Neurosviluppo a 3 anni d’età: follow-up dei bambini della coorte italiana NASCITA

Giulia Segre, Elisa Roberti, Rita Campi, Antonio Clavenna, Maurizio Bonati, Gruppo di lavoro NASCITA-Neurosviluppo*

Laboratorio di Epidemiologia dell’Età Evolutiva, Dipartimento di Epidemiologia Medica. Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano

antonio.clavenna@marionegri.it


* Emanuela Ballerini, Vincenza Briscioli, Laura Brusadin, Miriana Callegari, Maria Cristina Cantù, Valeria Carraro, Sara Casagranda, Ornella Castiglione, Maria Angela Cazzuffi, Maria Giuseppina Cera Melania, Nicoletta Cimadamore, Cristina Ciuffo, Sergio Conti Nibali, Luigi De Carlo, Chiara Di Francesco, Maria Elisabetta Di Pietro, Maria Chiara Dini, Paolo Fiammengo, Maria Frigeri, Stefania Genoni, Silvia Girotto, Chiara Guidoni, Enrica Heritier, Carla Matiotti, Elisabetta Mazzucchi, Manuela Musetti, Paolo Nardini, Patrizia Neri, Flavia Nicoloso, Paolo Maria Paganuzzi, Rosanna Palazzi, Maria Chiara Parisini, Giovannina Pastorelli, Michela Picciotti, Giuseppe Primavera, Maria Letizia Rabbone, Patrizia Rogari, Paolo Rosas, Annarita Russo, Francesca Sala, Adelisa Spalla, Ettore Tomagra, Maria Tortorella, Fausta Trentadue, Marina Trevisan, Roberta Usella, Lucia Vignutelli, Rosette Zand, Federica Zanetto.


ABSTRACT

Child neurodevelopment at 3 years of age: a follow-up in the Italian NASCITA birth cohort

Aim. The aim of the study was to identify children at risk of neurodevelopmental disorders through the use of validated instruments by family paediatricians and parents.

Methods. As part of the NASCITA cohort study, the development of 148 children was evaluated. Family pediatricians (FPs) conducted assessments using the CDC Learn the Signs, Act Early Milestones Checklist, while parents completed the Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ). Children were considered at risk if their total score was ≥ 12 on the CDC or > 14 on the SDQ. Univariate and multivariate analyses were performed to assess which variables were associated with a higher likelihood of warning signs (WS).

Results. In all, 14% of children showed WS for developmental disorders at 36 months, a lower percentage than the 24-month assessment (16%): for two out of three children, WS disappeared between 24 and 36 months of age. Persistent WS were observed in 5% of children. Key risk factors identified include older maternal age at delivery (OR 8.93, 95% CI: 1.87 - 42.62) and maternal unemployment (OR 4.75, 95% CI: 1.40 - 16.09), while reading aloud emerged as a protective practice, emphasizing its potential in early interventions.

Conclusions. These results highlight the need for continuous monitoring of WS and the importance of positive parental practices in mitigating developmental risks. Early identification by primary care pediatricians is crucial in addressing developmental concerns early and improving long-term outcomes.

Key words. Child development | cohort studies | neurodevelopmental disorders | pediatrics.


RIASSUNTO

Obiettivo. Identificare i bambini a rischio di disturbi del neurosviluppo attraverso l’impiego di strumenti validati da parte dei pediatri di famiglia e dei genitori.

Metodi. Nell’ambito dello studio di coorte NASCITA è stato valutato il neurosviluppo a 36 mesi di età di 148 bambini. La valutazione è stata effettuata dai pediatri di famiglia tramite la checklist CDC Learn the Signs, Act Early Milestones Checklist e dai genitori con lo strumento Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ). I bambini sono stati considerati a rischio di disturbo (presenza di segnali di allarme) per un punteggio totale ≥ 12 alla checklist del CDC o > 14 all’SDQ. Sono state condotte analisi univariate e multivariate per identificare le variabili associate con una probabilità maggiore di presentare segnali di allarme.

