EDITORIALE



Un’altra rivoluzione incompiuta
Maurizio Bonati
Dipartimento di Sanità Pubblica
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano
maurizio.bonati@marionegri.it






A quarant’anni dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale (SSN), con l’approvazione della legge 833 il 23 dicembre 1978, anche la rivoluzione della sanità italiana è incompiuta (“non mancano difetti da colmare” – Sergio Mattarella). La 833 è una legge quadro che quindi avrebbe necessitato di ulteriori norme e regolamenti per essere attuata: alcuni provvedimenti arrivarono dopo alcuni lustri, altri non furono mai presi. Nel 1978 l’attuale Ministro della Salute forse andava all’asilo, come uno dei due Vice Presidenti del Consiglio, l’altro non era ancora nato, come il 40,3% dell’attuale popolazione italiana; fa quindi parte della storia. L’evento, per quanto storico, non è tema di informazione dei programmi scolastici e gran parte dei cittadini ignora o non comprende appieno le ragioni del perché venne sancito un “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività” (come recita l’art. 32 della Costituzione) e le necessità e condizioni affinché questo venga garantito.
Una serie di ragioni determinavano l’approvazione della legge a ridosso della fine del 1978 (IV Governo Andreotti; Presidente della Repubblica Giovanni Leone; Ministro della Sanità Tina Anselmi prima donna ministro, “partigiana, parlamentare, ministro di grande prestigio, ne ricordo il limpido impegno per la legalità e il bene comune” – Sergio Mattarella). Il 13 maggio dello stesso anno era stata approvata la legge 180 che sanciva, prima nel mondo, la chiusura dei manicomi restituendo dignità e diritti ai pazienti. Anche in questo caso una legge che recepisce quanto dettato nell’articolo 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”). Fu Aldo Moro l’estensore dell’articolo 32 della Costituzione. La legge 180 sarà inglobata nella 833, scontandone i comuni ritardi e i limiti attuativi, e che ha dovuto precederla per impedire il referendum indetto per l’estate del ’78 con il quale gli italiani avrebbero dovuto pronunciarsi sulla chiusura dei manicomi. Sempre nello stesso anno, il 22 maggio, venne approvata la legge 194 “per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza". Tre provvedimenti radicali che avrebbero dovuto (e in gran parte l’hanno fatto) cambiare non solo la struttura organizzativa della sanità di allora, ma garantire più efficacemente il diritto alla salute. Secondo i principi fondamentali di: universalità, uguaglianza ed equità. Provvedimenti e principi attuati da un governo “di solidarietà nazionale” dopo anni di attesa da parte dei cittadini e in un anno critico per la politica e la storia italiana (il 16 marzo era stato rapito e il 9 maggio ucciso Aldo Moro): un anno di profondo cambiamento.
La creazione del SSN rappresenta la conclusione di un lungo percorso per ottemperare quanto enunciato con la fondazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1946, ribadito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nel 1948 (garantire il diritto alla salute) e recepito dalla Costituzione italiana con l’articolo 32. Dopo trent’anni, la legge 833 venne approvata a 3 mesi dalla Dichiarazione di Alma Ata (6-12 settembre ’78) in cui si sanciva, a livello internazionale, il primato dell'assistenza sanitaria primaria con un articolo “rivoluzionario” (il quinto) 1: un indirizzo che il testo della legge italiana già recepiva e aveva anticipato in fase di stesura. Una legge ulteriormente rivoluzionaria (nel suo testo).
