Quarant’anni dopo per continuare a difenderci dalle mezzeseghe

Luca De Fiore

luca.defiore@pensiero.it


“Vedi, io sono d’accordo con quello che ha scritto Edmund Wilson nel suo saggio Il polonio dei letterati1: la vita buona di una rivista dura più o meno cinque anni, perché dopo non riesce più a rendere conto della società che cambia”. Può anche darsi che Goffredo Fofi abbia ragione2 e che anche R&P già dopo i primi cinque anni di vita abbia iniziato a perdere la capacità di leggere la realtà – sanitaria e sociale – che l’aveva accolta, con maggiore o minore entusiasmo. Nonostante sia passato tanto tempo, il ricordo è quello di una rivista che sicuramente negli anni Novanta del secolo scorso non aveva perso il proprio carattere, svolgendo un ruolo non trascurabile in anni molto importanti per la sanità del nostro Paese. Vero è che lo stesso Fofi ammette che nella storia si alternano “periodi di quiete e periodi di febbre” ma aggiunge che “le riviste oggi sono come salottini in cui ognuno fa le cose per sé, senza guardare quello che c’è fuori”.

Ne avrà molti, di difetti, R&P ma questo non lo ha di sicuro: la scelta di perdere il sottotitolo che la legava all’istituto dov’era nata è anche stata dettata dalla volontà non solo di guardare fuori, ma di uscire per la strada. Non che abbia mai avuto timore di andare in giro per il mondo, la rivista e chi la anima, ma da qualche anno questa tensione è ancora più evidente: la febbre è ancora alta, insomma. E allora? Anni interessanti e difficili ma proprio per questo la scelta è obbligata. È sempre Fofi a citare Samuel Beckett: “Non posso continuare, continuerò”. Proseguendo così: “Oggi il nostro dovere è difenderci dalle mezzeseghe, e l’unico modo è rialfabetizzare, costruire minoranze agguerrite, intelligenti, preparate”.

In un incontro a Roma a inizio dicembre, Nicola Lagioia discuteva con Paolo Giordano proprio del ruolo delle riviste culturali, sfogliando Legami, l’ultimo quaderno della rivista Lucy sulla cultura. Diceva, in sintesi, che una rivista può anche parlare a poche persone, perché riviste e libri si dividono i compiti, accettando le prime la possibilità di rivolgersi a un’élite e i secondi a usare un linguaggio universale. Del resto, chi sta in cucina sa che di lievito ne basta poco, per far crescere un dolce. In questo infinito combattimento con le mezzeseghe di cui il nostro Paese è pieno, l’editore è col direttore – pardon: col coordinatore editoriale o come preferisce definirsi – cercando di aiutare a costruire il ponte tra il modo di vedere il mondo di chi “pensa” queste pagine e quello di chi a queste si avvicina per leggerle o sfogliarle.


 


1. Wilson E. Saggi letterari: 1930-1950. Milano: Garzanti, 1967.

  Carbone MT. Il lavoro culturale: dialogo con Goffredo Fofi. Le parole e le cose. 3 novembre 2023.