L’infanzia in testa

Maurizio Bonati

maurizio.bonati@ricercaepratica.it



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Enzo Jannacci,
El me indirìss, 1975



I recenti fatti di cronaca nazionale ribadiscono la cronica disattenzione nel garantire i diritti a donne, bambini e adolescenti (e alle rispettive famiglie). Non è una condizione solo nazionale, come i vari rapporti internazionali che si susseguono documentano, evidenziando i fattori di rischio su cui agire con appropriati interventi per ridurre-contenere le sequele negative sulla vita intera di un’ampia fascia di popolazione. Interventi che necessitano di strategie lungimiranti, collaborative, partecipate e multidimensionali per le quali i decisori non sembrano adeguati a poter rispondere in modo efficace: per cultura, linguaggi, competenze e visioni. Sono disponibili numerose indicazioni pratiche, documentate da risultati di interventi sia nazionali che internazionali, su approcci basati sui diritti, etici, scientifici per il benessere di tutta la comunità, ma il passaggio dalla fase sperimentale a quella di mettere a regime pratiche efficaci (garantire diritti) rimane occasionale. Attribuire solo alla mancanza di risorse (economiche e umane) – senza che si affrontino i principali nodi rappresentati dalla mancanza di strategie politiche per una riorganizzazione qualitativa dei servizi sociali e sanitari che rispondano ai bisogni attuali della popolazione – rappresenta solo una parziale attenuante. Gli ipotizzati interventi nell’ambito del PNRR, l’attuazione delle Case di Comunità, le difficoltà settembrine che caratterizzano ogni anno la riapertura delle scuole (“dell’istruzione e merito” di e per chi?), le risposte alle tragiche domande di accoglienza non sono che alcuni esempi di una sconsolante lunga attesa2.

Promuovere la salute e lo sviluppo (la vita) dell’intera popolazione riducendo le disuguaglianze che si amplificano vieppiù nel tempo con interventi preventivi e precoci rimane un bisogno inevaso.

La salute e lo sviluppo dei bambini sono soprattutto nelle mani e nella testa dei loro genitori, ma questo non basta, come sappiamo e constatiamo quotidianamente. Prendersi cura dell’infanzia a partire dalle famiglie è una delle priorità di una strategia volta al bene comune guardando avanti, come il recente lavoro di Giorgio Tamburlini documenta3.

Garantire le migliori opportunità per condurre e sviluppare la propria e altrui vita è l’espressione contenitiva di tutti i diritti umani e di quanto e a quanti sono ancora negati: le morti sul lavoro (1090 gli infortuni sul lavoro nel 2022 di cui 790 mortali)4, le violenze sulle donne e i minori, i femminicidi, l’accoglienza dei migranti, il diritto alla salute…

Dodici morti sul lavoro in 48 ore il 13 e 14 settembre, 5 a Brandizzo nella notte del 31 agosto: un’inerzia negli interventi preventivi che induce il presidente Mattarella a richiamare la ministra Calderone a “fare di più”.

Se il “fare di più” per l’accoglienza dei migranti, molti minori non accompagnati, donne gravide, molte ragazzine, è l’istituzione di nuovi Cps (Centri di permanenza per il rimpatrio) con l’allungamento dei tempi massimi di trattenimento per il rimpatrio, indica una visione cieca degli esiti degli interventi in tema di migrazione sinora attuati e ancor più di quello che si dovrebbe-potrebbe fare per “accogliere” e non “detenere” gli ospiti sopravvissuti a tragedie.

Tra i compiti delle istituzioni della Repubblica c’è quello di ottemperare ai dettami dell’articolo 3 della Costituzione: “Rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, dell’articolo 2: “Riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, dell’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”; ma le risposte, quando ci sono, vanno in senso opposto.

La risposta emergenziale, securitaria e demagogica, con cui si è risposto alle violenze subite da tempo da minorenni a Caivano (ma da quanti minorenni? In quante Caivano?), in un clima “tossico” e confinato-controllato-ignorato da tempo, testimonia la mancanza di respiro, volontà e capacità di intraprendere quei percorsi che hanno “l’infanzia in testa”. Il “decreto Caivano” documenta l’ignoranza di quanto sinora prodotto in termini di efficacia con interventi di accompagnamento che creano opportunità di (r)inserimento sociale “di singoli e formazioni sociali”. Gli interventi punitivi previsti (inasprimento dei provvedimenti carcerari per i minori, riduzione dell’età del daspo urbano, la custodia cautelare anche dei minorenni...) risultano inefficaci senza un accompagnamento educativo. Così come ipotizzare di ridurre l’abbandono scolastico con la pena fino a due anni di reclusione per i genitori: un abbandono che ancor prima dei figli è stato dei genitori e che quindi più che in carcere, entrambi, andrebbero (ri)accompagnati e sostenuti a scuola.

La genitorialità inizia prima della nascita del figlio, prima ancora del concepimento, e va costruita e modulata nel tempo, anche quando i figli sono adulti. Visioni controtendenza in un contesto in cui il “fluido” confonde valori e giustifica la negazione di diritti.

Essere “in testa” o “nella testa di” non basta, bisogna agire affinché l’infanzia sia “alla testa”, una neoavanguardia per la formazione dei singoli e della comunità.



BIBLIOGRAFIA

1. “Il mio indirizzo, di dove sono nato, me l’hanno ricordato ieri, in Comune: stavo richiedendo un certificato di residenza e a me è tornata in mente tutta l’infanzia”. El me indirìss, 1975 nell’album “Quelli che…”, testo di Enzo Jannacci, musica di Antonio Balducci, Edizioni musicali Impala/RCA.

2. Bonati M. Aspettando Godot. Ricerca e Pratica 2023; 39: 147-48.

3. Tamburlini G. I bambini in testa. Roma: Il Pensiero Scientifico, 2023.

4. Osservatorio sicurezza sul lavoro. https://www.vegaengineering.com/osservatorio/