Per la stesura del testo definitivo della legge 833 e della sua approvazione sono stati necessari trent’anni caratterizzati da inefficienza istituzionale e politica, durante i quali, con scadenza decennale dall’approvazione della Costituzione: è stato istituito il Ministero della Sanità (13 marzo 1958); viene approvata la riforma ospedaliera che li trasforma da luoghi di elargizione di atti di carità in enti di cura e assistenza, pubblici e gratuiti (legge 132 del 12 febbraio 1968). Una inefficiente applicazione del modello sino ad allora adottato (“modello Bismarckiano” per altro ancora in vigore in Germania e Francia) basato sull’imposizione di contributi sociali (le mutue). Un sistema caratterizzato dalla numerosità degli enti mutualistici, per le diverse categorie di lavoratori e per i contributi versati. Ciascun ente era competente per una determinata categoria di lavoratori che, con i familiari a carico, erano obbligatoriamente iscritti allo stesso ente e, in questo modo, fruivano dell'assicurazione sanitaria per provvedere alle cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro. Il diritto alla tutela della salute era correlato allo status di lavoratore con conseguenti casi di mancata copertura e sperequazioni tra gli stessi assistiti, vista la disomogeneità delle prestazioni assicurate dalle varie casse mutue. Gli enti mutualistici finanziavano le attività di diagnosi e cura, esercitate da medici, ospedali, farmacie e ambulatori. Gli ospedali venivano remunerati attraverso contratti basati sulle rette di degenza giornaliera. Alle province spettavano i servizi preventivi, tramite la gestione degli Istituti di igiene e profilassi, oltre che la gestione degli ospedali psichiatrici, mentre i comuni si occupavano dell’assistenza di base degli indigenti non coperti dall’assicurazione sociale e della loro ospedalizzazione 2. Un sistema regolato dai meccanismi del mercato, creando e mantenendo disuguaglianze nella società. Da un punto di vista economico il sistema mutualistico, con il “pagamento al piè di lista” senza alcun controllo sul fatturato, accumulò a metà degli anni ’70 un deficit di quattromila miliardi di lire che costrinse ad un’emissione straordinaria di buoni del Tesoro. Un tentativo (che risultò inefficace) per contrastare l’aumento sproporzionato della spesa sanitaria, e gli ingenti debiti accumulati dagli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, fu l’emanazione della legge 386 del 17 agosto 1974, con l’estinzione dei debiti maturati nei confronti degli enti ospedalieri e il commissariamento degli enti mutualistici fino al loro scioglimento. Quindi la legge 833 rappresentò anche un intervento di necessità economica: un vincolo e una dipendenza (anche tra i rispettivi Ministeri) che caratterizzano tuttora parte delle difficoltà, limiti e distorsioni del SSN.
Con la legge 833 l’Italia continua a privilegiare il sistema di finanziamento pubblico del SSN con prelievo obbligatorio cambiando con il modello a copertura universale, scegliendo di destinare alla Sanità una quota del gettito della fiscalità generale (“modello Beveridge”). Un modello scelto per costruire il SSN in Gran Bretagna a partire dal 1948, prima nazione europea ad adottarlo e seguita successivamente da altri paesi europei. Nel corso degli ultimi quarant’anni sono stati continui gli aggiustamenti della legge 833: nessuno risolutivo. Con la legge 502 del 30 dicembre 1992 (con le modifiche apportate l’anno successivo con il DLgs 517) le Unità Sanitarie Locali vengono trasformate in “Aziende” Sanitarie Locali dando una nuova autonomia amministrativa e sanitaria alle strutture sanitarie. Con la legge 229 del 19 giugno 1999, e nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni acquistano più autonomia acquisendo gran parte delle competenze sanitarie e viene introdotto l’”accreditamento” per le strutture sanitarie pubbliche e private.
