La “petite école” dei servizi sanitari e sociali al tempo della pandemia1

Come sfruttare al meglio il fatto che questa pandemia Covid-19 rappresenta uno straordinario motore d’innovazione per tutti gli ambienti coi quali abbiamo a che fare in campo sanitario (l’ambiente organizzativo, l’ambiente professionale e, anche, l’ambiente civile, della società per cui lavoriamo)?


COMPETENZE DISTINTIVE PER L’INNOVAZIONE

La mia riflessione parte dal fatto che esistono molti studi sulle competenze distintive delle organizzazioni più innovative, cioè quelle più capaci di reagire e di cambiare, in risposta ai cambiamenti del loro ecosistema. La chiave di volta è stata trovata nelle “organizzazioni che apprendono” (learning organizations), organizzazioni che utilizzano, intenzionalmente, l’apprendimento “quotidiano” dei loro professionisti e del management come principale motore d’innovazione.

Quali sono le competenze che si sono dimostrate più efficaci, che hanno “fatto la differenza”?

La prima è, senza dubbio, la disponibilità ad imparare dagli ambienti esterni. Questo è ciò che l’OCSE chiama “innovazione aperta”2, cioè la propensione ad assumere, all’interno della propria organizzazione, soluzioni che sono state sviluppate altrove, in un luogo diverso dal nostro e/o da attori esterni. Quando questo succede, ciò costruisce fiducia, ad esempio, tra cittadini e servizi sanitari, o, anche, tra diversi gruppi di professionisti, lungo un continuum di partecipazione al cambiamento delle pratiche organizzative e dei comportamenti professionali, che inizia con il “semplice” scambio d’informazioni e che termina con la realizzazione di innovazioni, così come concepite e richieste da cittadini, da professionisti o da altri stakeholder3.

Molto spesso, questa pratica deve essere appresa “ex novo” nelle nostre organizzazioni, poiché non è sufficientemente rappresentata nei programmi di formazione “ufficiale” (di base) dei professionisti.

La seconda competenza distintiva riguarda la ricchezza di luoghi di apprendimento e di opportunità, a disposizione dei professionisti che lavorano nell’organizzazione: si tratta di un apprendimento non formale, che non viene perseguito, esclusivamente, nelle aule deputate alla didattica. Abbiamo bisogno di ambienti che permettano alle persone di imparare mentre lavorano4.

La terza competenza è quella di avere politiche attive per sostenere la creatività dei dipendenti e non affidare l’innovazione (l’attesa di innovazione), nell’organizzazione, esclusivamente alle Unità di Ricerca e Sviluppo. Ci sono, ormai, molte indicazioni al riguardo, che hanno dimostrato l’inefficienza di quest’ultima pratica. Basti pensare ai programmi di finanziamento a livello nazionale e transnazionale (europeo, ad esempio), rivolti sia alle pubbliche amministrazioni sia alle imprese industriali, e indirizzati, quasi esclusivamente, alle Unità di R&S5.

Al contrario, dobbiamo elevare il livello d’istruzione in generale e, in particolare, nelle nostre organizzazioni, il livello di cultura e di competenza, in modo diffuso. Si tratta di fornire i mezzi culturali e di aumentare lo spazio per l’esercizio della responsabilità personale di ogni individuo sul posto di lavoro6.


LEZIONI DA CONDIVIDERE

Se finora ci siamo occupati delle competenze distintive che caratterizzano le organizzazioni che sono in grado di imparare dal loro ambiente, quali sono le lezioni da condividere oggi, al tempo della pandemia del Covid-19?

Abbiamo ormai molti esempi, su riviste scientifiche e nei seminari, che parlano di pratiche di gestione, o di pianificazione, messe in atto nei diversi sistemi nazionali e locali.

A mio parere, tutti fanno riferimento a una serie di valori comuni e permettono di condividere le varie esperienze su quanto la pratica di questi valori sia stata efficace nell’affrontare la pandemia.

In sintesi, si potrebbe dire che la sfida posta da Covid-19 è stata quella di trovare soluzioni per “riequilibrare”, per ricostruire, nei nostri sistemi sanitari e sociali, l’equilibrio perduto tra “io” e “noi”, tra interesse individuale e interesse collettivo.

Com’è stato sollevato da più parti, è necessario, in relazione alla pandemia, porre una domanda di “giustizia distributiva” sul tema dell’assistenza sociale e sanitaria alla popolazione. Ad esempio, in termini di equilibrio dell’offerta tra cure ospedaliere e cure domiciliari, tra risorse per l’assistenza clinica e per la prevenzione, tra professionisti con competenze di base e avanzate...

Pertanto, la ricerca di questo equilibrio è il primo valore da praticare (e da insegnare/imparare) 7,8.

