Funerale Turchese


Questo portfolio fotografico racconta un periodo vissuto nel 2018, quando l’autrice è stata affetta da un Linfoma Non-Hodgkin (LNH) e ha utilizzato la fotografia come strategia per affrontare quel periodo della sua vita. Precisamente, riguarda il momento della perdita dei suoi capelli, a causa della chemioterapia (R-CEOP) che ha ricevuto. L’autrice si è auto-fotografata durante il periodo della malattia e, posteriormente, ha rielaborato le immagini artisticamente, per dare alle fotografie il significato preciso dei suoi sentimenti, cosa che la fotografia, originalmente scattata, non mostrava. Quindi, questo portfolio parla di due momenti: quello degli autoritratti scattati durante la malattia nel 2018 e quello in cui lei ha rielaborato il suo vissuto nel 2021-2022, rivisitando artisticamente le sue fotografie, dandole un nuovo significato. Con questo racconto per immagini, l’autrice propone una riflessione sul tema dell’identità visiva con riflessi psicologici; propone una riflessione sull’identificarsi con una malattia, e commenta il problema della perdita di privacy inerente e conseguente ad una cura chemioterapica.



RACCONTO PERSONALE

Era l’estate del 2018. Avevo tanti viaggi programmati. Invece, sono inciampata in un sasso che ha deviato il mio percorso e mi ha portato a visitare me stessa. Ho conosciuto l’LNH. In previsione della chemioterapia che avrei dovuto affrontare, i medici mi hanno consigliato di tagliare i miei lunghi capelli, perché li avrei persi. Ho accolto il loro consiglio e, in seguito al primo taglio che ho subito al collo, sono andata a fare il taglio che mi ha colpito nell’anima. Con i capelli corti non mi riconoscevo più. C’ero io, c’era quella di prima, e quell’altra chi era? Era cominciata la chemio e in pochi giorni avrei perso tutti i capelli. Non ero ancora abituata a quell’altra, e un’altra ancora mi si sarebbe presentata? Con ironia, ho pensato: con quale vestito andrò al funerale dei miei capelli? E ho voluto farli blu. Turchese! In un giorno ho comprato il colore. Il giorno dopo mi sono accorta che i miei capelli erano morti. Appena li toccavo, si staccavano, cadevano. Ho pianto. Una profonda sensazione di lutto mi ha invaso. Ho avuto poche ore per realizzare la mia fantasia dei capelli blu e fare gli ultimi scatti. Ecco come sono andata al funerale dei miei capelli: completamente esposta, svestita di me stessa e dell’identità di tutta la mia vita. Fatti gli scatti, sono andata a rasarmi la testa. Ho raccolto in una scatolina quello che era rimasto dell’identità della Vera di prima e ho salutato la nuova arrivata. Avevo tanta strada da fare e ho scelto la fotografia come compagna di viaggio.

Percorso chemioterapico finito, i miei capelli sono tornati a crescere. Piano, piano, mi coprivano la testa come se volessero ricoprirmi l’anima di tenerezza, di delicatezza, di serenità. Ho tolto il turbante. Con un sorriso ho accolto la mia nuova identità. Oggi la sento mia. Sono serena.





NOTE CONCLUSIVE

Tramite un linguaggio fotografico espressivo e interventi materiali realizzati sulle stampe fotografiche, ho dato un nuovo significato alle fotografie che mi ero fatta nel 2018. Ho trasmesso alla pelle delle mie fotografie ciò che ho provato sulla mia pelle e dentro di me. Ho vissuto le mie metafore personali e ho dato vita nuova alla mia fotografia e anche a me stessa. Non mi sono mai riconosciuta nel tumore. Penso che nonostante il nostro corpo possa soffrire, dentro di noi esiste un nucleo sacro e divino che va custodito e protetto, affinché nessun cancro lo possa toccare.


