NEWS & VIEWS


Cochrane’s sinking ship and conflicts of interest

We believe Cochrane is a key source of scientific evidence on diagnostic and therapeutic medical issues. The very recent expulsion of Peter Gøtzsche from the Cochrane Board and subsequent retirement of four Board members have great impact on the existence of this organisation. Beside issues mentioned by other authors1-3 we believe this crisis is a good opportunity to fix a big problem raised by Peter Gøtzsche and others about Cochrane’s conflict of interest policy.
Currently, Cochrane allows some authors of its reviews to have conflicts of interest with drug companies, a policy that is widely criticized by insiders, and largely unknown to the public.
It is well known that researchers with conflicts of interest judge more positively about drug therapies than researchers without such ties. Gøtzsche said that Cochrane’s policy regarding conflicts of interest of authors of reviews was inadequate. But Cochrane did not solve this problem. The International Society of Drug Bulletins (ISDB) has criticized this policy already in 20134.
Because organisations like Cochrane play a key role in assessing clinical trials and other evidence regarding medicines, it is essential that they have robust policies with regard to conflicts of interest.
The ISDB is a worldwide network of bulletins and journals on drugs and therapeutics that are financially and intellectually independent of the pharmaceutical industry5. Cochrane reviews have been considered important scientific and trustworthy references for ISDB members.
In 2016 ISDB adopted a policy that will be totally implemented in 2019, in which members are not allowed to have conflicts of interest with the healthcare industry. Those who have not fulfilled the criteria will be removed from the full membership list.
A Conflict of interest is defined as any financial or advisory relationship (paid or unpaid) with the pharmaceutical industry or related healthcare industry (e.g. medical devices or diagnostics), including the conduct of industry funded clinical trials. Members of the editorial team must be free from conflicts of interest with these industries. All authors who write articles which could influence therapeutic choices (e.g. drug and treatment reviews or guidelines) must be free from conflicts of interest.
What is at stake is the not the transparency of conflicts of interest or whether or not it is feasible to get rid of conflicts of interest it is definitely about trust, credibility and scientific integrity6.
Cochrane is damaging the trust and credibility doctors, pharmacists, scientists and patients have put in them. Cochrane’s credibility and trust are largely at stake if they do not adequately deal with this issue immediately.
ISDB therefore supports Gøtzsche’s claim that a recovery from this dire situation would call for the dissolution of the present board, new elections and a broad-based participatory debate about the future strategy and governance of the organisation.
Dick Bijl, president International Society of Drug Bulletins (ISDB), on behalf of the ISDB Committee:
Luis Carlos Saiz Fernandez, Maria Font, Ciprian Jauca, Christophe Kopp, Benito Marchand, Joerg Schaaber.

REFERENCE
1. Demasi M. Cochrane. A sinking ship? https://blogs.bmj.com/ bmjebmspotlight/2018/09/16/cochrane-a-sinking-ship/
2. Greenhalgh T. The Cochrane Collaboration: what crisis? https://blogs.bmj.com/bmj/2018/09/17/trish-greenhalgh-the-cochrane-collaboration-what-crisis/
3. Moynihan R. Let’s stop the burning and the bleeding at Cochrane — there’s too much at stake. https://blogs.bmj.com/ bmj/2018/09/17/ray-moynihan-lets-stop-the-burning-and-the-bleeding-at-cochrane-theres-too-much-at-stake/
4. Schaaber J. Cochrane under influence: assessment of the HPV vaccines and conflict of interest. ISDB Newsletter 2013; 2: 8.
5. www.isdbweb.org
6. Menkes D, Bijl D. Credibility and trust are required to judge the benefits and harms of medicines. BMJ 2017; 358: j4204.




