Innovazione e confusione
Antonio Addis
Dipartimento di Epidemiologia, Regione Lazio – a.addis@deplazio.it

Parlare di ricerca e pratica dei nuovi medicinali è diventato un lavoro sempre più complicato, soprattutto in pubblico. Prendete ad esempio le nuove terapie cellulari-geniche in ambito oncologico (CAR-T cell Therapies). Chiunque, anche un operatore sanitario, volesse farsi un’idea sulla base di quanto riportato dai media, di quali di questi prodotti potranno essere a breve utilizzati nella pratica clinica, non avrà vita facile. È difficile anche solo capire ciò che ha già passato il vaglio delle autorità regolatorie internazionali (FDA, EMA) ed è ora in fase di negoziazione in AIFA, distinguendo dall’enorme numero di approcci terapeutici simili, ma ancora chiusi nell’ambito delle sperimentazioni cliniche. In molti di questi casi, segnare la distanza che ancora esiste tra ciò che non ha ancora a disposizione le prove necessarie ( ricerca) e la possibilità di utilizzare a breve nuove opzioni terapeutiche (pratica), diventa lo spiacevole compito del menagramo di turno che sembra voglia opporsi alla medicina del futuro per qualche ottusa e inspiegabile ragione.
Una ricerca con la sola parola chiave CAR-T cell therapy nella banca dati bibliografica PubMed individua 687 lavori dedicati a studi clinici (ricerca del 10 marzo 2019). Mentre una ricerca analoga sul database www.clinicaltrial.gov registra al momento 383 protocolli di ricerca nelle diverse fasi (vedi Figura). Molti di questi studi sono Fasi I o II (ad esempio quelli in Italia), e spesso nello stadio di recruiting, quindi ancora lontani dal poter dare risposte finali ai diversi quesiti clinici. I prodotti che hanno ottenuto l’autorizzazione, da parte della FDA prima ed EMA più recentemente, sono solo 2, a cui si associano due indicazioni terapeutiche. Appare evidente quindi la sproporzione tra ciò che si sta sperimentando e quanto oggi effettivamente già disponibile. Molte di queste linee di ricerca si trasformeranno probabilmente in pratica clinica mentre altre consentiranno però di evitare inutili rischi e scelte inadeguate.
Le istituzioni pubbliche dovrebbero aiutare a non creare confusione tra ciò che è sperimentale e ciò che ha già raggiunto il traguardo della pratica clinica, poiché ogni informazione di questo tipo non è neutra. Ogni annuncio crea attese nei pazienti e aspettative nel pubblico. Nessuno deve ignorare che alcuni bisogni terapeutici sono talmente impellenti che i tempi che vanno dalla sperimentazione alla disponibilità della cura vengono in ogni caso visti dai pazienti come troppo lunghi.
Nel nostro passato abbiamo avuto molti esempi in cui questo fenomeno è stato ignorato causando pericolose forzature. A queste seguono prevedibili cortocircuiti tra pazienti che protestavano ipotetiche innovatività salvavita negate, autoproclamati geni incompresi, autorità sanitarie confuse e media divisi sulla corretta informazione da dare.
Mentre nel nostro Paese la discussione su queste nuove terapie si sta concentrando su possibili scenari futuri tutti ancora da definire, il mio timore è che non stiamo dedicando abbastanza tempo a trovare le giuste risposte agli aspetti pratici e organizzativi impellenti su quanto abbiamo già ora a disposizione. In questo ambito, mescolare i piani su quanto è ancora oggetto di sperimentazione con le opzioni terapeutiche che sono già state approvate dalle autorità regolatorie internazionali aumenta ancora una volta il rischio di confusione. La pratica clinica impara dalla ricerca come evitare gli errori del passato, purtroppo non sempre lo ricorda.




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