Risultati. Alla valutazione dei 36 mesi sono stati osservati segnali di attenzione nel 14% dei bambini valutati, una prevalenza inferiore rispetto a quella della valutazione a 24 mesi (16%): nei 2/3 dei casi i segnali di attenzione sono scomparsi tra i 24 e 36 mesi. Nel 5% dei bambini sono stati osservati segnali di attenzione persistenti nel tempo. L’età materna più elevata al parto (OR 8,93, IC95%: 1,87-42,62) e la disoccupazione materna (OR 4,75, IC95%: 1,40-16,09) sono risultati i principali fattori di rischio per segnali di allarme, mentre la lettura ad alta voce è emersa come fattore protettivo, sottolineando la sua importanza nell’ambito degli interventi precoci.

Conclusioni. I risultati evidenziano la necessità di un monitoraggio continuo dei segnali di allarme e l’importanza delle pratiche genitoriali positive nel ridurre il rischio di disturbi del neurosviluppo. L’identificazione tempestiva da parte dei pediatri di famiglia è fondamentale per affrontare precocemente i disturbi e migliorare gli esiti a lungo termine.

Parole chiave. Disturbi del neurosviluppo | pediatria | studio di coorte | sviluppo del bambino.


INTRODUZIONE

La prima infanzia rappresenta un periodo particolarmente critico e vulnerabile per lo sviluppo del bambino. I primi anni di vita sono influenzati dall’esposizione a fattori di stress ambientali che possono indurre anche una psicopatologia durante il periodo prescolare1.

La prevalenza dei problemi di salute mentale nei bambini in età prescolare può interessare, nelle sue varie forme e gravità, fino al 25% della popolazione2,3, costituendo un fattore di rischio di sviluppare un disturbo mentale più avanti nella vita4-7.

Il pediatra di famiglia ha un ruolo fondamentale nell’identificare i bambini a rischio di manifestare disturbi dello sviluppo così da attuare interventi precoci anche indirizzando e sostenendo le famiglie.

All’interno della coorte di nascita italiana NASCITA, alla visita di routine effettuata ai due anni di età dal pediatra di famiglia è stata aggiunta una valutazione specifica del neurosviluppo chiedendo ai genitori di compilare il questionario M-CHAT-R (Modified Checklist for Autism in Toddlers, Revised), uno strumento utile allo screening precoce del neurosviluppo.

Una successiva valutazione è stata programmata per la visita ai 36 mesi di età al fine di: 1. identificare e descrivere le caratteristiche dei bambini potenzialmente a rischio di sviluppare problemi emotivi e/o comportamentali a 36 mesi d’età; 2. valutare l’evoluzione della sintomatologia dalla valutazione dei 2 anni a quella successiva dei 3 anni di età; 3. analizzare i fattori di rischio e quelli protettivi, associati con i segnali d’allarme.


METODI

Il presente studio è parte del follow-up condotto ai due anni d’età della coorte NASCITA8. Gli esami di valutazione comprendevano:

valutazione del pediatra: oltre alle informazioni raccolte in occasione dei bilanci di salute, il pediatra ha compilato alcuni item relativi alla checklist dei tre anni pubblicata dal CDC (CDC’s Learn the Signs, Act Early Milestones (LTSAE) Checklist e alle raccomandazioni dell’ISS (Istituto superiore di sanità) per un totale complessivo di 38 domande. I bambini sono risultati essere “positivi” alla valutazione del pediatra (quindi possibilmente a rischio di un disturbo del neurosviluppo) se il numero di item negativi era ≥ 12. Questo cutoff è stato definito classificando i punteggi in percentili e considerando quelli maggiori del 95° percentile come segnali di allarme;

valutazione dei genitori: i genitori hanno compilato la versione italiana del questionario Strenghts and Difficulties Questionnaire (SDQ), relativa ai bambini di età prescolare9, già validata e utilizzata in altri Paesi10,11. L’SDQ è lo strumento di screening maggiormente utilizzato per valutare i punti di forza e di debolezza del comportamento durante l’infanzia e l’adolescenza. L’obiettivo è quello di individuare bambini di età compresa tra 3 e 16 anni che potrebbero potenzialmente avere disturbi emotivi o comportamentali. Il questionario strutturato può essere compilato da diversi soggetti compresi gli stessi bambini/ragazzi, ma anche da genitori e insegnanti. Il questionario, di veloce compilazione, comprende 25 item suddivisi in 5 scale: sintomi emotivi, problemi di condotta, iperattività/ difficoltà a mantenere la concentrazione, difficoltà nella relazione con i pari e comportamenti prosociali. I punteggi delle prime quattro scale vengono sommati per ottenere uno score totale compreso tra 0 e 40. Un punteggio compreso tra 0 e 13 è stato definito normale, mentre punteggi compresi tra 14 e 40 sono stati considerati valori borderline/anormali (in questo studio è stato utilizzato il termine “a rischio” per segnali di allarme relativi a disturbi emotivi o comportamentali)12.