Critiche alla revisione Cochrane sul vaccino anti-HPV

Sul BMJ1 è comparsa una critica da parte di Jørgensen e Gøtzsche del Nordic Cochrane Centre e di Tom Jefferson, Centro per l’EBM – Università di Oxford, nei confronti della revisione Cochrane di Arbyn et al., pubblicata nel maggio 2018 sui vaccini anti-HPV2:
la ricerca, condotta fino a giugno 2017, ha incluso 26 RCT con 73.428 donne partecipanti. Nel gennaio 2018 Jørgensen et al. avevano pubblicato un indice dei programmi di studio dei vaccini HPV che includeva 206 ricerche comparative3, inviandolo al Gruppo Cochrane che stava attuando la revisione. Parte degli studi non era stata pubblicata a giugno 2017, di altri non erano note le conclusioni, ma 46 sarebbero stati eligibili per l’inclusione. Dunque, con quasi metà degli studi e metà dei partecipanti mancanti, la revisione di Arbyn non poteva sostenere che “quasi tutti i rapporti di fine studio erano stati pubblicati nella letteratura peer-reviewed”, né concludere che “il rischio di reporting bias possa essere piccolo”.
Tutti i RCT inclusi nella revisione2 hanno usato nei gruppi di controllo comparator attivi: adiuvanti a base di alluminio e vaccini anti-epatite. La FDA considera gli adiuvanti comparator inaffidabili, e anche il produttore del vaccino anti-HPV Cervarix® ammette che il suo comparator a base di alluminio presenta una “maggior incidenza di mialgia che si potrebbe attribuire alla maggior presenza di alluminio nel vaccino HPV rispetto al vaccino anti-epatite A” del gruppo di controllo4. La revisione2 attribuisce in modo erroneo il termine placebo a comparator attivi, pur riconoscendo nella discussione che “l’uso di adiuvanti e vaccini anti-epatite nel gruppo di controllo ha compromesso la comparazione di rischi ed eventi avversi”. Lo fa sotto il titolo “Possibili bias nel processo di revisione”, inappropriato, perché non si tratta di bias nella revisione, ma di bias nel disegno di tutti i RCT sul vaccino HPV. È probabile che i comparator attivi abbiano aumentato i danni nei gruppi di controllo, mascherando quelli dei vaccini HPV. È degno di nota che molte donne siano state escluse dagli RCT se avevano ricevuto prima gli adiuvanti, o se avevano una storia di disordini immunologici o nervosi: ciò riduce la validità esterna dei RCT e suggerisce che i produttori fossero preoccupati per danni da adiuvanti.
Esiti surrogati come CIN2, CIN3 e adenocarcinoma in situ sembrano ragionevoli per una valutazione preliminare dei benefici del vaccino, ma gli autori non descrivono alcun cancro cervicale nei 26 RCT, benché se ne siano verificati (nel gruppo con vaccino HPV). Inoltre la relazione tra CIN2 e cancro cervicale non è chiara, perché la maggior parte delle lesioni CIN2 in donne sotto i 30 anni regrediscono in modo spontaneo.
Gli autori affermano di aver fatto “sforzi particolari per valutare eventi avversi gravi (SAE)”2, ma alcuni esempi mostrano che ciò è improbabile1. Inoltre concludono con “elevata certezza” che il rischio di SAE era simile nei gruppi con vaccino HPV e di controllo, ma non menzionano il fatto che parecchi RCT inclusi non riportano SAE per la loro intera durata (ad es. lo fanno solo per 14 giorni dopo la vaccinazione). Ancora, trovano più morti nei gruppi con vaccino HPV (51, vs 39 nei controlli), con aumento significativo in donne >25 anni (RR 2,36; IC 95% 1,10-5,03) e suggeriscono che ciò sia dovuto al caso, non trovando relazione nelle cause di morte e nei tempi rispetto alla vaccinazione. Tuttavia, poiché sono inclusi solo RCT, l’aumento andrebbe di norma ascritto al vaccino, salvo chiare ed esplicite ragioni per considerare l’evento non correlato. In effetti a maggio 2018 il database di farmacovigilanza WHO gestito dal centro di monitoraggio di Uppsala contiene 499 morti correlate alla vaccinazione HPV. Gli autori avevano pianificato di chiedere dati sugli effetti avversi a chi li detiene, ma non l’avrebbero fatto “per vincoli di tempo e di risorse” 2. Ma la scusa è poco plausibile, poiché il protocollo Cochrane è stato pubblicato nel 2011 e la revisione nel 2018. I report integrali dei RCT sono confidenziali, ma si possono richiedere all’EMA.
Malgrado quanto sopra, la revisione ha giudicato tutti i RCT “a basso rischio di reporting bias2.
Gli autori2 non riportano uno studio del 2017 del Centro WHO di Uppsala che ha identificato dopo vaccinazione HPV segnali che andavano verificati (ma che il Comitato PRAC dell’EMA ha scartato), riconducibili alla sindrome da tachicardia posturale ortostatica (POTS: 526 casi a maggio 2018) e sindrome dolorosa regionale complessa (CRPS: 168 casi correlati). Gli autori2 non hanno investigato se i RCT inclusi riportassero tali sindromi o altri segnali di sicurezza. Invece hanno citato l’EMA, che ha concluso che “non si può stabilire alcuna relazione causale tra POTS, CRPS e vaccini anti-HPV”, in base alla valutazione dei produttori di questi vaccini, che ha incluso solo metà dei RCT eligibili, usando inoltre strategie di ricerca inadeguate (ad es. le ricerche di Sanofi hanno identificato solo 3 dei 26 report danesi di POTS noti all’Agenzia del Farmaco Danese).
Gli autori2 hanno verificato l’impatto della sponsorship industriale senza rilevare differenze significative nell’unico RCT “non finanziato dai produttori”. Ma anche questo RCT sarebbe in parte finanziato da GSK, dunque la valutazione non ha senso, perché tutti i RCT risultano finanziati dai produttori. Inoltre molti dei 14 autori del primo protocollo di revisione pubblicato avevano importanti conflitti d’interesse in relazione ai produttori del vaccino. La revisione 2 ha solo 4 autori, 3 dei quali avevano questi conflitti una decade fa. Il primo autore dirige la sorveglianza post-marketing EMA degli effetti della vaccinazione HPV negli Stati membri dell’UE non-nordici, finanziata da Sanofi-Pasteur-MSD, coproduttore di Gardasil®.
All’annuncio della revisione, la tavola rotonda promossa per i commenti di esperti terzi ha incluso 6 esperti, tutti del Regno Unito, benché la Collaborazione Cochrane sia un’organizzazione internazionale. Due avevano conflitti d’interesse finanziari con produttori del vaccino, un terzo era responsabile delle vaccinazioni in Public Health England, che promuove i vaccini HPV. Tutti gli esperti si sono espressi lodando la revisione ed efficacia e sicurezza del vaccino, nessuno ha avanzato critiche.
Parte del motto della Collaborazione Cochrane è “Prove di cui ci si può fidare”, ma non sembra applicabile alla revisione sul vaccino HPV1.

