Lavorare per la felicità con il coraggio della speranza

Città, salute, migranti e psicopolitica. Si dipanano lungo questo percorso il pensiero critico e il richiamo all’azione di Benedetto Saraceno, psichiatra militante che ha lavorato con Franco Basaglia e che è stato per oltre un decennio direttore del Centro salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La sofferenza urbana – che include la sofferenza psicologica e sociale di chi in città vive condizioni di povertà, violenza, insicurezza, emigrazione forzata, esclusione – viene gestita da istituzioni pubbliche e private attraverso una governance che Saraceno schematizza – per facilità di analisi – in sei strategie. Dalla collusione passiva di molte amministrazioni pubbliche che non si occupano del benessere delle persone più marginali, per disinteresse o inefficienza, alla collusione attiva, consapevole, connotata da corruzione e violenza, alla strategia dell’ordine e della sicurezza associati alla costruzione di una percezione identitaria che si contrappone all’altro e al diverso da espellere. La testimonianza dal basso – propria del privato sociale e di quello che l’autore definisce universo filantropico – produce esperienze di valore che però non influiscono sulla governance e non diventano quindi politiche. Sono invece le politiche dall’alto dell’amministrazione pubblica che hanno potere ed effetto gestionali, ma non incontrano le soggettività. L’ultima strategia è quella dell’accompagnamento, che si confronta con la diversità, il conflitto e l’alterità come risorse e occasioni di crescita, da non ridurre a residui marginali.



Il testo di Saraceno racconta la complessità di dimensioni che possono essere vissute in modo antitetico, ma che rappresentano termini da tenere insieme, trovando un modo vivifico e creativo di costruire nuovi orizzonti nella tensione degli opposti. Locale e globale, sofferenza e felicità, istituzionale e sovversivo, affettivo e critico, conflitto e mediazione, reale e utopico, noi e gli altri.
In questa complessità, gli operatori psicosociali sono di fatto dei mediatori sociali. Mediano tra bisogni degli utenti e risposte, servizi e processi offerti dalle istituzioni, mediano tra un proprio sistema valoriale e la mission dell’istituzione in cui lavorano, su un terreno di incontro che prevede tempi e spazi, dove l’operatore mette in atto il proprio stile di lavoro, che dovrebbe prevedere una dimensione affettiva verso l’utente e una dimensione critica che decostruisca le logiche dell’istituzione.
In luoghi in cui le persone – come i campi per rifugiati, i “campi rom”, gli slum di Mumbai – sono deprivate di diritti, risorse, voce. Luoghi dove si creano dinamiche di esclusione, demoralizzazione e dipendenza che possono essere contrastate da forme di democrazia diverse. L’empowerment – come capacità ad aspirare maggiore benessere, libertà e potere e capacità ad acquisire strumenti – è una forma di liberazione che si accompagna a una democratizzazione di saperi, risorse, opportunità.
E se di empowerment molto si parla quando si parla di salute e medicina, Saraceno sottolinea la necessità di strategie di sistema e a livello di operatori per favorire un empowerment reale, in una medicina centrata sulla persona che rafforzi interventi preventivi e di comunità, e consideri i diritti di salute come indicatori sostanziali dei sistemi sanitari e non come dei desiderata.
Saraceno richiama alla necessità di un confronto e una ibridazione tra discipline, competenze e azioni per affrontare le complessità della sofferenza sociale e proporre un ripensamento e una definizione del corrispettivo valoriale della felicità come dimensione individuale e pubblica.
La sfida è porre un orizzonte politico di speranza e di utopia – come spinta verso una società buona e giusta – liberando questi valori da una visione che li riduce a categorie ingenue, non reali e dunque non realistiche. Un vero e proprio lavoro per la speranza e per l’ottimismo con il coraggio e la creatività di pensare forme di trasformazione della realtà, nell’urgenza di abbandonare certezze identitarie e seguire il metodo del ricercatore che pianifica la ricerca a partire dall’incertezza. L’invito è a non riprodurre forme e modi di conoscenza consueti, a pensare l’impossibile, a costruire il sogno, sapendo che trasformazioni “impensabili” sono state pensate e agite, come Basaglia ha indicato.
Saraceno reitera nel testo la necessità di un “laboratorio di riflessione e azione sociale, economica e politica che produca pensiero innovativo, caratterizzato da radicali orientamenti etici” che ha bisogno di nuovi soggetti, “visionari e costruttori di cammini di felicità”.
Cinzia Colombo
Laboratorio di ricerca sul coinvolgimento
dei cittadini in sanità
Dipartimento Salute Pubblica
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano
cinzia.colombo@marionegri.it