L’esito principale del presente studio è definire la prevalenza di bambini con segnali di allarme per disturbi del neurosviluppo e, mediante analisi univariate e di regressione logistica, quali variabili sono maggiormente associate ai segnali di allarme.

Inoltre, la popolazione dei partecipanti è stata suddivisa in tre gruppi: 1. bambini che presentavano segnali di allarme sia a 24 che 36 mesi (segnali di allarme persistenti); 2. bambini che presentavano segnali di allarme soltanto a 24 o 36 mesi; 3. bambini che non hanno mai mostrato segnali di allarme.

Nel materiale supplementare* sono riportate in dettaglio le definizioni delle covariate impiegate nelle analisi.

Le variabili categoriche sono state descritte attraverso le proporzioni e le distribuzioni di frequenza; le associazioni sono state testate usando il chi-quadro o il chi-quadro per il trend e il test esatto di Fisher, dove applicabile. Per identificare le variabili associate al rischio di problemi comportamentali ed emotivi sono state utilizzate le analisi di regressione logistica “stepwise” usando una probabilità dello 0,05 per inserire o rimuovere il predittore nel modello. È stata utilizzata la “pairwise deletion” per i dati mancanti, in modo da utilizzare tutte le variabili. Il test di Hosmer-Lemeshow è stato utilizzato per determinare la bontà di adattamento del modello di regressione logistica. I dati sono stati analizzati con il software SAS, versione 9.4 (SAS Institute, North Carolina, USA).

Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta (6 febbraio 2019, protocollo n. 59).


RISULTATI

Nel follow-up a 36 mesi sono stati raccolti i dati di 148 bambini (78 maschi e 70 femmine), rappresentativi delle caratteristiche socio-demografiche della coorte originaria costituita da 435 bambini8. Non è stato possibile raccogliere ulteriori informazioni dei rimanenti 287 bambini per il trasferimento della famiglia o del pediatra, per il rifiuto a partecipare al prosieguo dello studio da parte dei genitori o per l’insorgenza di difficoltà rispetto alla conduzione dello studio.


Segnali di allarme a 36 mesi

Ai 36 mesi d’età, dalla valutazione effettuata dal pediatra e dal questionario SDQ compilato dai genitori sono emersi segnali di allarme per 21 bambini (14%). Nello specifico, 4 bambini presentavano segnali di allarme solo nella valutazione del pediatra, 15 solo nell’SDQ e 2 in entrambe le valutazioni; 127 non sono risultati a rischio.

Il punteggio medio degli item falliti nell’SDQ era 7 (intervallo interquartile 4,5-10). Considerando le diverse sottoscale dell’SDQ, sono state riscontrate percentuali più elevate (41,2%) di bambini a rischio negli item inclusi nella scala dei problemi di condotta, seguiti dalla scala difficoltà di relazione con i pari (24,3%). Percentuali più basse sono state osservate nelle sottoscale del comportamento prosociale (17,6%), dell’iperattività/disattenzione (10,1%) e dei sintomi emotivi (4,7%).

Dall’analisi univariata sono emersi i seguenti fattori di rischio per la presenza di segnali di allarme: avere una madre meno giovane al parto (p = 0,01), avere una madre disoccupata (p = 0,02), non praticare la lettura ad alta voce al bambino (p = 0,02). La regressione logistica ha confermato che un bambino nato da una madre di età maggiore ai 39 anni al parto ha più probabilità di sviluppare segnali di allarme (OR 8,93, IC95% 1,87-42,62), così come un bambino nato da una madre disoccupata (OR 4,75, IC95% 1,40-16,09) oppure da un genitore che non legge ad alta voce (OR 3,74, IC95% 1,24-11,27). Inoltre, bambini che hanno un’interazione medio/elevata con i dispositivi elettronici hanno minori probabilità di sviluppare segnali di allarme (OR 0,30, IC95% 0,09-0,98).