ALCUNE CONSIDERAZIONI
1. Sembra una conferma delle conclusioni di una monumentale revisione di famosi epidemiologi5: “per i propri interessi, l’industria influenza in modo magistrale: produzione delle prove, loro sintesi, comprensione dei danni, valutazioni di costo-efficacia, linee guida cliniche e formazione dei professionisti in sanità, ed esercita influenze dirette sulle decisioni professionali e sui consumatori di sanità”.
2. Di per sé, marchi o riviste prestigiosi non sono sufficienti garanzie, come non lo è l’esibizione di un consenso in apparenza generale (ma senza prove conclusive) a favore di una tecnologia sanitaria, soprattutto dove siano coinvolti grandi interessi economici, che dovrebbero stimolare un vaglio critico particolarmente attento.
3. Non bastano valutazioni di qualità metodologica, esaminata “dall’esterno”. “La vaccinazione anti-HPV è un clamoroso esempio di sottoutilizzo di una prestazione dal value elevato”6 è la conclusione, che sembra affrettata, di un prestigioso ente ispirato all’EBM, dedito alla formazione e a render “disponibili le migliori evidenze scientifiche a tutti i protagonisti della sanità”. Ma è anche quella (sinora) adottata dall’Istituto Superiore di Sanità e da Istituzioni del SSN e internazionali.
Alla valutazione metodologica va affiancata una rigorosa e indipendente valutazione di merito, in particolare quando sono in gioco ingenti interessi economici e conflitti (per altro palesi).
4. Una lezione per il dibattito in corso “sui vaccini” può essere di non farsi scudo di un generale consenso per screditare/sanzionare voci critiche, coartando il dibattito scientifico. Questo si nutre del confronto con dubbi costruttivi, che alimentino la costante ricerca di soluzioni migliori. Il dissenso scientifico va affrontato con gli strumenti della scienza, non con censure e anatemi.
5. Una circolare del Ministero della Salute (7-8-18) ha presentato le “Vaccinazioni raccomandate per le donne in età fertile e gravidanza”. Questa riflette senz’altro l’attuale consenso largamente prevalente sulle vaccinazioni in oggetto, ma non significa che tutte le raccomandazioni che vi sono contenute siano sorrette da prove altrettanto forti, né tanto meno indiscutibili. Ciò vale anche per i ripetuti riferimenti al vaccino HPV.
Sembra in generale opportuno che le raccomandazioni siano accompagnate da espressioni di cautela tipo “allo stato delle conoscenze”, lasciando espressamente aperta la possibilità di una loro revisione, ma sembra anche urgente che si riaprano sedi di confronto scientifico indipendente basato sulle prove e non sul volume di consensi espressi da organismi autorevoli (eminence based medicine).
6. Comunque dovesse concludersi la disputa scientifica sul vaccino HPV, sarebbe sempre importante anche informare su altri fattori di rischio o di protezione, modificabili con interventi comportamentali che le persone interessate possono adottare. Nel caso dell’HPV, in un ampio campione rappresentativo delle donne USA di 18-59 anni7 si è trovata un’infezione da HPV in atto in oltre 32% delle fumatrici, 26% delle non fumatrici esposte a fumo passivo, 15% delle non fumatrici non esposte. Correggendo per fattori associati, compreso il numero di partner, comunque il fumo è rimasto associato a rischio doppio, con aumento del 70% se si considerano i ceppi ad alto rischio tumorale. Una ricerca internazionale8 ha mostrato che il rischio di infezioni da HPV aumenta con l’intensità di fumo.

