L’architettura elemento di cura






Nell’aula del vecchio ospedale pediatrico Meyer di Firenze, comunemente chiamato “l’ospedalino”, costruito alla fine dell’Ottocento, la mia attenzione – mentre frequentavo le lezioni di pediatria nella seconda metà degli anni Sessanta – era attratta da una lapide con l’iscrizione di un verso di Giovenale: «maxima debetur puero reverentia». Tale scritta, voluta dal professor Cesare Cocchi, intendeva esprimere un particolare rispetto nei confronti dei piccoli malati.

L’atteggiamento del personale medico e infermieristico, le modalità di rapportarsi con pazienti e familiari si confacevano, generalmente, alla massima indicata nella lapide; tuttavia gli ambienti, gli arredi, le stesse suppellettili erano progettati per persone la cui caratteristica sostanziale consisteva in una dimensione, una “taglia” più piccola di quella dell’adulto, ma non lo erano però per rispondere alle loro più specifiche e generali esigenze psicologiche, cognitive e affettive, ma esclusivamente per quelle connesse alla alimentazione differenziata e alla prevalenza delle malattie di tale fascia di età.

Il fatto che il bambino fosse ritenuto un “adulto piccino” ho sempre sospettato che derivasse da un inconscio retaggio della teoria animalculista del XVII e XVIII secolo secondo la quale il corpo del futuro individuo sarebbe stato concentrato, preformato e predelineato nello spermatozoo.

In effetti lo sviluppo della pediatria e conseguentemente la realizzazione di ospedali e reparti pediatrici sono fenomeni abbastanza recenti; queste strutture di ricovero dedicate all’infanzia vengono edificate in alcune principali città europee solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. I bambini lì ricoverati sono malati ancor più privi di diritti dei pazienti adulti; per lungo tempo persone da isolare dal mondo esterno e dalle proprie famiglie, come testimonia una rilevazione del 1949 nei reparti pediatrici di Londra, che evidenzia come la visita fosse ammessa solo la domenica per un massimo di due ore la settimana al Guy Hospital, mentre al St. Thomas Hospital ogni visita era proibita durante tutto il primo mese di ricovero dei fanciulli!

Una svolta nella assistenza dei pazienti pediatrici si deve all’opera di James Robertson, psichiatra e psicanalista del Tavistock Institute di Londra, con il suo film documentario Two-Yers Old Goes to Hospital del 1952. Devono tuttavia trascorrere molti anni per una diffusa affermazione dei diritti del bambino ricoverato (Carta europea del 1986) e per una riflessione su “L’ospedale a misura del bambino”, come suggeriva lo stesso titolo del bel libro di Giuliana Filippazzi, edito nel 1997 da Franco Angeli.

Il libro di Paolo Felli e Maria Chiara Torricelli è destinato a rappresentare una ulteriore fondamentale tappa nell’approfondimento della conoscenza delle politiche, delle organizzazioni e delle attività degli ospedali pediatrici e dovrebbe divenire un testo di riferimento per chi si occupa, sotto il profilo non solo architettonico ma anche gestionale e assistenziale, dei bambini e adolescenti nei reparti a loro dedicati (anche se il 30% dei pazienti fino a 14 anni e l’87,8% di quelli dai 15 ai 17 vengono ricoverati in reparti per adulti).

Il volume fa parte della Collana “La Cura”, nata dalla collaborazione fra la Casa editrice La nave di Teseo e la Fondazione Meyer, ed è il risultato di un confronto di esperienze di professionisti che operano con diverse competenze, anche in collaborazione tra di loro o all’interno dei quindici ospedali facenti parte della AOPI (Associazione Ospedali Pediatrici Italiani).

L’obiettivo degli autori è quello di esaminare non solo il contributo alla umanizzazione dell’ospedale offerto dalle soluzioni architettoniche ma anche di descrivere i modelli assistenziali e le diverse iniziative di supporto e socializzazione per i ricoverati e le loro famiglie, documentandone l’efficacia sotto molteplici aspetti.

I due curatori, architetti di lunga e autorevole esperienza, hanno avuto la capacità di intessere un percorso ricco di riflessioni e informazioni, grazie anche al contributo di ventisei coautori.

Il testo risulta di gradevole lettura, anche perché ricco di esempi, di testimonianze e di parti narrative, ma nel contempo rigoroso e puntualmente documentato, con riferimenti a esperienze e realizzazioni italiane e internazionali; è corredato da numerose figure, da una scheda/profilo degli ospedali pediatrici afferenti all’AOPI e da una ricca bibliografia.

L’ospedale pediatrico presenta problematiche specifiche che vanno ben oltre quelle che possono apparire ovvie a un qualsiasi osservatore. Infatti esso costituisce una sfida per il maggior coinvolgimento della famiglia nella assistenza e durante importanti fasi diagnostiche e terapeutiche. Il piccolo paziente, specialmente se affetto da patologie croniche o costretto a ricoveri prolungati, è soggetto a rilevanti mutamenti; il tempo trascorso da ricoverato o per la sua frequenza in ospedale per periodici accertamenti e terapie costituisce un pezzo di vita durante il quale egli cresce fisicamente e psichicamente. Si tratta di ore, giorni, settimane nei quali si separa dal proprio ambiente: la sua casa, la sua camera, una parte dei suoi familiari, i suoi compagni; periodi nei quali ha necessità di socializzare, di studiare, di giocare.

Tutto ciò è particolarmente rilevante per una non piccola quota di pazienti e familiari, quando si rende inevitabile il trasferimento in un’altra città o addirittura una migrazione sanitaria in altre regioni per le patologie meno comuni e più complesse.

La malattia – affermano gli autori – quando colpisce l’infanzia e l’adolescenza pone il malato, e anche i familiari, nella drammatica impossibilità di comprenderne il senso. L’ospedale deve, quindi, in particolare per questi pazienti, donare spazio e tempo alle relazioni fin dall’ingresso, con gli spazi di accoglienza e di attesa, sia che esso avvenga dal Pronto soccorso o dalla hall di entrata.

Da qui una disanima di come creare spazi che di per sé curano, che sappiano facilitare una presa in carico corale del paziente e dei familiari: luoghi di attesa in cui si possa socializzare con altre persone e allo stesso tempo isolarsi in piccoli gruppi. Camere di degenza che accolgano anche il familiare e che possano ricreare, in qualche misura, la camera di casa che per il bambino “…è il luogo della mente, dove abitano le idee, i pensieri, le fantasie, le paure, i desideri”.

Il testo passa in rassegna i vari spazi ospedalieri: la hall di ingresso, il corridoio, i soggiorni, la ludoteca, i punti latte per l’allattamento dei più piccoli, le sale per la diagnostica per immagine, la sala operatoria.

Il libro tratta di molti altri aspetti che devono caratterizzare un ospedale pediatrico: i giardini e la loro fruibilità, la scuola in ospedale, la musicoterapia, la pet therapy, il clown in corsia, l’Hospice pediatrico, l’arte in ospedale.

L’ultimo capitolo è dedicato a “Lo spazio dello spirito”, esemplificato dalla realizzazione, nell’ospedale Meyer, di uno spazio che rispondesse “…nei suoi caratteri fisici agli aspetti che rappresentano la convergenza tra le religioni, oltre la singola confessione, su temi e valori propri dell’umanità e del suo rapporto con il sacro, con ciò che si ritiene sacro”; uno spazio quindi non solo multireligioso, ma che con l’arte superasse ogni contraddizione radicale, non solo tra religioni, ma anche tra religione e laicità.

La lettura di questo libro solleva un interrogativo: come possiamo adattare e trasferire molte delle tematiche e delle soluzioni che qui sono illustrate, documentate anche nella loro efficacia terapeutica (riduzione dell’ansia, del dolore, dei tempi di degenza, esiti clinici), nell’insieme dell’assistenza ospedaliera?

Progettare luoghi di cura non vuol dire solo costruire ma far sì che l’assistenza nel suo complesso, l’arte che tali strutture ospitano, l’architettura con la quale gli spazi sono concepiti siano una offerta per tutte le persone che necessitano di cura: luoghi capaci di offrire una piena dimensione esistenziale e di incarnare i simboli di un vivere dignitoso individuale e collettivo.

Marco Geddes da Filicaia

marco.geddes@gmail.com





Volare con la fantasia
è un diritto

Un pellicano cantastorie, una bambina che scalpita per venire al mondo, la sirena che inventò un dolce per placare il mare, un folletto che mette le stagioni sottosopra e molti altri ancora.




Leggere per Crescere. È dimostrato che la lettura ad alta voce può infatti favorire lo sviluppo del linguaggio, arricchire la memoria, stimolare la fantasia, promuovere la capacità di comprendere e soprattutto rendere più intensi e stretti i rapporti affettivi intra familiari. Si cresce...


“A Giancarlo, uno zio che non abbiamo mai conosciuto, un bravo giornalista che attraverso i suoi articoli ci ha indicato la via”. Si apre con questa dedica Favolette, un libro magico, che nasce da un progetto di promozione della lettura, iniziato durante i mesi più difficili della pandemia. Favole “sonore”, da leggere e da ascoltare, interpretate da Valentina Minzoni, edite da Feltrinelli. Favolette è una raccolta di favole scritte da Viola Ardone, Maurizio De Giovanni, Lorenzo Marone, Chiara Gamberale, Fabio Stassi, Davide Morosinotto, Valeria Parrella, Silvio Perrella, con le illustrazioni di Francesca Carabelli.

Un libro, ma anche un progetto sociale, infatti Favolette ha il potere di moltiplicare le storie e per ogni copia acquistata, grazie all’impegno della Fondazione Giancarlo Siani Onlus, una sarà donata ai principali ospedali pediatrici in Italia. Ma è un libro che può fare tante altre magie, tra le quali: al termine della lettura, l’ultima pagina rimanda al sito della Fondazione (https://www.fondazionegiancarlosiani.it/) dove si possono trovare tante altre favole da ascoltare, con dei bellissimi disegni da colorare.

La Fondazione nasce nel 2019, raccogliendo il testimone delle tante battaglie fatte in questi anni per tenere vivo il ricordo del nostro Giancarlo, barbaramente ucciso dalla camorra, il 23 settembre del 1985, solo per aver fatto bene il giornalista. Il progetto Favolette nasce dall’ultimo articolo di Giancarlo, pubblicato su “Il Mattino” il 22 settembre 1985.

Giancarlo scriveva dei “muschilli”, i bambini usati come corrieri della droga, e si chiedeva per loro quale futuro ci sarebbe stato. Per non far cadere nel vuoto quella domanda e così, con uno strumento gentile e potente, come quello della lettura condivisa, la Fondazione con questo progetto si è dedicata ai bambini, per garantire a ciascuno di loro la migliore possibilità di crescere a prescindere dalla città o dal quartiere in cui vive.

A volte, la magia delle favole è davvero sorprendente. Il libro è stato presentato a Napoli, alle Officine San Carlo, con molta partecipazione, in occasione della giornata mondiale per i diritti dei bambini e degli adolescenti. Successivamente a Milano, a San Sebastiano al Vesuvio, a Roma e continueranno le presentazioni per incontrare tanti bambini, mamme, papà, nonni, zii e insegnanti.

Sono iniziate anche le distribuzioni delle copie donate con la vendita delle prime all’Ospedale Santobono di Napoli, al Meyer di Firenze e ai bambini costretti ingiustamente in carcere con le loro mamme nell’ICAM di Lauro. Sono state inviate copie di Favolette anche ai bambini del reparto di pediatria dell’Ospedale “Anna Rizzoli” e ai bambini di Casamicciola sull’isola di Ischia colpita da terribili eventi metereologici. Le magie potranno continuare così da raggiungere sempre più bambini. Perché leggere una favola fa bene al cervello, al cuore e anche all’umore.  •