Molti i nodi irrisolti che devono essere affrontati con la finalità prioritaria di ridurre la disuguaglianza crescente (e che cronicizza) nell’accesso alle cure e nel coinvolgere tutti gli individui in interventi preventivi appropriati e continui nel tempo. Una disuguaglianza che non è solo caratterizzata dal luogo di residenza (non più e non solo tra Regioni, e sempre più tra distretti o municipi), ma principalmente dai determinanti sociali. Le criticità non sono tra loro indipendenti, e tra queste:
risorse – Nel 2017 la spesa complessiva per la sanità è stata pari all’8,9% del Pil simile al valore medio tra i Paesi Ocse; mentre la spesa procapite è stata pari a 3542$ vs i 3993$ della media Ocse. Il rapporto spesa individuale pubblica/privata è 6,6/2,3 (Ocse 6,4/2,2) del Pil e 2622/920$ (Ocse 2972/961$). Risorse nella media dei Paesi Ocse, ma da rivedere per le disponibilità, le “voci di spesa” e le priorità in termini di appropriatezza e razionalità, quindi a partire da come meglio utilizzare il disponibile per poi chiederne un aumento. Per esempio, la “sola” revisione del Prontuario Farmaceutico nazionale e la definizione di criteri di acquisto dei farmaci, (ma anche dispositivi medici, e strumentazioni) su basi comuni nazionali e confronti internazionali a parità di potere d’acquisto rappresenterebbe non solo la riduzione del trend di aumento di spesa (+1,2% nel 2017 pari a 353 milioni di euro), ma l’intera spesa che per il 29% è a carico dei cittadini (compartecipazione farmaci classe A e farmaci di classe C) 3. Come per il farmaco, indicatore didattico e complessivo della storia del SSN4, la riflessione potrebbe essere estesa ad altri indicatori. La criticità è tra la gestione dell’insieme dei bisogni, delle risorse e dei consumi sanitari o la governance della salute;
pubblico-privato – C’è privato e privato, così come c’è pubblico e pubblico. C’è un privato che eroga e un privato che finanzia. I fondi sanitari integrativi e assicurativi (spesa sanitaria intermediata) gestiscono il 3,4% della spesa sanitaria complessiva (5 miliardi), mentre la spesa privata rappresenta 2% del Pil5. La promozione del “secondo pilastro”, che mina il principio dell’universalismo equitativo del SSN, poggia principalmente sugli interminabili tempi di attesa e sui ticket. Le liste d’attesa sono il risultato della scarsa e inefficiente offerta pubblica che per essere rilanciata necessita di nuove assunzioni e di aumentare gli stipendi dei dipendenti. La libera professione intramuraria (intramoenia), creata anche per non aumentare gli stipendi dei medici, sarebbe così da abolire e non da prorogare continuamente (legge 189 dell’8 novembre 2012). I ticket sono spesso più costosi delle prestazioni private e a parità di prestazione ci sono consistenti differenze regionali. Anche per questa criticità la discriminante è tra gestione e governance. La gestione delle prestazioni in termini di domanda e offerta senza controllo della qualità e dell’appropriatezza e valutazione dei bisogni di salute non può che incentivare la migrazione dai servizi pubblici, alimentando la sovradiagnosi, la frammentarietà delle cure, il disease mongering, la medicina difensiva… il mercato;
ospedale-territorio – L’aziendalizzazione e l’approccio ospedalo-centrico sono contrari ai principi della legge 833, agli indirizzi di Alma Ata, alla frequenza dei bisogni della popolazione italiana. Il rapporto ospedale-territorio è distorto tra i recenti bisogni associati alle malattie croniche (con prevalenza nelle fasce più deboli della popolazione) e all’invecchiamento della popolazione e una pratica ospedaliera rivolta principalmente ad una attività per acuti e acuzie6. Approcci e criteri basati, anche in ospedale, su prestazioni (vedi i DRG, Raggruppamenti omogenei di diagnosi, introdotti nel 1995 per quantificare economicamente l’assorbimento di risorse: risorse che nel tempo si sono caratterizzate per l’omogeneità dell’offerta a fronte di diversità di domanda/bisogni) in un contesto di competizione impari tra un sistema privato e un servizio pubblico. Per esempio, in nessun ospedale privato viene effettuato un trapianto complesso, multiorgano. Così come il tipo e numero di dispositivi medici o di prestazioni nel privato è maggiormente vincolato al rapporto costo/retta. I criteri delle convenzioni e degli accreditamenti andrebbero rivisti in base alla qualità e appropriatezza degli interi percorsi di cura che per le malattie croniche (oltre a poter durare l’intera vita) contemplano la partecipazione di competenze diverse e incroci/interazioni tra servizi (ospedalieri e territoriali, sociali e sanitari). I PDTA (Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali) si sono rivelati spesso più come pacchetti di prestazioni da rimborsare che strumenti di indicazione per l’organizzazione del processo/percorso di assistenza multidisciplinare basati (e aggiornati) sulle evidenze scientifiche. La “costruzione” delle case della salute (Decreto Ministero della Salute del 10 luglio 2007), con l’eccezione e la differente interpretazione di alcune realtà locali 7, sono ancora da realizzare. Il Servizio territoriale deve essere potenziato, migliorato (per qualità e appropriatezza), integrato come parte di un unico Servizio nazionale. Il contributo dei pediatri e dei medici di famiglia è stato sinora importante ed essenziale per il raggiungimento e il mantenimento del livello dell’attuale aspettativa e qualità della vita. Il rapporto di convenzione per gli “accompagnatori” e garanti dei percorsi di cura di ciascun individuo a loro affidato andrebbe rivisto e rivalutato iniziando con la loro assunzione nel SSN;