Ulteriori difese dal tumore cervicale, indicate da organismi internazionali (es. CDC, ACS nei propri siti), sono: evitare il sovrappeso (con un’alimentazione salutare e attività fisica) e consumare molta frutta e verdura. Inoltre, è efficace il preservativo, in particolare per chi ha rapporti con molti partner, anche occasionali.
Alberto Donzelli
Consiglio direttivo Fondazione
Allineare Sanità e Salute, Milano
adonzelli1@libero.it

Nota: Una sintesi in italiano del successivo scambio tra l’Editor in Chief della Cochrane e Jørgensen et al. è riportata sul numero di ottobre della Newsletter NoGrazie https://bit.ly/2ElfoVi.

BIBLIOGRAFIA
1. Jørgensen L, Gøtzsche PC, Jefferson T. The Cochrane HPV vaccine review was incomplete and ignored important evidence of bias. BMJ Evidence-Based Medicine 2018.
2. Arbyn M, Xu L, Simoens C, et al. Prophylactic vaccination against human papillomaviruses to prevent cervical cancer and its precursors. Cochrane Database Syst Rev 2018; 5: CD009069.
3. Jørgensen L, Gotzsche PC, Jefferson T. Index of the human papillomavirus (HPV) vaccine industry clinical study programmes and non-industry funded studies: a necessary basis to address reporting bias in a systematic review. Syst Rev 2018; 7: 8.
4. GSK Study Register - Study 104951. https://www. gsk- clin ical stud yreg ister.com/ study/ 104951? search= study& search_ terms= 104951# csr (accessed May 2018).
5. Stamatakis E, Weiler R, Ioannidis JPA. Undue industry influences that distort healthcare research, strategy, expenditure and practice: a review. Eur J Clin Invest 2013; 43: 469-75.
6. Fondazione GIMBE. Vaccino anti-HPV: prove di efficacia, profile di sicurezza e copertura vaccinale in Italia. Position Statement. Evidence 2018; 10: e1000184.
7. Tarney CA, Beltran TA, Klaric J, Han JJ. Tobacco Use and Prevalence of Human Papillomavirus in Self-Collected Cervicovaginal Swabs Between 2009 and 2014. Obstetr Gynecol 2018; 132: 45-51.
8. Vaccarella S, Herrero R, Snijders PJ, et al. Smoking and human papillomavirus infection: pooled analysis of the International Agency for Research on Cancer HPV Prevalence Surveys. Int J Epidemiol 2008; 37: 536-46.




Il pendolo del regionalismo: ieri no, oggi sì!

