Necrologi


L a mattina del 5 ottobre 2011 Timothy D. Cook scriveva una email ai dipendenti della Apple: “Steve è morto all’alba”. Meno di un’ora e mezzo dopo, il New York Times pubblicava un articolo di 3500 parole di John Markoff e Steve Lohr, giornalisti che avrebbero poi vinto un premio Pulitzer proprio grazie alle inchieste sull’azienda di Cupertino. Un saggio breve, più che un necrologio. Markoff aveva iniziato a scriverlo il primo agosto 2007: quattro anni prima della morte di Jobs, aggiornando, revisionando, migliorando il testo continuamente.

Non era una stranezza né un eccesso di preparedness: nei file del NYT ci sono tra i 1500 e i 2000 necrologi di persone pre-dead pronti per essere pubblicati. “Pragmaticamente, la vigilanza (degli autori dei necrologi anticipati) crea tensione; filosoficamente, induce in chi scrive un atteggiamento mentale crepuscolare, informato dalla costante consapevolezza di quanto facilmente ognuno di noi possa scivolare da una condizione all’altra” ha scritto Margalit Fox nella rubrica Times Insider del quotidiano. “Uno degli aspetti più stressanti della redazione di questi articoli è il telefonare alla persona premorta per chiedere un colloquio. È una delle situazioni più strane nell’umana esperienza e, credetemi, non c’è niente che possa aiutare in Emily Post (la classica autrice del galateo per gli statunitensi, NdR). Il Timesman della metà del secolo Alden Whitman, uno scrittore di necrologi famoso per aver conversato in anticipo con le persone oggetto della sua attenzione, preferiva affidarsi a perifrasi come ‘Stiamo aggiornando il
tuo file biografico’ e ‘Questo è
per un possibile uso futuro’.
Ho usato entrambe con un discreto successo”.

La prima stesura del necrologio di Fidel Castro fu scritta nel 1959. Anche quella di Elizabeth Taylor era stata preparata talmente in anticipo che il suo autore morì sei anni prima. Nelle redazioni ci si riferisce a questi casi come ai necrologi scritti dal camposanto…

I curatori della sezione dedicata ai necrologi sul NYT (ma probabilmente non solo su questo quotidiano) hanno sviluppato un’esperienza particolare che li rende capaci di tenere sotto controllo non solo l’attività delle personalità più in vista ma anche la loro salute. Appena Boris Johnson ha contratto Covid-19 è stato redatto il necrologio che allora mancava. Minore fretta per Tom Hanks, giudicato più robusto e meno vulnerabile. Pare che solo la tragedia di Robin Williams abbia preso di sorpresa una redazione agguerrita e forte di nove giornalisti esperti.

Un’ultima cosa: pare che i necrologi e i ricordi più approfonditi di chi ci ha lasciato siano tra le cose più lette sui media. Chissà che all’editore di Ricerca & Pratica non convenga insistere col direttore per far diventare bimestrale il suo editoriale di fine anno…


Ldf – luca.defiore@pensiero.it