RIFLESSIONE

La riflessione proposta tramite le mie fotografie non riguarda soltanto il problema della vanità naturalmente ferita ma sì, il problema dell’identità. Quale identità? L’identità visiva che cambia radicalmente, quando i chemioterapici provocano la caduta dei capelli e di tutti i peli del corpo. Uno si trova completamente senza capelli e peli. Si guarda allo specchio e una voce interiore domanda: chi sei, chi eri, chi sei stata/o? In questi contesti, come conseguenza, la privacy di questa persona viene compromessa. Nel mio caso, fino a quel momento della mia vita sono stata “quella dei capelli lunghi e degli occhi chiari”. Ma nel giro di 15 giorni, dai capelli lunghi sono passata ad averli cortissimi e, subito dopo, mi sono trovata con la testa nuda. Sono rimasta confusa. Non mi riconoscevo in quella nuova identità visiva. C’è chi in questo momento sceglie di portare una parrucca, oppure si copre la testa con qualcosa, oppure non si copre la testa. Indipendentemente dalla scelta della persona malata o come essa scelga di “truccare” la realtà, da una cosa nessuno scappa: tutti vedono, se ne accorgono che sei malata/o e di cancro. Sì, è proprio così! Se una persona ha un problema al cuore o allo stomaco, per esempio, guardiamo quella persona ma non sappiamo che lei ha quel problema. Col cancro è diverso.

Una persona malata di cancro si riconosce dal suo aspetto fisico perché, frequentemente, si copre la testa (o no) con qualcosa. Foulard, turbanti, parrucche: le solite cose con le medesime caratteristiche. Queste circostanze ci espongono al cento per cento. Cioè, la chemioterapia ci fa perdere la privacy. Queste sono cose minori in confronto alla cura di un cancro? Certamente sì. Ma non devono essere trascurate e sminuite. Sappiamo tutti che i capelli ricrescono. E anche in questo momento, uno si trova a che fare con la propria identità visiva che sta cambiando, in funzione della ricrescita (regolare o meno), dei propri capelli e peli del corpo. Queste sono sofferenze in più per una persona che si trova in terapia chemioterapica. Sono momenti delicati che l’individuo vive, ogni volta che si vede allo specchio e si sente completamente esposto a tutti. È una situazione umiliante. Ma non si dice niente a nessuno. Non si parla. Uno si crede ridicolo e teme il giudizio degli altri che lo giudicheranno lamentoso di una cosa banale. Solo che di banale in questa situazione non c’è niente. Anche piangere è diverso quando non si ha le ciglia. Il corpo cambia quando non si hanno peli, sembra che diventiamo bambole di plastica. Sono tantissime le caratteristiche e le sensazioni corporee che cambiano in funzione della perdita dei peli e dei capelli. Per cui, la valenza psicologica di questo momento, nella cura dell’individuo, andrebbe più valorizzata e presa in considerazione.

Innanzitutto, dalla parte dell’individuo malato in sé. È assai comune l’identificarsi con la propria malattia. È molto presente nella verbalizzazione delle persone il riferimento ad un problema di salute, dicendo: il mio tumore, il mio cancro, la mia gastrite, ecc. Penso che fare attenzione alle proprie parole e al modo di fare riferimento, di raccontare un problema di salute, sia qualcosa che l’individuo possa fare per aiutare sé stesso. Cambiare il modo di dire certe cose cambia il nostro atteggiamento, il nostro posizionamento e modo di vivere e pensare, durante un periodo di malattia. Non vuol dire negare la malattia. Vuol dire non identificarsi con la malattia.




Tutte queste situazioni di vita del paziente malato di cancro meriterebbero uno sguardo particolare, anche da parte delle strutture sanitarie e del personale sanitario. Le terapie proposte dovrebbero considerare, oltre la chemioterapia, delle cure complementari e integrative, capaci di aiutare i pazienti a trascorrere, nelle migliori condizioni, questo periodo della loro vita, anche se essa sta per finire. Migliori condizioni: sia dal punto di vista farmacologico che dal punto di vista nutrizionale e psicologico. Perché tutto è collegato e solo se tutto è in sintonia e in armonia riusciamo a vivere meglio, anche una malattia come il cancro. E riusciamo, addirittura, ad inventarci un “funerale turchese”.










Vera Lucia Covolan

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