La trasparenza sui prezzi dei farmaci dopo la proposta italiana a Ginevra

Sul numero 208 di R&P (4/19 – pp. 169-171) nella rubrica Politiche del Farmaco è stato pubblicato il contributo di Valerio Reggi che faceva seguito ad un precedente intervento di Giuseppe Traversa (R&P 206 2/19 – pp. 81). Tema: la proposta italiana indirizzata a febbraio scorso dal Ministro Grillo all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in cui si affrontava il tema della mancanza di trasparenza nel mercato farmaceutico. “Un sasso scagliato nello stagno OMS. Una sortita inattesa perché, a Ginevra, l’Italia non ha mai osato tanto in precedenza, prendendo iniziative di così grande visibilità; ma anche perché nessun paese aveva mai proposto un testo così chiaro, efficace e diretto su un tema così controverso e ricco di implicazioni come la trasparenza dei costi e dei prezzi in ambito sanitario”. L’Assemblea Mondiale della Sanità ha approvato la proposta italiana: e ora?
Questi i commenti ricevuti.



COMMENTO

Antonio Addis
Dipartimento di Epidemiologia, Regione Lazio
a.addis@deplazio.it
Io credo che la risoluzione abbia avuto l’importante valore di sollevare, in un contesto internazionale e autorevole, un problema molto rilevante. Detto questo però non riesco a vedere molti altri aspetti positivi. Anzi, nutro diverse riserve rispetto alla forma e al percorso che si è voluto seguire per sostenere questa operazione. Innanzi tutto mi è sembrato che la proposta abbia mancato, a mio modo di vedere, di un sostegno tecnico e una preparazione che evitassero la scontata critica di chi già oggi l’ha bollata come posizione “ideologica” e priva di sostanza.
Il tema del prezzo dei farmaci occupa da tempo una parte importante del dibattito sulla capacità di rendere effettivamente accessibile le innovazioni terapeutiche1. Tuttavia, la discussione non verte quasi mai sulla necessità di sapere quale siano i reali investimenti fatti dalle aziende ma piuttosto sulla capacità di chi deve approvare i nuovi medicinali di determinarne correttamente il valore in termini di esiti di salute rispetto alle alternative esistenti. La risoluzione invece punta su raccomandazioni di massima perdendo l’occasione di chiedere le cose, anche semplici, che potrebbero cambiare e di molto lo stato delle cose attuali. Manca, a mio modo di vedere, un riferimento chiaro alla necessità che gli enti regolatori si esprimano sul valore terapeutico aggiunto. In definitiva, se seguissimo anche alla lettera tale risoluzione e avessimo maggiori informazioni su quanto le aziende hanno effettivamente speso per sviluppare un nuovo farmaco, io credo che avremmo a disposizione dati difficilmente utili a migliorare in ultima analisi l’effettivo valore del nuovo farmaco. Addirittura c’è il rischio di dover dare peso ad investimenti che, per quanto ingenti, non hanno prodotto farmaci di grande valore terapeutico. Ci ostiniamo a non porre attenzione agli standard di basso livello con cui giudichiamo i nuovi farmaci e alle informazioni che realmente servono – indipendentemente da quanto si sia speso per svilupparli – in modo da capire, gli esperti, i prescrittori ed anche i pazienti, il valore relativo delle nuove terapie.
In tema di trasparenza delle attività regolatorie e di valutazione dei farmaci l’Italia non dà il buon esempio. In confronto ai Paesi che non sostengono questa risoluzione noi siamo molto poco trasparenti riguardo a tutti gli elementi che servono per capire non tanto se il “prezzo è giusto” rispetto all’investimento fatto ma piuttosto se il farmaco vale per beneficio e salute prodotti. L’operatore sanitario, il paziente o il decisore non ha informazioni rispetto al processo decisionale autorizzativo. Non si hanno informazioni su come l’Italia decida e ragioni in ambito EMA. Non si sa perché e su quali dati un farmaco venga oggi giudicato rimborsabile e se è migliore o anche solo simile a quanto già disponibile. I pochissimi passi avanti in termini di valutazione relativa sono stati fatti per i farmaci innovativi, dove per la prima volta si è deciso di rendere pubbliche le valutazioni rispetto al bisogno terapeutico, valore terapeutico aggiunto e qualità delle prove. Non è facile però trovare queste informazioni che sono relegate oggi in una parte del sito AIFA irraggiungibile e per niente nota. Ci sono molte altre cose che ritengo che facciano di questa risoluzione un’operazione pasticciata, solitaria, e velleitaria nel modo in cui è stata posta e, personalmente, ho paura non aiuti molto nell’auspicabile obiettivo di avere dei farmaci con prezzi più equi. A sostegno di queste mie critiche penso valga la pena notare che né prima né dopo questa risoluzione si è registata una qualche iniziativa pubblica (o privata) che illustrasse e dibattesse cosa ci si aspetta che debba oggi cambiare, prima di dutto nel Paese proponente.
Nonostante queste mi perplessità io sono molto contento che si apra il dibattito su tale argomento e ribadisco che quanto detto sopra sono solo opinioni personali.