formazione-informazione – Se gli italiani sono analfabeti per quanto concerne la cultura sanitaria scientifica è perché non sono stati istruiti, e poi aggiornati, in modo adeguato ed efficiente, a partire dalla scuola di ogni ordine e grado. La dipendenza/delega del paziente dal/al medico associata alla informazione della “rete” (acritica e afflitta dalle fake news) ne sono testimonianza. Se è tra i contesti (ambiente) e gli stili (modalità) di vita che vanno ricercati e modificati molti dei determinanti della salute8, questi dovrebbero rappresentare temi formali dei programmi scolastici di ogni ordine e grado. Un investimento che a fronte di un diritto (quello della salute) richiede formalmente al singolo, anche nell’interesse della collettività, un dovere: una partecipazione informata, critica, propositiva, aggiornata e scientifica. Se così si fosse agito, sarebbero le evidenze scientifiche e non le opinioni a guidare il confronto e il dialogo, anche tra medico e paziente. Ne è testimonianza quanto avvenuto nel corso degli ultimi due anni in tema di vaccinazioni con una quota irrisoria e attesa ( 1% della popolazione) di contrari9, che andrebbero contrastati più efficacemente con altri provvedimenti rispetto a quelli sinora previsti, e un’ampia quota (17% della popolazione) di indecisi. L’esempio delle vaccinazioni in termini di diritti e doveri interessa anche gli operatori sanitari in quanto cittadini e responsabili della salute di tutti. Una informazione continua che per gli operatori sanitari dovrebbe rispondere non solo all’aggiornamento tecnico-specialistico, ma, nell’ambito di un servizio pubblico, anche alla care. Non è l’attuale sistema ECM (Educazione continua in medicina, un programma nazionale avviato nel 2002 in base al DLgs 502 del 1992) a garantire qualità, appropriatezza ed efficienza in modo omogeneo a livello nazionale. L’informazione continua dovrebbe essere acquisita nella pratica se interpretata anche come formazione continua e la ricerca dovrebbe farne parte (ricerca nella pratica): un contributo attivo per la conoscenza non solo del singolo, ma della collettività (anche di team di lavoro) da parte di tutti gli operatori in ogni struttura del SSN, ospedaliera e territoriale; non solo negli IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) – a quando la loro riforma? – o nelle cliniche universitarie. Principi di nuova (in)formazione regolamentati in base ai differenti compiti, attività e doveri assistenziali. È atteso/auspicato un ruolo più incisivo per gli operatori del SSN10. Esempi ce ne sono molti e di qualità che andrebbero generalizzati all’intero SSN. L’analogia con quanto avviene nella scuola è, ancora una volta, utile per la riflessione: perché i laboratori di sperimentazione a cui solo alcuni allievi e di alcune scuole possono beneficiare (per lungimiranza e intraprendenza di alcuni professori o per la disponibilità e attività dei musei locali) devono rappresentare un’iniqua offerta e non essere invece parte della didattica istituzionale pubblica nazionale?
Ad oltre settant’anni di distanza dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il SSN italiano è giudicato a livello internazionale tra i migliori per efficienza (anche della spesa seppur “distorta”) ed equità, ma non basta. Deve e può essere migliorato perché i principi di quella Carta sono spesso disattesi con ampie disuguaglianze sull’intero territorio nazionale (i LEA, Livelli essenziali di assistenza, – prestazioni – sono una delle tante testimonianze). Così se la salute è uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” il SSN deve promuovere e tutelare la care che è fatta non solo della cura delle malattie, ma anche della loro prevenzione, degli interventi ambientali e sociali per il miglioramento delle condizioni, degli stili e della qualità della vita, anche con l’educazione permanente dei cittadini. E ancora con la Carta, se la salute è “condizione fondamentale per la pace del mondo” e “il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano” il SSN la deve garantire (“tutelare”), come previsto anche dall’art. 32 della Costituzione, a tutti gli “individui” presenti sul territorio italiano e non solo ai “cittadini” italiani.
Numerosi sono stati i libri pubblicati in occasione del quarantennio11-15, altri sono in programmazione16 così come interventi con differenti strumenti informativi17-20.
Esperienze, professionalità e “sguardi” differenti, criticamente propositivi a sostegno del SSN pubblico, universalistico equitativo che necessiterebbero di un confronto collegiale e di proposte/indicazioni comuni per realizzare l’incompiuto.

BIBLIOGRAFIA
1. Dichiarazione di Alma Ata. Art. 5 “I Governi sono responsabili della salute dei propri cittadini: essa può essere raggiunta solo mettendo a disposizione adeguate misure sanitarie e sociali. Nei prossimi decenni un obiettivo sociale essenziale dei governi, delle organizzazioni internazionali e dell'intera comunità mondiale dovrebbe essere il raggiungimento, entro l'anno 2000, di un livello di salute che permetta a tutti i popoli del mondo di condurre una vita socialmente ed economicamente produttiva. L'assistenza sanitaria primaria è la chiave per conseguire questo risultato dentro la cornice dello sviluppo in uno spirito di giustizia sociale”, 1978.
2. Bencivelli S. La rivoluzione del servizio nazionale. il Tascabile, 20 dicembre 2018.
www.iltascabile.com/scienze/ rivoluzione-servizio-sanitario/
3. AIFA. Rapporto Osmed 2017. www.aifa.gov.it/content/luso-dei-farmaci-italia-rapporto-osmed-2017
4. Tognoni G, Cauduro A. Farmaci (e tecnologie) come indicatore, didattico e complessivo, della storia del Sistema sanitario nazionale. Rivista delle Politiche Sociali 2018; 2: 157-72.
5. Campedelli M. La governance dei fondi sanitari integrativi. Un ruolo per le Regioni? Milano: FrancoAngeli, 2018.
6. Rozzini R, Trabucchi M. Sanità e condizioni di salute delle persone affette da malattie croniche in tempo di crisi. In: Rapporto Sanità 2013. Bologna: Il Mulino, 2013; 197-212.
7. Bonati M. Case della salute/comunità. Ricerca&Pratica 2016; 32: 113-4.
8. www.disuguaglianzedisalute.it/
9. Giambi C, Fabiani M, D’Ancona F, et al. Parental vaccine hesitancy in Italy. Results from a national survey. Vaccine 2018; 36: 779-87.
10. Garattini S. Un ruolo più incisivo per i medici del Ssn. Il Sole 24 ore, 30 dicembre 2018.
11. Geddes da Filicaia M. La salute sostenibile. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2018.
12. Gelli F, Frulletti V. Curare tutti. 10 sfide per il diritto alla salute. Firenze: Edizioni Clichy, 2018.
13. Dirindin N. È tutta salute. Torino: EGA-Edizioni Gruppo Abele, 2018.
14. Remuzzi G. La salute (non) è in vendita. Bari: Laterza, 2018.
15. Ricciardi W, Alleva E, De Castro P, Fabiola Giuliano F, Salinetti S (a cura di). 1978-2018: quaranta anni di scienza e sanità pubblica. La voce dell’Istituto Superiore di Sanità. Roma: Istituto Superiore di Sanità, 2018.
16. Taroni F. Le riforme sanitarie in Italia. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2019.
17. Maciocco G. Lettera aperta al Ministro della Salute Giulia Grillo. Saluteinternazionale.info, 19 dicembre 2018.
www.saluteinternazionale.info/2018/12/lettera-aperta-al-ministro-della-salute-giulia-grillo/
18. Sironi VA. I 40 anni del Servizio Sanitario. Avvenire, 19 dicembre 2018.
19. Cartabellotta N. Il Ssn compie 40 anni. Lunga vita al Ssn! Le riflessioni del Gimbe. Quotidianosanità.it, 23 dicembre 2018.
www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=69397
20. Toniolo F. I 40 anni del Ssn visti dalle Regioni e la nuova sfida dell’autonomia. Quotidianosanità.it, 7 gennaio 2019.
www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=69673&fr=n




Soffrire in silenzio nell’incertezza
Addendum Editoriale R&P 204





“Ci si può percepire parte di un insieme e contemporaneamente sentirsi confinati ai suoi limiti. Per qualcuno la manifestazione improvvisa del proprio mondo visto da fuori è una sensazione episodica. Per altri è la costruzione di una consapevolezza, una via di fuga per prendere le distanze e restituire il posto alle priorità…
La mia solitudine era un limbo debole, un limite impreciso e compenetrato da tutti gli elementi della vita: la liquidità degli incontri, il cammino dell’età adulta, di cui riuscivo a scegliere solo la strada brevemente percorsa e l’immediato orizzonte…
La solitudine è un posto davvero speciale: si trova su un fondo che in pochi riescono a raggiungere; e dove quasi nessuno vuole restare. Dal di fuori, non è riconoscibile, non ha manifestazioni epidermiche…”.
Sono alcuni passaggi della storia di Evelyn McHale, una ragazza di ventitre anni, che il 1° maggio del 1947 ha deciso di togliersi la vita gettandosi dall’ottantaseiesimo piano dell’Empire State Building, raccontata in modo originale da Nadia Busato in Non sarò mai la brava moglie di nessuno e pubblicato da SEM nel 2018, dopo anni di ricerche, interviste e raccolta di materiale. La sua foto, fatta da Robert C. Wiles, dopo la pubblicazione il giorno successivo su Life Magazine come “Picture of the Week” con la didascalia “Ai piedi dell’Empire State Building il corpo di Evelyn McHale riposa in pace in una bara grottesca, il suo corpo si è schiantato sul tetto di una macchina“ è diventata un cult.

MEDICINA Mario Meinero (1946) era un chirurgo, anche violinista, volontario di decine di missioni in tutta la Palestina. Ha operato negli ospedali di Gerico, Ramallah, Hebron, Beit Jala, Gaza portando avanti con successo diversi progetti di formazione per chirurghi palestinesi, in particolare un programma di endoscopia e di tecniche laparoscopiche per la cura della sterilità. In un Paese che per cultura e per profonda resiliente convinzione ripone nei figli l’importanza della vita, riuscire a curare la sterilità con interventi mini-invasivi e gratuiti nonostante la carenza di risorse sanitarie, ha rappresentato un contributo importante per l’intera comunità palestinese. Solo un medico, “orso cuneese”, di poche parole, un volontario, un cooperante internazionale…

ARTI E MESTIERIFacendo un’eccezione per una rubrica di necrologi italiani, anche per il legame con quello che lo precede: Amoz Oz, pseudonimo (oz significa “forza”) dell’ebreo di origini ashkenazite Amos Klausner, (1939) scrittore politico che nella sua monumentale autobiografia Una storia d’amore e di tenebra aveva narrato tre generazioni israeliane. Narratore dei destini individuali e collettivi, dalla parte dei più semplici, nel ciclo del vivere, lavorare e morire. Uomo di pace e moderazione, fondatore di Shalom Achshav (pace adesso) con un sogno e impegno comunitario per i palestinesi e gli israeliani: “voglio due Stati separati perché noi ebrei siamo già stati minoranza e ci massacrarono. Lo dicevano pure i miei genitori: non deve accadere mai più”.
Bernardo Bertolucci (1941) il regista di gran parte del cinema del novecento italiano. Quel Novecento, girato prevalentemente nella bassa agricola parmense, cremonese e reggiana con le incursioni culinarie dalla Zaira alla Buca di Zibello, che arrivò dopo il travolgente e più visto film italiano (Ultimo Tango a Parigi) e prima de L'ultimo imperatore che gli valse l'Oscar come miglior regista (a tutt'oggi unico regista italiano se si eccettua Frank Capra).