RECENSIONI


Costruire figli in provetta

La fertilizzazione in vitro (FIV) è il risultato di una lunga serie di esperimenti che partono sostanzialmente da animali, dal topo alla scimmia, per arrivare finalmente in epoca recentissima all’applicazione umana. La storia di questa tecnologia mostra, se ve ne fosse bisogno, quanto in generale sia importante la sperimentazione animale per migliorare non solo la salute dell’uomo ma anche la sua capacità di permettere ‘la riproduzione nei casi di sterilità. Tuttavia, come per tutti gli interventi non bisogna dimenticare che i benefici non sono disgiunti dai rischi. Come nel caso dei farmaci, anche per altre tecnologie, inclusa la FIV, si tende a magnificare il beneficio e a minimizzare il rischio. È infatti più facile e rassicurante esaltare il beneficio, mentre è sempre antipatico chiunque voglia porre dubbi o comunque mettere in evidenza aspetti che non pro­ muovono gli interventi. Non bisogna tuttavia dimenticare che sono i dubbi a richiedere ulteriori analisi e studi che permettono alla lunga di precisare meglio i limiti e le condizioni per ottenere i benefìci. E poi è importante non dimenticare che la procedura per la preparazione della donna alla FIV è spesso pesante e quindi è importante anche una sperimentazione orientata allo sviluppo di eventuali miglioramenti.
Il volume dal titolo apparentemente polemico: “Le verità nascoste sulla fertilizzazione in vitro” ha proprio la funzione di sollevare dubbi o, come dice il sottotitolo, “scavare sotto la superficie delle nostre conoscenze”. L’autrice del volume, Clementina Peris, vuole proprio portare all’attenzione di tutti informazioni che nascono da autorevoli pubblicazioni scientifiche. La stessa raccolta di pubblicazioni sul tema, più di 700, rappresenta un “tesoro” difficilmente ritrovabile in altri libri o revisioni sistematiche sul problema.



L’utilità di questo volume nasce anche dal progressivo maggior ricorso alla FIV come metodo riproduttivo. È quindi ragionevole richiedere che si facciano tutti gli sforzi per fornire informazioni il più possibile obiettive a chi si candida alla FIV. Per ottenere queste informazioni è necessario non soltanto avere registri riguardanti le madri e i bambini nati mediante FIV, ma seguire i bambini per la presenza di patologie, in particolare in campo neuroendocrino, in modo da poter fare raffronti con un’analoga popolazione nata in condizioni di riproduzione naturale. Esistono poi anche importanti problemi etici che riguardano la donazione di ovuli, di cui si è occupato il Comitato Nazionale di Bioetica (http://bioetica. governo.it/media/172322/pl7_1995_fecondazione-assistita_it.pdf).
Non vi è dubbio perciò che Clementina Peris, ponendosi magari un po’ al di fuori del coro, ha il merito di porre problemi con l’intento di rendere il contesto attorno alla FIV sempre più critico e pertanto più attento alla salute dell’individuo e della collettività.
Silvio Garattini
Presidente, Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano
silvio.garattini@marionegri.it




I numeri dello scompenso cardiaco

Più invecchio e più resto colpito dalla scoperta dell’importanza di buoni libri per restare al passo delle conoscenze “essenziali” per affrontare un problema o un argomento.
Tra le tante cose che l’EBM ci ha insegnato vi è l’importanza di saper distinguere quella che viene definita “conoscenza di background” da quella che viene definita “conoscenza di foreground”.
Il riferimento nell’insegnamento EBM è a una fotografia/dipinto. È vero: si possono cogliere i particolari di un primo piano (o dei risultati di un trial) anche senza conoscere al meglio il background (la fisiopatologia e l’essenza di un problema), ma li si interpreta davvero nella sua interezza se si ha conoscenza, comprensione e un’utile “interpretazione” del background dell’immagine nella sua interezza (ovvero del problema).
In molte discussioni tra medici ci si finge spesso abili interpreti delle caratteristiche e dei risultati di uno studio (e dei suoi inevitabili bias) senza però occuparsi dell’essenza e delle caratteristiche principali del problema. Anche quando è un allenato lettore di RCT, un medico che non approfondisca di un problema le rilevanti novità del background che lo caratterizza si trasforma in un cattivo interprete della novità che “l’ultimo studio” ci svela.
Forse questa è una delle ragioni più importanti della progressiva scomparsa di medici generalisti e della facilità/importanza con cui si delega allo specialista di settore qualsiasi cosa, indipendentemente dalla nostra voglia/capacità di leggere o della nostra reale esperienza ad affrontare quel dato problema.
In realtà la vita professionale di un medico è più complessa anche di questa fotografia. In molte occasioni il caso o l’epidemiologia ci obbliga ad occuparci di un paziente ben al di là delle competenze specialistiche e/o di settore che quel problema richiede. E allora?



