I malati sono sani, i sani sono malati

La casa editrice Mimesis bene ha fatto a ristampare un saggio di Erich Fromm intitolato I cosiddetti sani. La patologia della normalità. Lo psicoanalista, sociologo e umanista Fromm costituisce un singolare caso di percorso intellettuale. La sua opera ha avuto un’ampia risonanza internazionale, grazie anche allo straordinario successo editoriale dei suoi libri. A partire dal suo primo lavoro del 1941, Fuga dalla libertà, gli scritti di Fromm furono notevoli tanto per il loro commento sociale e politico quanto per i loro fondamenti filosofici e psicologici. Fuga dalla libertà è considerata come una delle opere fondanti della psicologia politica. A differenza di Marcuse e dei suoi colleghi della scuola di Francoforte che furono critici verso di lui dopo la rottura avvenuta nel 1939, Fromm poteva rivendicare di aver contribuito ad alcune vittorie tangibili durante la propria vita, come le misure per ridurre gli esperimenti e la proliferazione di ordigni nucleari, il rafforzamento delle Nazioni Unite, e misure di consolidamento del welfare state. All’inizio degli anni Cinquanta, Fromm affrontò il problema della salute psichica dell’individuo nella società industriale. Egli mirava a stabilire una relazione tra i moti affettivi che determinano il comportamento e le esigenze economiche e sociali: i tratti caratteriali più diffusi in una società vanno intesi come risultato di un processo di adattamento alle condizioni socioeconomiche. I cosiddetti sani raccoglie interventi a prima vista assai eterogenei: le parti prima e seconda sono costituite rispettivamente da una serie di quattro lezioni tenute nel 1953 e da una conferenza del 1962. La parte terza, un intervento programmatico del 1957 in cui Fromm annuncia la creazione di un Istituto per la scienza dell’uomo, affronta invece il tema del nuovo umanesimo scientifico quale risposta alla patologia della società contemporanea. Nella parte quarta viene presentato un ampio contributo scientifico di Fromm sull’assioma dell’innata pigrizia umana. Questo intervento, che risale al 1973-1974, illustra il tentativo di Fromm di superare la patologia della normalità per mezzo della scienza. La concezione di normalità e di patologia che viene usata nelle discipline medico-biologiche è fondamentalmente diversa da quella riferibile alle discipline psicologiche. I medici pensano a una normalità psicologica negli stessi termini e con gli stessi criteri e parametri di riferimento con i quali pensano a una normalità in campo medico-biologico; invece, la struttura e il funzionamento della mente, in quanto costruzioni individuali, rendono senza senso una catalogazione nosografica corrispondente al giudizio di patologia e alla conseguente diagnosi intesa in senso medico. Fromm è convinto che il nostro futuro dipenda essenzialmente dal fatto che la consapevolezza della crisi attuale induca gli individui più capaci a porsi al servizio di un umanesimo scientifico che riporti l’uomo al centro del suo interesse, in una condizione anche di benessere psicologico. La patologia della normalità descritta da Fromm va intesa come la crescente incapacità dell’uomo di comprendere che egli deve instaurare una relazione attiva e autonoma con la realtà. L’uomo è pigro e passivo per natura: ha bisogno di stimoli esterni per sentirsi motivato a una relazione attiva con la realtà, o l’impulso a essere attivo e a interagire con la realtà è innato? “I malati sono sani. E i sani, in realtà, sono malati”. In questa tesi Fromm ha riassunto decenni di studi sulla normalità, di cui questo libro è il risultato. Servendosi dei concetti di carattere sociale Fromm sviluppa qui una patologia della normalità che vuole essere anche un punto di partenza per quella visione umanistica dell’uomo di cui lo stesso Fromm è stato il grande propugnatore.





Domenico Ribatti

Dipartimento di Biomedicina
Traslazionale e Neuroscienze “DiBraiN”
Università degli Studi di Bari

domenico.ribatti@uniba.it