1. Prasad V, De Jesús K, Mailankody S. The high price of anticancer drugs: origins, implications, barriers, solutions. Nat Rev Clin Oncol 2017; 14: 381-90.



Silvio Garattini
Presidente, Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano
silvio.garattini@marionegri.it
Se la mozione OMS venisse accolta sapremmo quale sia lo spettro dei prezzi che l’industria offre ai vari Paesi europei. Ciò permetterebbe di stabilire qual è il livello di profitto. Inoltre potremmo sapere qual è la spesa per il farmaco rispetto alla spesa sanitaria. Quando dico che in Italia spendiamo per il farmaco un quinto del Fondo Sanitario l’industria risponde che siamo il Paese che spende meno. Se sapessimo quanto spendono gli altri forse potremmo essere più efficaci nel suggerire cambiamenti ai nostri legislatori. Conoscendo il NNT possiamo far vedere come farmaci con prezzo apparentemente simile abbiano rispetto all’efficacia un costo molto diverso. Ciò non toglie che dobbiamo continuare a lottare per proibire studi di non inferiorità, realizzare veri studi comparativi, chiedere un valore terapeutico aggiunto e così via. Cerchiamo di unire le forze e di vedere in tutte le iniziative ciò che può essere positivo per fare in modo che i farmaci servano veramente ai pazienti nell’ambito di un SSN.



Luca De Fiore
Il Pensiero Scientifico Editore, Roma
luca.defiore@pensiero.it
Non sempre la trasparenza è indispensabile e, soprattutto, non sempre è opportuna. Però, anche se non può essere considerata di per sé stessa un principio etico, possiamo definirla una condizione pro-etica in quanto rende possibile o impedisce il determinarsi di principi etici1.
Forse anche per queste sue qualità, la trasparenza nelle decisioni che precedono l’ingresso sul mercato di medicinali e dispositivi medici è considerata una componente centrale dell’attività delle agenzie regolatorie2. E non possiamo poi dimenticare che il ruolo di un’agenzia è per l’appunto quello di essere agente per conto dei cittadini: sarebbe ben strano se il mandato di agenzia trascurasse di prevedere la necessità di una assoluta disclosure dei processi decisionali.
Eppure, non tutti sono d’accordo sulla necessità di trasparenza dell’intero processo regolatorio, compresi quindi i dettagli della negoziazione dei prezzi. Ma opporsi alla domanda di trasparenza potrebbe essere una strategia miope. Molti problemi della sanità pubblica sono dovuti a una progressiva perdita di credibilità: negli Stati Uniti, dal 1966 al 2012 il sentimento di fiducia nel sistema sanitario è passato dal 73% della popolazione al 34%3. Come determinante chiave della fiducia, la trasparenza va ricercata a ogni costo, nel comune interesse di tutti gli stakeholder, compreso di quello dell’industria.
Fiducia che passa anche attraverso l’assunzione di responsabilità da parte dei decision maker. Ma se la determinazione delle priorità nell’allocazione delle risorse economiche è fondamentale, non può esserci accountability senza trasparenza. Perché i decisori possano render conto della ragionevolezza delle scelte compiute nel corso del priority setting, il processo deve essere pubblico, completamente trasparente4.
Un elevato livello di trasparenza e accountability è elemento critico anche per minimizzare i rischi di frode e può ridurre la vulnerabilità alla corruzione e al determinarsi di cattiva condotta5.
Avversaria della trasparenza utile è però la sovrabbondanza di dati, che può creare confusione e addirittura contrastare una migliore informazione ai cittadini. Anche per questo, se è importante che siano resi pubblici i costi degli acquisti delle tecnologie sanitarie, è sicuramente meno interessante che siano condivisi dalle imprese gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo6. Anche perché resta una distanza importante nella definizione del “valore” dell’investimento tra quella assegnata dalle imprese e quella invece riconosciuta dalla ricerca indipendente7.

