Una medicina che non penalizza le donne per una salute di tutti?


Perché considerare il genere nella pratica medica e clinica deve essere una priorità?

“Salute per tutti”, oltre a costituire un’ottima risposta breve, è il tipo di claim che dovrebbe attirare, all’unisono, l’attenzione immediata di ogni persona. Non perché stiamo vendendo un rimedio miracoloso, pronto a guarire ogni male in poco tempo, ma perché ci sono sempre più evidenze scientifiche che permettono di accendere finalmente i riflettori su un approccio che può fare la differenza. Ed è anche il modo per far capire che la prospettiva di genere nella medicina non serve, come spesso si pensa, a curare meglio le donne: serve ad ascoltare, esaminare, trattare e fare ricerca meglio per tutte le persone.

I dati raccontano, oggi, una medicina che per decenni ha trascurato e penalizzato le donne; ma anche pratiche mediche che non hanno prestato la giusta attenzione alle differenze sesso-specifiche che, in maniera prevedibile, influenzano la fisiologia dei corpi umani, i sintomi, il modo in cui le malattie si manifestano. Dati che autori e autrici dei due libri “Una medicina che penalizza le donne. Le prove di una scomoda verità e alcune proposte di soluzione” (Rita Banzi, Silvio Garattini) e “Quella voce che nessuno ascolta. La via della medicina di genere alla salute per tutti” (Valeria Raparelli, Daniele Coen) riportano con dovizia di particolari e con il racconto di esperienze dirette di pazienti, facendo capire molto bene quanto la cura delle persone vada ben oltre i meri aspetti scientifici. Sesso e genere non sono la stessa cosa e non sono nemmeno sovrapponibili: ma questa precisazione così scontata all’apparenza ha enormi ripercussioni sulla possibilità di considerare la persona nel suo insieme e di apprezzare tutte le sfaccettature che i nostri corpi offrono ad un osservatore.




Ho individuato alcune parole chiave che vorrei utilizzare per raccontare l’importanza della medicina di genere e della sua divulgazione attraverso testi come questi e comincerò con quella a mio avviso più importante.


CONSAPEVOLEZZA

Non si raccolgono dati, non si studiano nuovi protocolli di ricerca, sperimentazione e visita, non si incentiva lo stanziamento di fondi per approfondire le conoscenze di base senza la percezione che inserire la dimensione di genere in tutti i passaggi sia fondamentale. Le evidenze che oggi abbiamo a disposizione sui tassi di mortalità disaggregati per genere e su come e quanto le malattie cardiovascolari si manifestano in maniera differente tra uomini e donne richiedono una visione attenta basata sulla consapevolezza che queste differenze sono importanti ai fini tanto della cura del paziente quanto delle ripercussioni a livello sociale ed economico. Tradurre la consapevolezza in applicazione quotidiana nella pratica medica e clinica presuppone uno sforzo legislativo non indifferente ma necessario, affinché ciò non rimanga appannaggio della buona volontà dei singoli, ma diventi parte di un approccio integrato nell’interesse di ogni paziente. Oltre a ciò, l’informazione, come diritto di ogni cittadino e cittadina, rappresenta un’arma importante per esercitare nei confronti dei professionisti della salute il proprio diritto ad essere trattati adeguatamente come pazienti e come persone.

La consapevolezza serve anche a fare collegamenti che esulano dal solo contesto clinico e portano ad analizzare il ruolo e il benessere, nonché la sostenibilità delle figure ausiliarie, i cosiddetti (o le cosiddette, visto che la maggioranza di loro è donna) caregiver.

Serve a sapere che la prevalenza di una malattia è maggiore nelle donne o negli uomini e che lo stile di vita, influenzato dal modo in cui la persona opera nella società e su cui il genere influisce, ha un peso tutt’altro che secondario. Quante volte ci si rivolge al medico? Ci si sente liberi (o libere) di descrivere appieno tutti i sintomi o le sensazioni registrate? Oppure, vi si presta attenzione? Sapere queste cose, per chi opera nel campo della salute, è fondamentale.


PREGIUDIZI

Ciò presuppone un lavoro non indifferente, personale prima ancora che come classe medica, su uno dei meccanismi che il nostro inconscio mette a disposizione più facilmente quando si tratta di relazioni interpersonali. Ma non solo: come spiegano diffusamente autori e autrici dei due libri sono tanti gli esempi di ricerca clinica e preclinica in cui i pregiudizi hanno fatto perdere di vista o reso invisibili dati importanti.

Dalle domande che vengono rivolte al paziente (a partire dalla percezione del dolore, fino all’attenzione prestata ai propri sintomi), agli esami e farmaci prescritti fino alla costruzione dei team professionali coinvolti nelle varie fasi della medicina, sono numerosi e problematici gli effetti che i pregiudizi possono avere sull’esito di un percorso di assistenza e, di conseguenza, sulla salute delle persone. Le donne sono state sicuramente le più colpite e penalizzate, nel corso della storia, ma anche uscendo dalla visione binaria ci si accorge di come la possibilità di raccogliere dati sulle persone transgender e la difficoltà di considerarne la complessità siano fortemente influenzate da stereotipi e pregiudizi. Che, ancora una volta, pregiudicano sia la possibilità di raccogliere evidenze e dati in maniera oggettiva, sia di prestare un servizio efficace alla persona coinvolta.

Non sono “solo dolori mestruali”, quelli di cui soffre una donna su dieci in Italia e oltre 200 mila donne nel mondo, che per troppo tempo e troppo spesso ancora oggi si sono viste sminuire una condizione problematica e invalidante come può essere l’endometriosi, responsabile peraltro del 30-40% dei casi di sterilità femminile.


INTERSEZIONALITÀ

Genere, ma non solo. Quando si parla di salute è impossibile considerare le dimensioni in maniera a se stante e non possiamo parlare di genere senza indagare come anche età, etnia, abilità e status socio-economico influiscono sulla possibilità di aspirare ad un livello di benessere e di considerazione adeguato. Sia perché questi parametri influiscono sull’accesso alla cura diventando, a seconda del contesto politico e geografico, un tassello importante del percorso che ogni paziente ha la possibilità di fare, sia perché le soluzioni stesse che la medicina, attraverso la pratica medica in primis, mette a disposizione sono efficaci e utili anche in base alla loro accessibilità. Il modello di essere umano che per molto tempo è stato considerato come “standard” di riferimento non ha raccolto in sé le sfide che la società ci chiede di risolvere e ha messo in luce i limiti di una medicina molto tecnica e poco attenta alle persone di cui questa società è composta: tutte diverse dal punto di vista fisiologico, ma profondamente uguali in termini di diritti.


DIVERSITÀ

Questo è forse il termine più complesso e difficile da declinare, per tutti i significati che può assumere e tutte le sfumature che si presta a descrivere.

In un mondo che punta a eliminare tutte le differenze esistenti per garantire uguali opportunità a tutti, considerare tutte le modalità con cui il genere e il sesso possono influire sui nostri corpi e dare loro una voce può sembrare in controtendenza. Tuttavia, è solo accogliendo e accettando questa immensa varietà di differenze e considerandole tutte importanti allo stesso livello che possiamo veramente concepire una salute per tutti.

Ma la diversità deve coinvolgere anche i punti di vista, le visioni, i contributi e le prospettive da cui guardiamo le persone e i possibili modi di curarle. Le persone operano in maniera diversa e ci sono dati a questo proposito anche sul modo in cui viene condotta la pratica medica: su come vengono seguite le linee guida, sull’approccio al paziente, sul tipo di consigli che vengono dati e sulla comunicazione non verbale. Chi sia meglio o peggio non sta a noi deciderlo, ma ai risultati che vedremo in futuro. Certo è che, se è vero che i due terzi di chi indossa un camice bianco è donna, fatichiamo a vedere questa abbondanza anche ai livelli apicali, un difficile baluardo da conquistare che però è proprio dove si gioca la differenza e dove la diversità può agire con maggiore decisione. Il peso dell’avanzamento di carriera, però, si fa sentire anche qui, segno che l’arrivo di più donne nei punti decisionali deve fare i conti con ripercussioni a livello di work-life balance e di benessere personale ed economico.

La diffusione di informazioni è una delle risorse più preziose che abbiamo, soprattutto quando sono descritte in maniera chiara e fruibile come gli autori hanno saputo fare nel corso di tutti gli interessanti ed esaustivi capitoli, ricchi di fonti bibliografiche ma anche di esperienza. Per tutte le donne che hanno subito una medicina maschilista e per coloro che, in futuro, ci auguriamo, non dovranno più subirla.

Nicole Ticchi

Chimica farmaceutica e comunicatrice scientifica

nicole.ticchi@gmail.com