Follow-up dei bambini che hanno presentato segnali di allarme alla valutazione effettuata ai due anni

Dei 69 bambini che presentavano segnali di allarme alla valutazione effettuata ai 2 anni di età, è stato possibile effettuare il follow-up a 3 anni di 23 (4 di questi avevano ricevuto una diagnosi formale di disturbo del neurosviluppo in seguito alla valutazione dei 2 anni). Per 8 bambini (valutati sia a 24 che 36 mesi), i segnali di allarme erano presenti in entrambe le visite (uno di loro era tra i 4 con diagnosi formale).

Complessivamente, 8 bambini hanno mostrato segnali di allarme persistenti in entrambe le visite (gruppo 1), 28 solo a 24 o 36 mesi di età (gruppo 2) e 112 non hanno mai presentato segnali di allarme (gruppo 3). Sono emerse differenze tra questi tre gruppi rispetto alle seguenti variabili: condizioni croniche paterne, genere del bambino, occupazione materna e lettura ad alta voce (tabella 1).







In particolare, il genere maschile (p = 0,04) è risultato associato a maggiori probabilità di presentare segnali di allarme sia nel gruppo 1 che nel gruppo 2; le differenze nella prevalenza di condizioni croniche paterne riguardavano il gruppo 2 versus il gruppo 3 (p = 0,03), mentre i bambini con madri disoccupate erano maggiori nel gruppo 1 (p = 0,02), senza differenze significative tra il gruppo 2 e il gruppo 3.

La lettura ad alta voce ai bambini è emersa come fattore protettivo per lo sviluppo sia a 24 mesi che a 36 mesi (p = 0,005). La percentuale di genitori che legge ad alta voce aumenta significativamente dal gruppo 1 al gruppo 3 (c2 = 11,3; p = 0,0008).


DISCUSSIONE

Al follow-up a 36 mesi nel 14% del presente campione è stata osservata una prevalenza di segnali di allarme, leggermente inferiore a quella riportata nella valutazione a 24 mesi d’età. In quasi due bambini su tre i segnali di allarme sono scomparsi con il raggiungimento dei 3 anni d’età confermando una soggettiva tempistica nelle diverse tappe evolutive13,14.

In totale, il 5% dei bambini ha mostrato segnali di allarme persistenti (sia a 24 che 36 mesi), risultando quindi maggiormente a rischio di sviluppare possibili disturbi dello sviluppo.

Rispetto alla presenza di segnali di allarme a 36 mesi d’età, avere una madre giovane al momento del parto, che lavora e che pratica la lettura ad alta voce al bambino sono risultati fattori protettivi.

Differenti erano invece le variabili associate a una maggiore probabilità di segnali di allarme nella valutazione a 24 mesi, in cui il genere maschile e la presenza di disturbi del sonno sembravano essere maggiormente correlate alla comparsa di segnali di allarme. Solo la lettura ad alta voce sembra invece avere un impatto significativo in entrambe le valutazioni.

L’effetto di un’età materna più elevata sulla vulnerabilità dello sviluppo dei bambini è già stato riportato a partire dai 6 mesi15 fino ai 5 anni di età. In particolare l’età della madre al parto influisce sulla salute fisica e sul benessere del bambino, oltre che sulla sua competenza sociale e la maturità emotiva16. Così come avere meno di 24 anni o un’età superiore ai 35 anni al momento del parto aumenta la probabilità che un bambino sviluppi ADHD o disturbi dell’apprendimento17. Analogamente, uno studio israeliano che ha analizzato i database nazionali delle visite pediatriche svolte tra il 2016 e il 2020 ha documentato un’associazione tra la disoccupazione materna e un rischio più elevato di mancato raggiungimento delle tappe di sviluppo18.