Abbiamo assistito negli ultimi anni ad una continua critica e a una vera e propria “levata di scudi”, sia da parte di istituzioni scientifiche e ricerca1, che di larga parte del mondo politico, contro una sanità frammentata in 21 sistemi; una specie di vestito di arlecchino del diritto alla salute dei cittadini. L’origine di tali mali è stato imputato in larga parte alla modifica del Titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, con la conseguente potestà legislativa concorrente, limitata alla determinazione dei princìpi fondamentali in materia di tutela della salute. È stata così riservata allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art.117, secondo comma, lettera n) mentre le Regioni hanno potestà legislativa in materia di tutela della salute e della ricerca scientifica sulla base dei principi fondamentali dettati dallo Stato (art.117, terzo comma).
Il pendolo del regionalismo ha successivamente oscillato in senso contrario, con l’approvazione, da parte della Camera e del Senato della riforma costituzionale che conteneva diffuse riscritture del Titolo V e, per quanto riguarda la sanità, riportava nelle competenze statali il compito di emanare “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”. Su tale modifica costituzionale, che non ha trovato attuazione a seguito della vittoria dei No nel referendum del 4 dicembre 2016, il Presidente emerito della Corte costituzionale, Valerio Onida, si era espresso in modo assai esplicito: “L’attuale testo della Costituzione, nel definire le materie concorrenti, attribuisce alle Regioni la relativa potestà legislativa di dettaglio e riserva alla legge dello Stato la determinazione dei principi fondamentali. La riforma, invece, nel trasferire allo Stato competenze tradizionalmente riservate alle autonomie, gli assegna il compito di fissare “disposizioni generali e comuni” in queste materie. Che significa questa espressione? O è un altro modo di riferirsi ai principi fondamentali […] oppure vuol dire che lo Stato potrà dettare nelle materie indicate qualsiasi tipo di normativa purché essa non sia destinata a un’unica o ad alcune Regioni. Alle Regioni, in sostanza, resta soltanto la competenza di fare ciò che lo Stato decide che esse possono fare. Una competenza integrativa, di fatto meramente attuativa” 2.
Eppure, ricordate, questo della frammentazione del sistema sanitario in ventun sistemi era uno dei cavalli di battaglia – insieme alla “foglia di fico” dell’abolizione del CNEL – per sostenere le ragioni del SÌ nel referendum costituzionale. Sembrava infatti che le “disgrazie” per il Servizio Sanitario Nazionale fossero da attribuirsi tutte non a problemi di finanziamento, formazione, indirizzi organizzativi, revisione di accordi e di convenzioni, ma alla regionalizzazione! Ricordate l’appello del presidente del Consiglio Matteo Renzi: “con il referendum si decide se lasciare tutta la sanità alle Regioni oppure dare stessi diritti a tutti i cittadini” o: “se vincono i SÌ tutti i malati di cancro avranno gli stessi farmaci indipendentemente dalla Regione in cui vivono” 3?
Ora il vento è cambiato! Le Regioni Lombardia e Veneto, a seguito di un referendum consultivo, hanno già sottoscritto con il precedente Governo un accordo preliminare (28 febbraio)4 volto ad ampliare le competenze regionali in varie materie, intesa che dà il via a un articolato iter legislativo che deve ottenere la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento. Un processo coerente con le maggioranze che governano tali Regioni, meno per la maggioranza governativa precedente, che tale accordo preliminare ha sottoscritto; accordo a cui si è prontamente associata anche la Regione Emilia Romagna! Con la nuova fase legislativa altre sette Regioni (Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte Toscana, Umbria) hanno dato mandato di avviare i negoziati per definire con lo Stato, in base all’articolo 116 della Costituzione, “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” 5.
Ovviamente, o almeno come c’era da attendersi, tutte le Regioni, sia le tre in procedura più avanzata che le altre sette che hanno conferito mandato di avviare i negoziati, pongono, fra le materie per le quali viene richiesta una maggiore autonomia, la sanità, ambito già di ampia competenza (nonché di maggiore impegno di bilancio) delle Regioni. Se per alcune maggioranze regionali tale richiesta non è certo inattesa, non può non sorprendere o per lo meno suscitare qualche riflessione la richiesta prontamente avanzata da componenti politiche e presidenze regionali che avevano sposato a piene mani le ragioni del SÌ al referendum 6.
Mi pare che una parte del mondo politico e istituzionale abbia quindi, su tale questione di indubbio rilievo, cambiato opinione oppure, un po’ come l’avvocato Maralli (il cognato di Giamburrasca) che era un libero pensatore in città e un bigotto in campagna, si adatta ai tempi senza offrirci tuttavia una riflessione sulle politiche sanitarie e sul regionalismo, con ipotesi che sappiano coniugare poteri e competenze regionali, con la più volte proclamata (e reale) necessità di superare o quanto meno attenuare le profonde differenze di salute e di accesso ai servizi sanitari presenti nelle regioni italiane e, specificamente, fra Centro – Nord e Sud Italia. Nel frattempo il Governo ha calendarizzato (sembra) la data – 22 ottobre – di definizione del testo di legge, con il quale intende trasferire le competenze alla Regione Veneto, quale apripista, come ci ha informati la Ministra agli Affari regionali e alle Autonomie Erika Stefani. Il motivo per il quale si inizia dal Veneto e non si avvii una riflessione complessiva su tale problematica è ovvio: la Ministra in questione è veneta! Si sono levate alcune voci preoccupate o dissenzienti apparse su Quotidiano sanità da parte di Ivan Cavicchi, del presidente della Fnomceo e della presidente dell’Anci 7. La CGIL si è espressa affinché sia data priorità a una legislazione nazionale che garantisca l’uniformità dei diritti civili e sociali8 e qualche ulteriore espressione di dissenso si è manifestata da parte di alcune categorie degli altri sindacati confederali.
Tutto ciò, tuttavia, senza un reale impatto nel dibattito politico e sull’opinione pubblica.
Le materie del negoziato, in ambito sanitario, sia in base a quanto già preliminarmente concordato con il precedente Governo, sia in riferimento a quanto prospettato dalle diverse delibere dei Consigli regionali, sono ampie e variegate, con molti aspetti in comune, ma anche con alcune differenziazioni fra Regioni. Ci limitiamo quindi a richiamare alcuni elementi esemplificativi delle richieste regionali:
• una maggiore autonomia finalizzata a rimuovere specifici vincoli di spesa in materia di personale stabiliti dalla normativa statale.
• Una maggiore autonomia nella definizione del sistema di governance delle aziende e degli enti del SSN.
• Una maggiore autonomia nello svolgimento delle funzioni relative al sistema tariffario, di rimborso, di rimunerazione e di compartecipazione, limitatamente agli assistiti residenti nella Regione.
• Possibilità di stipulare accordi con le Università del rispettivo territorio, volte in particolare alle scuole di specializzazione e all’inserimento degli specializzandi nell’ambito del SSN.
• Possibilità di stipulare, per i medici, contratti a tempo determinato di "specializzazione lavoro”.
• Possibilità di attivare rapporti con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) al fine di presentare dossier sull’equivalenza terapeutica dei diversi farmaci, ecc.

