CRONACHE DA UNA LUCIDA FOLLIA

Paolo Siani



La cronicizzazione delle disuguaglianze

Abbiamo discusso in Aula il decreto sulla sanità calabrese, che è commissariata da 10 anni, ma che non riesce comunque a raggiungere livelli essenziali di assistenza accettabili, è molto al di sotto ancora del livello minimo, ha un deficit finanziario alto e in aumento, una migrazione sanitaria altissima, oltre il 20% dei cittadini calabresi sono costretti a farsi curare fuori dalla loro Regione.
Quindi è necessario un decreto ad hoc per ridare un’assistenza almeno sufficiente ai cittadini calabresi.
Però il Governo ha deciso con questo decreto di aumentare il budget ai direttori generali e ha deciso di derogare alla legge nazionale, per cui i nuovi manager possono essere scelti anche fuori dall’albo nazionale.
Ma non era meglio sbloccare il turnover e riportare medici e infermieri negli ospedali?
Ma non sarebbe più giusto dare prima degli obiettivi da raggiungere ai nuovi manager? Anche perché come si fa ad accettare un incarico, anche superpagato, senza sapere quali siano gli obiettivi prioritari da raggiungere?
E poi, durante la discussione in Aula, si scopre che uno dei manager individuato fuori dalla graduatoria nazionale ha un conflitto di interessi con la relatrice del decreto, era stato un suo collaboratore, per cui le opposizioni chiedono l’intervento del Ministro della Salute, che viene in Aula e, dopo una strana invettiva contro chi le chiedeva spiegazioni, è costretta a dichiarare che quel manager non sarà scelto. Successivamente viene accettato un emendamento e viene ridotto il compenso ai manager da 70.000 a 50.000 euro in più all’anno solo per aver accettato di lavorare in Calabria e infine la relatrice del disegno di legge è costretta a dimettersi e lascia il suo posto alla presidente della commissione sanità.
A volte il lavoro delle opposizioni serve.
Ora bisognerà vedere, tra 18 mesi, come sarà cambiata la sanità in Calabria.  




Una legge per proteggere chi lavora in ospedale


Si stima che siano oltre tremila i casi di aggressione a medici e infermieri ogni anno, ma solo 1200 sono quelli denunciati all’Inail.
Il sindacato degli infermieri afferma che i più esposti al rischio sono gli addetti al Pronto soccorso, con 456 casi nell’ultimo anno. Le aggressioni a medici e infermieri che lavorano in corsia, quindi non in un reparto di Pronto soccorso, sono state circa 400, negli ambulatori 320. Dati che parlano chiaro: c’è bisogno di ristabilire il patto di alleanza tra medici e pazienti. Non servirà soltanto inasprire le pene, perché sono pochi i medici che denunciano. Bisognerà lavorare per ridare fiducia ai cittadini e mettere i medici e gli infermieri nelle condizioni di poter svolgere meglio il loro lavoro, e proteggere così il diritto alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione.
I dati ci dicono che al Sud le aggressioni sono più frequenti. Ciò rappresenta lo specchio delle disuguaglianze di questo Paese. Fare il medico è difficile, perché spesso è complicato fare una diagnosi corretta e altrettanto difficile è anche saper comunicare bene con i pazienti. C’è bisogno di serenità e di fiducia. Negli ospedali, gli episodi di violenza si concentrano in alcune fasi della giornata lavorativa, come i turni di sera o di notte e durante il fine settimana, probabilmente per il relativo isolamento in cui si trova il personale a causa dell’organico ridotto. Non sono rari, però, anche episodi di aggressione ai danni di operatori sanitari presso i reparti di accettazione nelle sale di attesa e negli ambulatori di comunità assistenziale. Si deve sottolineare, inoltre, la difficoltà di quantificare e descrivere la violenza negli ambulatori. Spazi sovraffollati dove il paziente è costretto a lunghe attese senza ricevere informazioni e senza poterle facilmente reperire, in aggiunta a una condizione personale di sofferenzea e di malattia, innescano con maggiore probabilità l’atto violento nei confronti di medici e infermieri, che, pur non essendo i diretti responsabili, sono l’interfaccia verso l’utente dell’intera struttura sanitaria della sua organizzazione. Tra i molti fattori scatenanti e ritenuti dalla letteratura tra i più influenti vanno citati insufficiente preparazione dei medici a gestire situazioni complesse in emergenza, il sovraffollamento dei Pronto soccorso, la mancanza di triage, l’inadeguatezza della struttura (locali non adatti e poco accoglienti, basso livello di umanizzazione delle cure), pazienti che fanno uso di alcool o di droghe e pazienti con un basso livello socio-culturale.
Per contrastare il fenomeno sono stati proposti alcuni interventi e in particolare la realizzazione di campagne di comunicazione ad hoc, la formazione dei medici e del personale sanitario con programmi specifici (si è constatato che questo riduce gli episodi di violenza), l’incremento della vigilanza e dei posti di polizia, l’installazione di sistemi di videosorveglianza e le previsioni di modifiche strutturali dell’edilizia sanitaria. È stato anche ipotizzato il ricorso all’esercito, in analogia all’operazione “Strade sicure”. Molto utili sono anche gli interventi di sostegno psicologico agli operatori aggrediti. Nonostante il fenomeno sia sempre più sotto i riflettori e ci sia maggiore consapevolezza delle relative cause, i casi - anche molto gravi - di violenza sugli operatori sanitari non sembrano arrestarsi. Nello stesso tempo l’esigenza di maggiore tutela nasce anche dalla circostanza che i medici sono spesso restii a denunciare. Abbiamo pertanto redatto una proposta di legge che ha l’obiettivo di prevedere una fattispecie di reato specifica che tuteli i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario nell’esercizio delle loro funzioni, con pene da sei mesi a due anni, prevedendo la procedibilità di ufficio, in modo da innescare un meccanismo automatico per la repressione penale di fatti che riguardano l’incolumità della categoria. Chiediamo al Presidente della Camera dei Deputati di mettere in calendario questa proposta di legge per dimostrare l’attenzione e la considerazione della politica a tutto il mondo della sanità, che vive giorni davvero difficili.
Il testo è stato pubblicato anche su la Repubblica di Napoli, 10 giugno 2019.