Mouton Rothschild


A l ristorante Balthazar di New York, quattro persone ad un pranzo di lavoro ordinano una bottiglia di Mouton Rothschild del 1989 mentre una coppia in un tavolo vicino chiede un Pinot nero. Per i suoi 2.000 dollari di costo il primo è il vino più costoso della carta e il secondo – a 18 dollari – è il più economico. I due vini vengono messi in caraffa ma sono scambiati dal cameriere: ai manager va il Pinot, ai ragazzi il Bordeaux1.

La storia ci raggiunge mentre poggiamo sul tavolino non una guida ai vini del mondo ma un libro che spiega perché le evidenze scientifiche sono inevitabilmente transitorie, potenzialmente esposte a revisione, necessariamente da valutare sottoponendole al giudizio del medico, forte della sua esperienza. Le pagine dell’ultima – meglio: della più recente – fatica di Ivan Cavicchi sono talmente dotte da rendere il lettore prigioniero del sapere dell’autore2. Un’argomentazione erudita che tiene a distanza il lettore poco preparato, anche per un uso scanzonato della punteggiatura che separa il soggetto dal verbo, i sostantivi dagli aggettivi quasi a mettere alla prova il lettore più motivato. Interi capitoli sono dedicati alla evidence-based medicine equiparata ad un ricettario, presentato però come un cambiamento di paradigma rispetto alla pratica clinica come la si conosceva prima del 1993. Anno cruciale, non solo per l’esordio in serie A di Francesco Totti, ma anche per il quasi contemporaneo svilupparsi del lavoro dell’EBM Working group e della libera condivisione del codice del world wide web. Cavicchi spiega con l’aria di chi la sa lunga che dietro la medicina delle prove si nasconde il desiderio di certezze, verità assolute e sicurezze, in una cornice ispirata al riduzionismo positivista...

Eppure, già nel 1996 Sackett, Rosenberg, Gray, Haynes e Richardson chiarivano sul BMJ cosa l’EBM fosse e cosa non fosse: “The practice of evidence based medicine means integrating individual clinical expertise with the best available external clinical evidence from systematic research”3. In Italia, ma certamente con una prospettiva internazionale, nel 1999 Paolo Vineis avvertiva di come già allora si fosse “attenuato” il valore dello studio controllato randomizzato come gold standard per l’acquisizione di prove non solo per il costo elevato per condurli ma soprattutto per l’incapacità di questo tipo di studio di cogliere la complessità e di aiutare a comprenderla4. Nel 2005, Alessandro Liberati precisava che ritenere l’EBM un cambio di paradigma non solo era semplicistico ma anche “concettualmente sbagliato”5. Il malato non è meno importante della malattia, la biografia non lo è della biologia, il contesto non è meno rilevante dell’individuo, la cultura dialoga con la natura, la complessità non è una complicazione: tutto questo è patrimonio di quella “mentalità”5 che connota i professionisti che si richiamano alla EBM come “cornice culturale” e non come modello di comportamento.

Insomma, sono trascorsi trent’anni e stiamo ancora a discutere di cose che sarebbero dovute essere chiarite da tempo: conta di più l’individuo o la popolazione, le evidenze della ricerca o l’esperienza clinica, l’autonomia del medico o la coerenza delle risposte che il servizio sanitario può dare alla domanda di salute. Evidentemente, nonostante non mancasse gente simpatica e pure qualche buontempone tra chi aveva “inventato” l’EBM, c’è poco da fare: è una cosa non solo indigesta ma proprio antipatica. Del resto, come sopportare chi ti rompe le scatole perché hai una penna col marchio di un’industria o hai dimenticato di leggere il BMJ di venerdì scorso o, se ancora potessero invitarti, perché accetteresti anche di andare al congresso a Baia Chia? Nel frattempo, i manager al Balthazar non si sono accorti di nulla e, tutti contenti, hanno bevuto Pinot da 18 euro. Al loro tavolo, i ragazzi hanno conosciuto un vino prelibato, sorpresi che il più economico del menu fosse così buono.

Molto spesso il problema nasce perché ci si trattiene dal non seguire i percorsi più scontati. Qualche volta, la soluzione arriva da un errore: se trent’anni fa avessimo raccontato i principi della ricerca clinica ai ragazzini invece che ai primari ospedalieri, forse oggi non avremmo avuto bisogno di continuare a discutere di linee guida e cookbook medicine. Per fortuna anche in Italia qualcuno ci sta pensando e, seguendo un’idea di Iain Chalmers tradotta in concreto dal Knowledge Centre di Oslo, c’è chi sta provando ad avviare delle esperienze pilota che coinvolgano i bambini degli ultimi anni delle elementari in un percorso di comprensione del metodo della ricerca clinica6.

Intanto, al Balthazar sia i dirigenti d’azienda sia i ragazzi hanno speso solo 18 euro per il vino: il pregiatissimo Bordeaux lo ha offerto il maître.

Ldf – luca.defiore@pensiero.it

1. www.decanter.com/wine-news/new-york-restaurant-mistake-mouton-rothschild-1989-446051-446051

2. Cavicchi I. Le evidenze in medicina. L’uso pragmatico della verità. Battaglia Terme (PD): Nexus edizioni, 2020.

3. Sackett DL, Rosenberg WM, Gray JA, Haynes RB, Richardson WS. Evidence based medicine: what it is and what it isn't. BMJ 1996: 71-2.

4. Vineis P. Nel crepuscolo della probabilità. Torino: Einaudi, 1999.

5. Liberati A. Etica, conoscenza, sanità. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2005.

6. Alderighi C, Rasoini R. Il re nudo nella pandemia: sulla produzione e comunicazione del sapere scientifico ai tempi di SARS-CoV-2. Recenti Prog Med 2020; 111: 398-401.