Alcune Regioni hanno concordato, nell’intesa preliminare, anche specifici punti. Ad esempio la Regione Veneto ha previsto una maggiore autonomia in materia di gestione del personale del SSN, inclusa la regolamentazione dell’attività libero-professionale; la Regione Lombardia una maggiore autonomia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi.
Il processo che si avvia presenta alcuni evidenti pericoli, che è necessario evidenziare. Si rischia infatti di realizzare, in ambito della tutela della salute, una Repubblica delle autonomie ampiamente e immotivatamente diversificata in base alle richieste delle singole Regioni e ai conseguenti accordi (affidati anche a mutevoli omogeneità – disomogeneità politiche fra Regioni e Governo), senza una valutazione delle conseguenze positive o negative del regionalismo in sanità, e in particolare attribuendo poteri senza stabilire garanzie per la tenuta unitaria della Repubblica 9.
L’elenco delle richieste regionali sono, in molti casi, ragionevoli, ma non si comprende il motivo per il quale siano da attribuire a una Regione (che l’ha richiesta) e non a tutte le Regioni la possibilità di sottoporre all’AIFA dossier sull’equivalenza terapeutica dei farmaci, o permettere una maggiore autonomia finanziaria in termini di vincoli di spesa in materia di personale, una volta definiti i tetti di spesa10.
Altre richieste appaiono in realtà eversive rispetto alla tenuta di un sistema sanitario che intenda assicurare uguali diritti a tutti i cittadini. Una differenziata normativa regionale in tema di libera professione dei sanitari (modifica del rapporto di esclusività, regolamentazione della Libera professione intramoenia, ecc.) verrebbe a mutare – di fatto – gli accordi nazionali contrattuali e offrire, nell’ambito del servizio pubblico, sistemi profondamente diversificati da regione a regione.
Ulteriori rilevanti perplessità desta la proposta di una maggiore autonomia regionale legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi, venendo così a creare addirittura gabbie contrattuali territoriali differenziate per un già complesso sistema di welfare aziendale.
Ciò che tuttavia stupisce è che, in mancanza di un dibattito pubblico su tali questioni, sia assente la consapevolezza che il potenziamento di forme di autonomia regionale in questo (e forse anche in altri) ambito, necessiti contestualmente di un rafforzamento delle strategie e della regia a livello nazionale. In altri termini sembra prevalere l’idea che l’autonomia sia un sistema “sottrattivo” di competenze e che non si accompagni invece a una necessità di rafforzare, proprio perché aumenta l’autonomia, le capacità di coordinamento. Peraltro la governance nazionale di un sistema complesso, quale quello sanitario, non è affidato solo a provvedimenti legislativi, ma si può, e deve, avvalersi anche di altri strumenti.
Solo a titolo esemplificativo, quale preliminare – speriamo – elemento di dibattito, a cosa dovrebbe accompagnarsi un processo di maggiore autonomia regionale in sanità?
1. Ad una riorganizzazione e potenziamento degli strumenti tecnico – scientifici nazionali, con una maggiore sinergia e unitaria “regia” di tre fondamenti istituzioni: AIFA, Istituto superiore di Sanità, Agenzia nazionale dei servizi regionali (Agenas).
2. Ad una revisione, a livello nazionale, della normativa che definisce i rapporti fra SSN e Università, finalizzata fra l’altro a far decollare, in misura reale ed estensiva la funzione didattico – formativa degli ospedali e delle strutture sanitarie territoriali del SSN.
3. Ad un incremento sostanziale e progressivo dei finanziamenti per la ricerca indipendente, sia in ambito farmacologico che nella valutazione di presìdi, procedure e organizzazione sanitaria, coinvolgendo prioritariamente le istituzioni nazionali (AIFA, Agenas, ISS) e gli Istituti nazionali a carattere scientifico (IRCCS)11.
4. All’affidamento della titolarità delle Linee Guida all’ISS, con la collaborazione di società e istituzioni scientifiche, che operino però all’interno di una attività coordinata e finanziata dall’istituzione pubblica.
5. Alla revisione dei criteri e della trasparenza delle trattative fra AIFA e industrie farmaceutiche.
6. Alla attivazione di una istituzione di ricerca e produzione farmaceutica nazionale (utilizzando, ad esempio, l’Istituto farmaceutico militare), finalizzata alla produzione di alcuni presidi farmacologici e potenzialmente alla realizzazione di farmaci in caso di necessità strategiche nazionali, con il ricorso alla licenza obbligatoria prevista dai trattati internazionale.
7. A ridefinire, in accordo con le Regioni, le motivazioni e le procedure di commissariamento, che non devono essere limitate alla non ottemperanza di obiettivi finanziari; la “pattuizione” non può riguardare solo gli equilibri di bilancio, e i contestuali piani di rientro con la nomina di Commissari ad acta, ma anche – non è questo l’obiettivo primario di un servizio sanitario – obiettivi comuni di funzionamento del servizio nelle singole regioni, da valutare con adeguati indicatori.

Si tratta ovviamente di un elenco meramente esemplificativo, finalizzato a mettere in evidenza che, a fronte di un eventuale rafforzamento della autonomia regionale, devono essere contestualmente ristrutturati e potenziati gli strumenti fondamentali della governance sanitaria a livello nazionale.
Marco Geddes
marco.geddes@gmail.com

BIBLIOGRAFIA
1. Cartabellotta N. Diritto alla salute e riforma del Titolo V. Salute internazionale, maggio 2015, http://www.saluteinternazionale.info/2015/05/salute-riforma-del-titolo-v/
2. Onida V, Quagliarello G. Perché è saggio dire di NO. Soveria Mannelli (CZ): Rubettino Editore, 2016.
3. Intervento alla televisione ottobre 2016, ripreso da Cavicchi I., commentato su il Fatto Quotidiano 6 ottobre 2016.
4. Servizio studi del Senato, Dossier n. 16, Il regionalismo differenziato e gli accordi preliminari con le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, maggio 2018.
5. Servizio studi del Senato, Dossier n. 45, Verso un regionalismo differenziato: le Regioni che non hanno sottoscritto accordi preliminari con il Governo, luglio 2018.
6. Ad esempio la Regione Piemonte che aveva prospettato precedentemente (Delibera n. 209 del 29 luglio 2008 come materia di trattativa con il Governo la “organizzazione sanitaria”, ora individua quale materia le “politiche sanitarie” con un cambio di registro terminologico significativo.
7. Cavicchi I. Sta per compiersi una controriforma istituzionale e la sanità sta a guardare, Quotidiano sanità 19 settembre 2018; Anelli F. Autonomia regionale. Anelli (Fnomceo): Grillo vigili perché il nostro SSN non sia fatto a pezzi, 20 settembre 2018; Frittelli T. La corsa all’autonomia regionale sulla sanità. Parliamone, prima che sia troppo tardi, Quotidiano sanità 23 settembre 2018.
8. http://www.cgil.it/admin_nv47t8g34/wp-content/ uploads/2018/09/Nessuna-autonomia-senza-garanzia-diritti-e-solidarietà.pdf.
9. Morrone A. Perché… ridisegnare la Repubblica delle Autonomie. In: Perché Sì. Le ragioni della riforma costituzionale. Bari - Roma: Editori Laterza, ottobre 2016.
10. Si tratta, in sostanza, di sottrarsi anche alle previsioni di limiti di spesa previsti art.1, commi da 557 a 564 della L. 296/2006 (legge di stabilità 2007), che paralizza la spesa per il personale al 2004 con una contrazione percentuale dell’1,4%, indipendentemente se la Regione rispetta i tetti di spesa.
11. Tognaccini C. La ricerca indipendente? Un’occasione mancata, www.gimbe.org/report_attivita/pubblicazioni/ interviste/20160630-AboutPharma.pdf









Preso atto dell’archiviazione “per manifesta infondatezza” vogliamo sottolineare “in particolare”:
la comunicazione commerciale non era “destinata ai professionisti” ma anche ai cittadini con materiale diversificato, come documentato nella segnalazione (allegati 1 e 2 della nostra segnalazione al Ministero della Salute);
circa la dichiarazione “uno studio … ha mostrato come l’assunzione regolare di un integratore alimentare a base di omega 3 e omega 6, in uno speciale rapporto, abbia nettamente migliorato le loro abilità di lettura e scrittura, rispetto a pazienti trattati con placebo”, ma riferito e circoscritto agli esiti dello studio scientifico Oxford-Durham Study”, questa fa riferimento ad uno studio del 2005 i cui risultati sono stati ridiscussi e anche confutati da studi successivi condotti anche dagli stessi autori del lavoro citato (come da noi sottolineato al punto 3 della segnalazione). Come riportato dalla dottoressa Ferri nel trasmettere la segnalazione, l’EFSA (parere EFSA- Q- 2014 – 00462) ha ritenuto sulla base degli studi disponibili che non vi fosse una dimostrazione di un nesso di tipo causa-effetto tra l’assunzione dell’integratore e il miglioramento della capacità di lettura;
nella comunicazione commerciale destinata ai genitori (allegato 2 della segnalazione da noi inviata al Ministero della Salute) si lascia intendere che la carenza di nutrienti, tra cui gli acidi grassi polinsaturi, possa portare a “iperattività, deficit di attenzione, difficoltà di relazione, disturbi della sfera emotiva e problemi dell’apprendimento”. Inoltre, si afferma che “Diversi studi, condotti su bambini con questi disturbi, dimostrano come l’integrazione di questi acidi grassi … possa aiutare il bambino nelle attività quotidiane e scolastiche” citando due soli riferimenti: l’Oxford-Durham study (di cui sopra) e lo studio di Barragan et al. [referenza 7 della segnalazione], che si caratterizza per i limiti metodologici. La valutazione dell’efficacia dell’integratore dovrebbe tenere conto dei risultati complessivi degli studi scientifici condotti, mentre la selezione di pochi studi favorevoli potrebbe sovrastimare i possibili benefici e fornire informazioni parziali, non generalizzabili e per il consumatore, che non ha le capacità di discernere, ingannevoli.
Infine, nel caso dell’integratore Equazen®, si potrebbe ravvisare la violazione di quanto previsto al comma 2 punto a dell’articolo 21 del Codice del Consumo “2. È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti: a) una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingenera confusione con i prodotti, i marchi…”, dal momento che è in commercio in Italia un farmaco per il trattamento dell’ADHD contenente metilfenidato dal nome commerciale Equasym®.
Maurizio Bonati
Responsabile Dipartimento di Salute Pubblica
Antonio Clavenna
Responsabile Unità Farmacoepidemiologia
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano