Una tesi forte


Lo spiegava il grande Edmondo Berselli ne “Il più mancino dei tiri”: a chi pretende di aver qualcosa da dire serve sempre una tesi forte, “magari discutibile o forsennata ma proprio per questo in grado di collocarsi 1. Senza una tesi forte, l’insignificanza culturale è a un passo. In ogni intervento che si rispetti, è indispensabile che il lettore individui “un filo rosso”, “una trama sottile”, “una fine strategia progettuale”: da tempo non è più necessario che un ragionamento reso pubblico sia sensato, perché è più che sufficiente che sia declamato, esposto con l’assertività di chi sembra parlare con cognizione di causa, basandosi su conoscenze solide, almeno all’apparenza. Come il compagno delle medie che tranquillizzava la professoressa: “Il compito l’ho fatto, l’ho solo scordato a casa”.

Rileggevo Berselli sorridendo a ogni frase quando a un salto di capitolo ho ceduto alla tentazione di aprire la mail, facendo purtroppo parte di quell’un per cento di italiani che lo fanno ben più delle 77 volte della media giornaliera. E il thread proponeva anche un’imperdibile descrizione della road map (ci vorrebbe un altro mai più senza) che sola potrebbe farci “uscire da questa tenaglia” (ma si esce dalle tenaglie?). La “tenaglia” in questione era la solita, il prodotto della tensione tra una domanda di prestazioni sanitarie in crescita e risorse economiche sempre minori. Per l’autore dell’articolo, la via maestra sarebbe la prevenzione, “vera attrice del cambiamento”. “Ormai si stima che il 60% del carico di malattia, in Europa e in Italia, è riconducibile a fattori di rischio modificabili con l’adozione di stili di vita salutari” spiegava il proclama e poco importa che la fonte di affermazioni del genere non fosse citata. La prevenzione coinciderebbe col sapersi prendere cura di sé, andando in palestra e mangiando in modo sano: questioni che riguardano il singolo individuo o tutt’al più il nucleo familiare (beninteso, tradizionale).

Prevention is fine but limited – spiegava di recente su Twitter Sir Michael Marmot – Too often it refers to what a health care provider recommends to an individual patient and ignores the cause of the causes.” E anche questa è – o dovrebbe essere – una vecchia storia: prevenzione è una parola ambigua che quando è usata male non solo non favorisce ma ostacola quella rivoluzione culturale invocata da Silvio Garattini nel suo libro più recente2. Dalla sterminata bibliografia sui determinanti sociali delle malattie – ignota o ignorata dalle attuali autorità sanitarie del nostro Paese – c’è il lavoro di Sandro Galea, docente a Boston, che scrive: “La salute degli individui è interamente mediata da forze strutturali e il ruolo della scelta individuale conta poco, se non per nulla, nel contesto di queste forze. Dopo tutto, quanto possono essere salutari le nostre scelte se viviamo in quartieri poco sicuri, se non possiamo permetterci cibo nutriente, se affrontiamo l’emarginazione a causa della nostra identità, se non abbiamo accesso a una buona istruzione? Le nostre scelte sarebbero nominalmente nostre, ma le opzioni tra cui potremmo scegliere sarebbero limitate dalle circostanze. Se c’è qualcosa di cui noi della sanità pubblica siamo sicuri è che le forze strutturali hanno un’influenza ineluttabile sulla salute e che la salute non può essere compresa al di fuori di questa influenza”3.

“Despite its universal popularity, I want to ban the word prevention”: la posizione di Richard Smith è ancora più radicale4. E il divieto di usare questo termine dovrebbe riguardare soprattutto i medici e chi lavora nell’assistenza sanitaria, per il semplice motivo che tutta la baracca della sanità si regge sul consumo di medicina (non solo di medicine), sul volume delle prestazioni, sull’amplificazione e l’incentivazione della domanda di interventi sanitari. In poche parole, la maggior parte dei proclami sull’utilità della prevenzione è poco credibile. E già che siamo in vena di citazioni, conviene chiudere con Amartya Sen, che si fa sempre una discreta figura: “To be healthy is to live a life one has reason to value”.

Ma vallo a spiegare a chi, come scriveva Berselli1, invece che sulle spalle dei giganti si arrampica su quelle dei nani.

Ldf

luca.defiore@pensiero.it

1. Berselli E. Il più mancino dei tiri. Bologna: Il Mulino, 1995.

2. Garattini S. Prevenzione è rivoluzione. Bologna: Il Mulino, 2023.

3. Galea S. The problem of bad behavior. The healtiest goldfish 2022; 20 maggio.

4. Smith R. Time to ban the word “prevention”. R Smith’s non medical blogs 2023; 16 settembre.