Il secondo elemento è la cooperazione. Ciò significa, per i sistemi sociali e sanitari, in tempi di pandemia, cooperare tra diversi livelli di servizi e tra professionisti, tra discipline e, anche, tra il settore sanitario e i diversi settori e stakeholder della società.

La discussione in atto ci fornisce molti esempi, a questo proposito, che suggeriscono che l’interdisciplinarità e la collaborazione offrono nutrimento per la fiducia, sia tra professionisti che tra servizi e cittadini. L’alto livello di partecipazione dei cittadini e l’apporto di competenze attive nelle comunità hanno aiutato e aiutano, in modo molto significativo, ad affrontare, ad esempio, le sfide del lockdown.

Il terzo valore, che si è dimostrato particolarmente prezioso nella pratica, è la condivisione: condividere i dati, condividere i risultati della gestione, condividere i risultati della ricerca, condividere le informazioni, condividere la conoscenza. Qui abbiamo molto, molto da fare, in Italia9. 

 

COME FACCIAMO TUTTO CIÒ?

Come possiamo rendere le nostre organizzazioni capaci di capitalizzare le innovazioni organizzative e professionali, di rendere duraturi i cambiamenti, che, in origine, hanno rappresentato “risposte adhocratiche”? Dobbiamo pensare a come far diventare stabili e sostenibili le conquiste, dal momento che hanno dimostrato la loro capacità di farci sopravvivere e di insegnarci nuovi modi di lavorare.

Ci sono due strategie, molto importanti, da mettere in atto a questo scopo, nel campo dell’educazione (valide per bambini e adulti): “imparare facendo” e “comunità educante”10.

È necessario che le nostre organizzazioni diventino ambienti più ricchi di opportunità di apprendimento, sia formali che informali, e che lavorino per sostenere e insegnare la pratica dei valori dell’equilibrio individuale/collettivo, della cooperazione, della condivisione, della sincronizzazione tra “io” e “noi”.

Questo può essere perseguito, secondo molti studi, in due modi principali. Il primo è quello di costruire programmi di sviluppo professionale e organizzativo. 

Ad esempio, se volessimo lavorare sul versante organizzativo del sistema sociale e sanitario, per “migliorare la sincronizzazione tra l’interesse dell’ospedale e l’interesse del territorio”, potremmo agire, a vari livelli:

sugli stock (per bilanciare l’offerta di diverse professionalità e specializzazioni);

sulla formazione accademica di base dei nuovi professionisti (ad esempio, integrando i programmi di formazione, tra specialisti ospedalieri e specialisti di medicina di famiglia, e tra infermieri e medici);

introducendo nuovi curricula professionali, in collaborazione con le Università, e sviluppando nuove carriere nel Servizio Sanitario Nazionale, per formare, e impiegare con successo, nuove figure professionali con competenze “più avanzate” (ad esempio, l’infermiere “curante” sperimentato in Canada e ribattezzato “infermiere di famiglia e di comunità” in Italia, o il coordinatore infermiere delle Unità di sincronizzazione tra Ospedali e Territorio, sperimentato durante la pandemia a Parma, in Emilia Romagna);

anche sulla formazione manageriale avremmo da innovare: sarebbe necessario agire in modo tale che i nostri manager, nei Servizi sanitari e sociali, diventino più capaci di supportare i professionisti nei loro percorsi di apprendimento non formale, nelle nuove pratiche (le pratiche dell’equilibrio tra “io” e “noi”, della cooperazione, della condivisione della conoscenza...).

Quindi, dovremmo far crescere dirigenti che tengono le tecniche di coaching e di feedback nella loro cassetta degli attrezzi e che le utilizzano, nel migliore dei modi, nella loro pratica gestionale.

Dovremmo agire sull’ambiente organizzativo per rafforzare la capacità “educante”, potremmo costruire, ad esempio, programmi di valutazione delle prestazioni individuali che si concentrino sulla pratica dei valori che riteniamo importanti per uscire dall’emergenza della pandemia Covid-19.

Prima del 2015 in Québec era attivo il programma di valutazione della “responsabilità di popolazione”, esercitata sia da parte dei professionisti clinici sia dai manager, veniva applicato sia a livello ospedaliero che a livello di assistenza territoriale11, e ha dimostrato un potenziale educativo straordinario per la formazione dei dirigenti del sistema sanitario pubblico. Per questo mi piacerebbe molto vederlo attuato anche in Italia, nell’ambito dell’innovazione post-pandemica. Sarebbe proprio il momento giusto per farlo!

In sostanza, si tratta di mettere in campo programmi di sviluppo con un importante aspetto “educativo” per organizzazioni e professionisti. In questa prospettiva, possiamo includere anche l’utilizzo, in modo diffuso, delle “reti di apprendimento”12,13. Si tratta di rendere stabili gli scambi tra le Aziende Sanitarie (luoghi della gestione dei Servizi) e i luoghi di studio, produzione e trasmissione del sapere, come le Università o altre agenzie di ricerca. Tutto questo, progettato e condotto in modo che la pratica di questa collaborazione produca, per i professionisti e i manager dell’assistenza, la possibilità di apprendere, partecipando ad attività di ricerca scientifica e di didattica. Alle Università, questo porta anche una migliore comprensione del contesto della rete dei Servizi con la quale collaborano. Un esempio già attivo, in questo senso, può essere rappresentato dalla collaborazione tra Aziende Sanitarie e Università per la formazione continua dei tutor di tirocinio per gli studenti dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie: spesso la “qualità” di questi tutor è assicurata da programmi di formazione continua messi in atto dalle Aziende Sanitarie, che hanno tutto l’interesse a mantenere alta la qualità dell’apprendimento dei giovani professionisti, che poi si troveranno a reclutare. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, questi programmi sono il frutto di iniziative non sistematiche e non vengono condotte in collaborazione tra Aziende e Università. Altrettanto dicasi per i tutor aziendali delle Scuole di Specializzazione mediche o per i tutor dei tirocini post laurea (ad esempio, per gli psicologi): reti stabili di apprendimento garantirebbero una qualità migliore della didattica “informale” e una migliore sincronizzazione tra gli apprendimenti curriculari e le esperienze sul campo e, quindi, fornirebbero le basi per una migliore condivisione delle conoscenze del contesto tra personale dei servizi e ricercatori. Per rendere stabili le lezioni apprese dalla pandemia, ne abbiamo estremo bisogno.

Barbara Curcio Rubertini

UO Sviluppo organizzativo, professionale e formazione,

AUSL di Bologna

b.curciorubertini@ausl.bologna.it


BIBLIOGRAFIA

1. Intervento al Seminario: Le point (2020) sur la gestion des intérêts individuels et collectifs dans les milieux sociosanitaires: comparaisons françaises, italiennes et québécoises, 12 juin 2020, organizzato da Robert H. Desmarteau, Départment de Stratégie, Responsabilité Sociale et Environnementale, ESG – UQAM (Ca).

2. OECD. Open Innovation in Global Networks, OECD, 2008, Paris.

3. International Association for Public Participation, IAP2 Spectrum of Participation, 2018. https://cdn.ymaws.com/www.iap2.org/resource/resmgr/pillars/Spectrum_8.5x11_Print.pdf (ultimo accesso 10 agosto 2020).

4. Eurofound, Sixth European Working Condition Survey – Overview Report (2017 update). Luxembourg, Publications Office of the European Union. https://www.eurofound.europa.eu/publications/report/ 2016/working-conditions/sixth-european-working-conditions-survey-overview-report (ultimo accesso 10 agosto 2020).

5. OECD, Innovative Workplaces: Making Better Use of Skills within Organisations, OECD Publioshing, 2010.

6. Skills and discretion Index, uno dei componenti del Job Quality Index, utilizzato dalla European Working Condition Survey, già citata (le dimensioni incluse sono: cognitive dimension, decision latitude, organisational participation, e training).

7. Mintzberg H. Rebalancing Society, 2014. https://mintzberg.org/sites/default/files/rebalancing_society_pamphlet.pdf (ultimo accesso 10 agosto 2020).

8. Mintzberg H. Citizenship, Communityship, Ownership & Leadership, 2016. https://mintzberg.org/blog/4ships (ultimo accesso 10 agosto 2020).

9. Si ricorda qui l’iniziativa del CERN di Ginevra, che ha messo a diposizione lo spazio di archiviazione e la sua potenza di calcolo per la collaborazione aperta tra ricercatori per lo studio del vaccino anti COVID-SARS 2 e la scarsa partecipazione, più volte rilevata, dei gruppi di ricerca italiani a questa iniziativa. www.la7.it/dimartedi/video/coronavirus-il-direttore-del-cern-fabiola-gianotti-abbiamo-messo-a-disposizione-una-piattaforma-per-28-04-2020-322009 (ultimo accesso 7 ottobre 2020).

10. Intuizione di Dewey J, Democrazia ed Educazione, 1916 (1a ed. italiana 1961).

11. Per approfondire, consultare la pagina dell’Institut National de Santé Publique du Québec. www.inspq.qc.ca/exercer-la-responsabilite-populationnelle/responsabilite-populationnelle (ultimo accesso 10 agosto 2020).

12. Gli studi dell’OCSE chiamano questi programmi (di sviluppo professionale/organizzativo e le reti di apprendimento); “pro-innovation organisational practices”: essi caratterizzano i contesti di lavoro capaci di sostenere l’innovazione.

13. Nursing Times, The benefits of Magnet status for nurses, patients and organisations, 30 Oct. 2017. https://www.nursingtimes.net/roles/nurse-managers/the-benefits-of-magnet-status-for-nurses-patients-and-organisations-30-10-2017/ (ultimo accesso 10 agosto 2020).