conclusioni contraddicono quelle di studi precedenti, anche se non in modo risolutivo. Proprio per questo gli autori concludono con la frase di rito “Further studies are needed to under stand if…”. Studi come questo aprono la via a nuovi studi, da cui ci possiamo aspettare risultati alterni. Per il momento, sul rischio di aritmie maligne e sul loro esito, il paziente con anoressia nervosa restrittiva deve attendere con pazienza.
(Roberto Latini)
Fonte: Bomba M, Tremolizzo L, Corbetta F, et al. QT interval and dispersion in drug-free anorexia nervosa adolescents: a case-control study. Eur Child Adolesc Psychiatry 2018; 27: 861-6.




EVENTI EMORRAGICI NEGLI ANZIANI CHE ASSUMONO WARFARINA

La warfarina è uno dei farmaci ad oggi ancora molto utilizzati per la prevenzione ed il trattamento degli eventi tromboembolici in pazienti con valvole cardiache meccaniche e tromboembolismo venoso ed ha mostrato di ridurre il rischio di ictus del 60-70%. Nonostante ciò, il suo utilizzo è associato ad un elevato rischio di sanguinamenti, infatti presenta uno stretto indice terapeutico e può facilmente interagire con alimenti ed altri farmaci, incrementando ulteriormente il rischio emorragico del paziente. Altri fattori, come l’età avanzata e la polifarmacoterapia, possono anch’essi aumentare questo rischio nei pazienti in trattamento con warfarina. La metanalisi, condotta su 17 studi che includevano più di 1 milione di pazienti anziani ospedalizzati per patologie cardiovascolari, conferma che l’utilizzo di warfarina aumenta il rischio di sanguinamenti se co-assunta con alcuni antibiotici (cotrimoxazolo, macrolidi e chinoloni), con i bloccanti della ricaptazione della serotonina, con gli antiaggreganti, con gli antinfiammatori non steroidei, con gli ipolipidemizzanti e con l’amiodarone. Il messaggio più originale che emerge dagli autori è che negli anziani già ad alto rischio più della metà degli eventi emorragici riscontrati durante il trattamento con warfarina è imputabile proprio ad interazioni con uno di questi farmaci. Dato che molti di questi farmaci rappresentano un’opportunità terapeutica essenziale per la prevenzione ed il trattamento di molte patologie cardiovascolari, gli autori suggeriscono al medico una ancor più attenta valutazione dei rischi-benefici delle terapie da prescrivere, un adeguato monitoraggio del valore di international normalized ratio (INR) e un pronto aggiustamento del dosaggio della warfarina, affinché il rischio di sanguinamento sia ridotto. (Carlotta Franchi)
Fonte: Comoretto RI, Rea F, Lucenteforte E, et al. Italian Group for Appropriate Drug prescription in the Elderly (I-GrADE). Bleeding events attributable to concurrent use of warfarin and other medications in high-risk elderly: meta-analysis and Italian population-based investigation. Eur J Clin Pharmacol 2018 May 7. doi: 10.1007/s00228-018-2467-8.




UN NUOVO PREDITTORE DI SPESA SANITARIA

Come stimare la spesa sanitaria e stabilire un budget di spesa?
Questa domanda coinvolge periodicamente chiunque si occupi a tutti i livelli di programmazione sanitaria e sia consapevole che parametri quali le caratteristiche demografiche dei residenti/pazienti risultino sempre meno affidabili e capaci di monitorare la spesa sanitaria.
In questo difficile quanto attuale contesto, Quercioli et al. hanno condotto uno studio osservazionale trasversale che, grazie alla collaborazione dei MMG della provincia di Siena, ha valutato lo stato di salute (SF-36) in relazione alla severità delle patologie (Charlson Index e Cumulative Illness Rating Scale - Severity Index) di 886 pazienti. Questi indici sono stati poi correlati con la spesa sanitaria pubblica sostenuta per ogni singolo paziente nel 2012. È emerso che la dimensione fisica della SF36 e la CIRS-SI meglio correlano alla spesa. Questi indici associati possono costituire un modello multidimensionale predittivo di spesa.
Sebbene gli autori appaiano propensi a estrapolazioni in ambito nazionale, essi stessi riconoscono che è necessario saggiare questa ipotesi coinvolgendo aree e popolazioni rappresentative del contesto nazionale. E qui cominciano le difficoltà, a iniziare dal reperire le minime risorse indispensabili per selezionare le ASL che dispongono di dati validati di spesa individuale (e possono renderli accessibili nel rispetto del GDPR) e “arruolare” i MMG. Il Ministero della sanità e il MEF potrebbero essere interessati? (Gianluigi Casadei)
Fonte: Quercioli C, Nisticò F, Troiano G, et al. Developing a new predictor of health expenditure: preliminary results from a primary healthcare setting. Public Health 2018; 163: 121-7.