1. Turilli M, Floridi L. The ethics of information transparency. Ethics Inform Tech 2009; 11: 105-12.
2. Kramer DB, Xu S, Kesselheim AS. Regulation of medical devices in the United States and European Union. N Engl J Med 2012; 366: 848-55.
3. Blendon RJ, Benson JM, Hero JO. Public trust in physicians. US medicine in international perspective. N Engl J Med 2014; 371: 1570-2.
4. Daniels N, Sabin JE. Accountability for reasonableness: an update. BMJ 2008; 337: a1850.
5. Paschke A, Dimancesco D, Vian T, Kohler JC, Forteb G. Increasing transparency and accountability in national pharmaceutical systems. Bull World Health Organ 2018; 96: 782.
6. Walkowiak H, Putter S, Strengthening Pharmaceutical Systems (SPS). Pharmaceuticals and the public interest: the importance of good governance. Arlington: Management Sciences for Health; 2011.
7. Mazzucato M. The value of everything. Making and taking in the global economy. Random House UK: Penguin, 2018.



Nello Martini
Fondazione Ricerca e Salute, Casalecchio di Reno (BO)
nello.martini@libero.it – martini@fondazioneres.it
Il tema è interessante, ma la vera questione non sono gli sconti “non trasparenti” – peraltro comunicati formalmente da AIFA a Regioni – ASL – Direzioni – Farmacie ospedaliere – e non sono questi gli strumenti di ricatto come sostiene il nuovo DG di AIFA (tesi un po’ populista). E tanto meno la questione sono i costi della ricerca (non è questa la funzione di AIFA).
I problemi prioritari della trasparenza riguardano:
la valutazione del reale valore terapeutico dei nuovi farmaci
il rapporto tra prezzi e valore terapeutico (vedi farmaci oncologici a 60.000 €/paziente/anno)
le sfide per AIFA della medicina rigenerativa (CAR-T, terapie geniche, terapie avanzate, procedure “agnostiche” EMA di nuovi oncologici)
la Revisione del Prontuario (l’ipotesi di un risparmio di 2 miliardi non è credibile)

e la lista non finisce qui.
Questi sono i problemi veri, al di là della risoluzione OMS.



Giovanni Giuliani
Roche Diagnostics SpA, Monza
giovanni.giuliani@roche.com
Nella definizione dei prezzi di un farmaco, rientra un numero di fattori diversi, come il bisogno terapeutico coperto, il valore per il paziente e l’impatto sulla società, la qualità delle evidenze, considerando contemporaneamente la remunerazione da indirizzare al continuo investimento in ricerca e sviluppo di nuove molecole.
Contemporaneamente è importante considerare che i Paesi possono differire sensibilmente per quanto riguarda le condizioni socioeconomiche, i bisogni di salute della popolazione e le priorità del sistema salute; per questo motivo non è possibile comparare diversi Paesi e va posta l’attenzione sul garantire l’accesso più ampio anche attraverso una differenziazione dei prezzi in base alle singole peculiarità.
D’altra parte è estremamente difficile ridurre invece il prezzo del farmaco alla somma dei costi di produzione e ricerca, con il rischio di portare a complessi algoritmi che allontano invece dal riconoscimento del valore aggiunto per il paziente la cui valutazione, come detto, deve giustamente essere la priorità del Sistema.
Da questo punto di vista la definizione in Italia di criteri trasparenti per la valutazione dell’innovatività, dal marzo 2017, è un primo importante risultato, ancorché sicuramente da perfezionare ed estendere in modo più ampio per ricomprendere tutti i farmaci e per rimanere al passo con gli sviluppi della ricerca.
Da ultimo va ricordato come l’Italia sia stata pioniera nel garantire l’accesso alla popolazione, a prezzi significativamente inferiori agli altri Paesi europei, implementando modelli di condivisione dei costi e di condivisione dei rischi. La confidenzialità di tali accordi ha sempre garantito (se non in un unico caso noto o ora superato) a tutti gli operatori sanitari italiani la piena conoscenza dei dettagli dell’accordo siglato.
Ben venga quindi il dibattito per capire come migliorare il nostro modello di definizione dei prezzi (analisi dei dati raccolti in 10 anni, (ri)valutazione sugli outcome real life, semplificazione dei registri, ecc.); sarebbe un peccato non partire da quanto di eccellente fatto finora nel nostro Paese.