Questa lunga premessa per presentarvi un libro che mi è stato davvero utile: “Scompenso cardiaco e cure palliative”. Il titolo comprende già due parole chiave che occupano da alcuni anni i miei interessi per varie ragioni. Era quindi inevitabile che lo leggessi.
Era pure inevitabile che ne parlassi in pubblico per tentare di raccontare qualche cosa di utile.
I numeri dello scompenso cardiaco sono tali che qualsiasi generalista dovrebbe approfondire l’argomento indipendentemente dal suo ruolo.
Le conoscenze di background dello scompenso cardiaco sono però “troppo” rapidamente mutate negli ultimi anni. Difficile ignorare questa evoluzione ma altrettanto difficile approfondirla con competenza.
Lo scompenso cardiaco è diventato uno dei tanti argomenti medici per addetti ai lavori supercompetenti, ma l’epidemiologia dello scompenso cardiaco è talmente particolare e i “numeri” così mostrosuamente alti che indipendentemente dalle tendenze attuali, che ho cercato di descrivere nella premessa, un generalista ha l’obbligo di tentarne di capire un pochino di più del consueto.
Dalla sua definizione fino alle novità biomolecolari che lo caratterizzano, dagli aspetti etici che la presa in carico comporta fino a tutto il complesso di cure che richiede lo scompenso cardiaco “di questi giorni” è molto diverso dallo scompenso cardiaco che “abbiamo studiato” solo qualche anno fa. E non si tratta solo (purtroppo) delle novità farmacologiche, ma di molto di più: sono mutate conoscenze di background davvero fondamentali e bisogna studiare con umiltà e molto per orientarsi prima di saper leggere le novità offerte dall’ultimo RCT. E questo libro aiuta davvero per orientarsi in questo difficile percorso.
Per essere del tutto sinceri non so davvero se il libro di cui parlo può essere il giusto “punto di inizio” per tutti i medici generalisti che sono obbligati ad occuparsi dell’argomento, quel che però so con certezza è che per me questo libro è stato fondamentale per tentare di sistematizzare il background dello scompenso cardiaco.
Ora per farla molto breve e per cercare di essere utile anche agli autori (magari in una prossima edizione) vorrei raccontare solo alcune delle poche carenze che ho individuato in questo libro straordinariamente utile.
Le spiegazioni delle varie classificazioni sono imperdibili e molto chiare, quel che manca però è qualche tratto “personale” che forse il racconto di alcuni casi vissuti avrebbe potuto chiarire.
La definizione di “cure terminali” è tecnicamente perfetta ma cosa fare nei casi sempre più comuni in cui riusciamo a restituire la vita ad un soggetto con edema polmonare grave (per esempio in una persona anziana che non vuole morire in ospedale) e che improvvisamente si trova nuovamente a “vivere” con il suo scompenso?
Oppure: come realizzare una sedazione di emergenza in un Paese in cui il midazolam non è disponibile per le cure domiciliari?
E ancora: come è possibile che il sistema di emergenza italiano non sappia nulla di come si trasporta un malato affetto da grave edema polmonare da scompenso cardiaco? Un capitolo tutto dedicato a questo non sarebbe stato fondamentale per trasmettere a tutti i “non specialisti di settore” l’importanza della posizione “completamente seduta” (e cioè con i piedi che toccano terra) come ausilio fondamentale a tutta la terapia di emergenza?
E infine: perché strumenti di monitoraggio straordinariamente utili (nell’opinione di chi li utilizzi, forse solo per “conflitti di interesse?) per accompagnare un paziente nella gestione della terapia domiciliare sono ancora così ignorati dalle linee guida e dalla letteratura dell’argomento? Le evidenze sono ancora così basse? E chi stabilisce in questo argomento (come in molti argomenti medici ad alto impatto epidemiologico) le priorità di ricerca che sono fondamentali per “trovare” un giorno e finalmente le evidenze necessarie?
Si dice che un buon libro deve lasciare molte domande aperte oltre che fornire utili risposte. Questo libro assolve brillantemente entrambe queste caratteristiche.
Buona lettura dunque e molte grazie agli autori e all’editore per l’ottimo lavoro realizzato.
Salvo Fedele
Pediatra, Palermo
sf.webm@gmail.com