L’unica pratica genitoriale in grado di fungere da fattore protettivo per lo sviluppo del bambino, sia alla valutazione a 24 che a 36 mesi, è emersa essere la lettura ad alta voce. Diversi studi hanno dimostrato che la lettura ad alta voce può essere una strategia efficace per migliorare lo sviluppo del linguaggio e altre abilità di alfabetizzazione19,20. Inoltre la promozione di una genitorialità sensibile attraverso la lettura ad alta voce e il gioco riduce i problemi di comportamento (come l’iperattività) e migliora lo sviluppo socio-emotivo sia nei neonati che nei bambini fino ai 5 anni di età21. I programmi che promuovono la lettura ad alta voce hanno influito positivamente sulle interazioni genitori-figli in famiglie con differenti background culturali ed educativi22. Ad esempio, un programma brasiliano incentrato sulla promozione della lettura ad alta voce tra genitori e bambini, realizzato in centri per l’infanzia, ha osservato miglioramenti sia nelle interazioni tra genitori e bambini che nello sviluppo cognitivo e linguistico dei bambini23. Pertanto, questa pratica dovrebbe essere considerata con particolare attenzione per la capacità di ridurre la probabilità di segnali di allarme nel tempo.

Considerando le altre variabili emerse come fattori di rischio per i segnali di allarme persistenti, come già riportato anche in altri studi24,25, i bambini maschi sono maggiormente a rischio delle femmine. Così come la presenza di una condizione cronica paterna aumenta la probabilità di avere segnali di allarme persistenti nel tempo26.

Infine, i bambini che interagiscono più frequentemente con i dispositivi elettronici risultano meno a rischio di presentare segnali di allarme del neurosviluppo. Questo risultato è inaspettato e può apparire in contrasto con quanto riportato in letteratura27. Tuttavia, l’associazione è debole e gli intervalli di confidenza sono ampi; non è possibile escludere l’influenza di altre variabili e non è conosciuta la durata dell’esposizione né il contesto di utilizzo del dispositivo28, quindi sono necessarie ulteriori ed appropriate valutazioni.

I segnali di allarme, come definiti nel presente studio, sono stati valutati con il questionario SDQ. Questo strumento ha rivelato percentuali più elevate di bambini a rischio nella scala dei problemi di condotta e nella scala relativa alle difficoltà nella relazione con i pari. Sebbene non siano ad oggi disponibili specifiche ricerche sull’importanza di queste sottoscale, si può notare che gli item appartenenti a queste scale sono relativi a problemi nell’ambito relazionale e delle interazioni. La mancata acquisizione delle competenze sociali della specifica fase evolutiva, sembrerebbe essere correlata a un aumento del rischio di problemi persistenti, come comportamenti aggressivi, oppositivi e difficoltà emotive29. Pertanto, per i pediatri, queste sottoscale potrebbero segnalare aree di particolare importanza che necessitano di ulteriore attenzione e di indicazione e accompagnamento ai genitori30.

Infine, le dimensioni ridotte del campione e la bassa numerosità di bambini con segnali di attenzione rappresentano dei limiti dello studio, sebbene risulti a tutt’oggi unico. Sarà quindi utile e interessante verificare le indicazioni emerse in un contesto più ampio e in una temporalità più lunga.

Il presente studio sottolinea l’importanza che i genitori e i pediatri devono porre nell’identificare il più precocemente possibile eventuali segnali di allarme relativi al neurosviluppo del bambino. Tra le variabili a questo associate: la disoccupazione materna, i problemi di condotta e di relazione con i pari nei bambini. Allo stesso tempo, i risultati incoraggiano la promozione di pratiche genitoriali quali la lettura ad alta voce al bambino che agisce preventivamente andando a ridurre la probabilità che i bambini manifestino disturbi dello sviluppo e diminuire il rischio di segnali di allarme persistenti.


Ringraziamenti
Gli autori ringraziano Maria Grazia Calati per la sua assistenza nella gestione dei dati della coorte e la comunicazione con i pediatri Michele Zanetti, per gli aspetti informatici relativi al sito della coorte, e Gian Marco Marzocchi per i suoi consigli relativi all’uso dell’SDQ.


La bibliografia dell’articolo, e il *materiale supplementare sono consultabili su www.ricercaepratica.it nella sezione Addenda sotto all’articolo.