Tutti a scuola

Maurizio Bonati

maurizio.bonati@ricercaepratica.it


Il 12 settembre si celebra la Giornata internazionale delle Nazioni Unite per la Cooperazione Sud-Sud, la collaborazione tra i Paesi del Sud globale affinché affrontino sfide comuni come povertà, cambiamenti climatici e disuguaglianze attraverso la promozione e la condivisione di risorse, tecnologie e conoscenze, rafforzando l’indipendenza e le capacità locali. Il 12 settembre si celebra anche il No-Plastic bag Day, la Giornata internazionale senza sacchetti di plastica con lo scopo di sensibilizzare le persone al rispetto dell’ambiente e alla riduzione dell’uso delle buste e di altri oggetti in plastica. Basterebbe adottare piccole buone abitudini quotidiane per ridurre i volumi di plastica in circolazione come: usare una sporta di stoffa per gli acquisti; scegliere i prodotti sfusi o dal packaging ridotto; riutilizzare le buste di plastica e di carta; evitare di acquistare bottiglie in plastica, preferendo borracce in metallo o bottiglie in vetro; utilizzare barattoli di vetro per congelare e conservare i cibi in dispensa o nel frigorifero. Una Giornata non si nega a nessuno e i 365 giorni del calendario sono ormai insufficienti per soddisfare le richieste con l’esclusività della data1.

Il 12 settembre si celebra e si inaugura l’anno scolastico con il consueto intervento del capo dello Stato Sergio Mattarella, quest’anno dal Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Cagliari alla presenza di una platea di studenti provenienti da tutta Italia.

Sono 364.069 classi di scuola statale, dalla scuola d’infanzia a quella di II grado, che accolgono 7.194.400 studenti, di cui 311.201 con disabilità e 869.336 con cittadinanza non italiana; sono 811.105 gli studenti delle scuole paritarie, per un totale di 8 milioni di alunni2. Una diminuzione costante degli iscritti (banchi vuoti) negli ultimi sei anni (-7%) con l’aumento di studenti con cittadinanza non italiana (25,2% residenti in Lombardia), sebbene quasi i due terzi nati in Italia. L’attuale legge sulla cittadinanza (Legge 91/1992) non solo non fotografa più da tempo il Paese che si incontra nelle aule scolastiche, ma ogni contesto di vita. A tutt’oggi il ciclico dibattito sullo Ius Soli, sullo Ius Sanguinis, sullo Ius Scholae e sullo Ius Culturae – e le varie proposte di legge – è esitato in un progressivo irrigidimento delle misure applicabili, prima con la Legge 94/2009 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” e poi con il cosiddetto “Decreto Sicurezza (DL 113/2018 convertito dalla Legge 132/2018). Un avvio con i cronici e irrecuperabili ritardi: cattedre ancora scoperte, mancanza di docenti di sostegno, tempo pieno solo per il 49,6% degli alunni e da attivare dalla seconda settimana di frequenza, plessi in carenza edilizia, quando addirittura in mancanza di sicurezza. Ampie le disuguaglianze regionali per un diritto, quello all’educazione, sancito dall’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani, come diritto umano insostituibile. Un diritto, quindi, da collocare nel quadro delle garanzie fondamentali e riconosciuto come un interesse sociale ad affermare e garantire per tutti i cittadini una base culturale che è irrinunciabile per un sano ed equilibrato sviluppo psicofisico. “Andare a scuola” non è solo percorrere un tragitto educativo ma, per molti alunni, in particolare i bambini economicamente svantaggiati, i pasti scolastici hanno effetti sulla salute. Migliorare la qualità alimentare, riduce il rischio di obesità e migliora il rendimento e la frequenza scolastica3. I pasti scolastici rappresentano uno strumento nutrizionale fondamentale per gli studenti provenienti da famiglie con redditi bassi, che ricevono pasti gratuiti o a prezzo ridotto.

La mancanza di un progetto appropriato e complessivo per la formazione dei giovani che riorganizzi e rilanci l’intero ambito dell’istruzione di ogni ordine e grado, dalla scuola materna all’università, finalizzato alla costruzione di un futuro dell’intero Paese, è la testimonianza di una cronica incapacità politica, accettata, anche per la mancanza di conoscenza e consapevolezza, dai cittadini. Un progetto partecipato e condiviso che dovrebbe coinvolgere già nella sua definizione non solo i responsabili tecnici e politici della scuola, ma coloro che ci lavorano e la frequentano e anche i genitori. Sì anche i genitori, perché finalità della genitorialità è l’accompagnamento all’indipendenza e all’autonomia (reciproca: dei genitori dai figli, dei figli dai genitori e tra i genitori), quindi ogni azione “istruttiva” deve essere parte di questo percorso educativo: vanno a scuola i figli, ma contemporaneamente anche i genitori. Un progetto che contempli l’aggiornamento del personale scolastico, ma anche dei genitori. Un progetto scolastico strategico per la formazione dei cittadini, basato sui valori della Costituzione e non sugli interessi o pregiudizi ideologici dei decisori o corporativi dei tecnici dell’istruzione. Un progetto di una scuola che fornisca gli strumenti attraverso i quali ciascuno si costruisca una propria scala di valori nel rispetto della Costituzione e di competenze in accordo alle proprie capacità, interessi, talento, virtù e anche per merito, etica e responsabilità. Un progetto per una scuola dove tutti i giorni bambini e adolescenti imparano a vivere insieme, da uguali, nella diversità: un’educazione alla cittadinanza attiva. Una scuola che lasci il segno per sempre negli alunni, negli insegnanti, nei genitori. La filiera tecnologico-professionale 4+2, la creazione del Liceo Made in Italy e le Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, per citare recenti provvedimenti del Ministero dell’Istruzione e del Merito, non sembrano andare in questa direzione.

Nel frattempo il 12 settembre anche a Gaza si sarebbe dovuto aprire l’anno scolastico, purtroppo gli alunni gazawi dopo aver saltato lo scorso anno scolastico sono attualmente nell’impossibilità di frequentare anche il successivo. Un’impossibilità completa e totale perché gran parte delle scuole è stata distrutta dall’esercito israeliano (122 secondo Oxfam), il personale scolastico, gli alunni e le loro famiglie costretti a rifugiarsi in campi profughi lontani dalle loro residenze, quando sono sopravvissuti ai bombardamenti (11.500 i bambini e ragazzi palestinesi in età scolare deceduti, secondo l’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza). Le scuole, ritenute luoghi sicuri così come gli ospedali, rispetto alle abitazioni, si sono trasformate in rifugi insicuri e cimiteri, anche all’interno dei campi profughi. Come avvenuto l’11 settembre a Nuseirat, al centro di Gaza, dove un raid israeliano sulla scuola al-Jaouni del campo profughi che ospita circa 12.000 sfollati ha ucciso 18 civili: donne, bambini e 6 membri dell’Unrwa, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. Era il quinto attacco al campo profughi di Nuseirat dall’inizio della guerra e in quello dell’8 giugno erano morti almeno 276 civili e oltre 698 feriti. A 45mila primini palestinesi, pronti come i loro 423.699 coetanei italiani a iniziare la scuola primaria pubblica, sarà quindi impedito di frequentare la scuola, così come agli altri 580.000 studenti di Gaza. La negazione del diritto all’educazione rappresenta quindi anche uno dei determinanti della salute su cui il cronico trauma della guerra influirà per lungo tempo4. Un passo fondamentale per proteggere i bambini e i ragazzi di Gaza è porre fine alle operazioni di combattimento che mettono in pericolo i civili e prendono di mira luoghi in cui vivono bambini e ragazzi, come scuole, rifugi e ospedali5.

La drammatica situazione di Gaza è quella comune ai molti conflitti che durano da decenni: Afghanistan, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sudan, Siria... Studenti e insegnanti vengono uccisi, violentati e rapiti, mentre scuole e università vengono bombardate, bruciate e utilizzate per scopi militari6. Milioni di bambini nelle zone di guerra vengono privati ​​dell’istruzione e quindi sono sempre più esposti al rischio di matrimoni precoci, lavoro minorile e arruolamento nei gruppi armati.5 Più a lungo dura una crisi, come un conflitto, più la situazione di emergenza diventa condizione duratura di vita e anche nel passaggio alle fasi di tregua l’istruzione rimane secondaria ad altre priorità.

Tuttavia rientrare in classe dopo un lungo periodo di lontananza non è facile. Come si è visto con le chiusure delle scuole dovute alla pandemia di Covid-19, ci vuole tempo per adattarsi e riadattarsi a nuovi contesti e nuove normalità. Soprattutto quando si tratta di attività che richiedono capacità cognitive. “Assentarsi” da scuola per lunghi periodi e a causa di una guerra implica il dover far fronte anche a traumi psicologici gravi e duraturi che pregiudicano ogni sviluppo ideale, per quanto contestualizzato, di ogni bambino. Tutto questo ci dice, ancora una volta, che il diritto all’istruzione, all’educazione non può prescindere dalla garanzia degli altri diritti universali dell’uomo, quelli dichiarati dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e l’adolescenza, ovunque e in qualsiasi contesto sociale e politico7.

Ma quali sono la conoscenza e consapevolezza di questa situazione nel mondo? Quanto di tutto questo viene analizzato, discusso, insegnato con appropriatezza pedagogica nella scuola italiana? Quanto l’educazione alla pace è parte dei programmi di studio e formazione?

Pace non è il contrario di guerra, ma sinonimo di ascolto, confronto, diritto, condivisione, rispetto… che necessita di essere coltivata, protetta. La pace va insegnata: in famiglia, a scuola, ovunque. Bisogna essere educati alla pace8. Non lo si è fatto in passato, lo si può fare oggi e, meglio, sarà necessario farlo anche in futuro, con ostinazione, impegno e coraggio. Quindi: tutti a scuola, 365 giorni all’anno… per tutta la vita.


BIBLIOGRAFIA

1. Bonati M. Un giorno all’anno. Ricerca e Pratica 2022; 38: 99-100.

2. Ministero dell’Istruzione e del Merito. Focus “Principali dati della scuola – Avvio Anno Scolastico 2023/2024”. Settembre 2023. https://www.miur.gov.it/documents/20182

3. Bleich SN, Cohen J, Kenney E. It is back to school time. The status of healthy school meals for all Students. JAMA Health Forum 2024; 5: e243713.

4. Bhutta AZ, Harding R, Dominguez GB, Wise PH. When is enough, enough? Humanitarian rights and protection for children in conflict settings must be revisited. BMJ 2024;3 86: e081515.

5. Bonati M. Il cronico trauma della guerra. Roma: Il Pensiero Scientifico, 2024.

6. Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA). Education under attack 2024. https://protectingeducation.org/publication/education-under-attack-2024/

7. Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC). https://gruppocrc.net/crc/

8. “La paz es una niña abusada, maltratada, a la que no hemos subido proteger.” Gloria Arias Nieto, tra i fautori dell’accordo di pace tra il governo colombiano e il gruppo guerrigliero delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), che nel 2016 ha messo fine a una guerra civile durata 52 anni. Oggi impegnata nelle trattative per un accordo di pace con l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN).