I bambini ci guardano e…
aspettano ancora

Rita Campi, Maurizio Bonati
Laboratorio per la Salute Materno Infantile
Dipartimento di Salute Pubblica, IRFMN, Milano
rita.campi@marionegri.it


Le aspettative per il nuovo millennio rimangono ancora tali dopo un decennio (anche) per i bambini italiani. I nostri bambini hanno differenti possibilità di sopravvivere a seconda del luogo in cui nascono (regione), differenti possibilità di frequentare gli asili e la scuola dell’obbligo a seconda del luogo in cui vivono (comune), differenti possibilità di ricevere assistenza sanitaria a seconda del luogo in cui crescono (ASL).



Ma come è cambiata la salute dei bambini italiani negli ultimi 10 anni e quali sono i nuovi fenomeni che dovremmo considerare per analizzarne e comprenderne meglio le problematiche?
Le diseguaglianze tra Nord e Sud ci sono e sono evidenti fin dal momento della nascita e si mantengono per tutto il periodo della crescita, nella cura e nell’accesso ai servizi socio-sanitari. Il numero dei nati è leggermente in aumento rispetto all’ultimo decennio ed è in relazione alla maggiore presenza straniera regolare. Infatti, l’incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati della popolazione residente in Italia ha fatto registrare un fortissimo incremento passando dal 7% del 1995 al 12,7% del 2008 del totale dei nati vivi.
L’Italia risulta essere ai primi posti al mondo per numero di parti cesarei: il 39,7%, 4 su 10, avviene per via chirurgica e non naturale. Questa percentuale ci pone al primo posto in Europa ed è in continuo aumento senza mostrare alcun accenno di inversione di tendenza, con valori diversi nelle differenti realtà regionali con i picchi al Sud (Campania, Sicilia, Molise e Puglia superano il 50%).
Al Sud si muore di più nella prima settimana di vita, in particolare la mortalità perinatale, seppur dimezzata negli ultimi dieci anni, passando da 8,4 a 4,6‰, nelle regioni meridionali resta 2-3 volte superiore rispetto alle regioni settentrionali a parità di nascite patologiche (da 2,1 in Molise a 7,0 in Basilicata), a conferma del fatto che persistono carenze nell’assistenza perinatale, neonatale e infantile che dovrebbero essere migliorate e che rappresentano un importante obiettivo di sanità pubblica. Disomogeneità e diseguaglianze si mantengono anche nel crescere, con tassi di allattamento esclusivo al seno lontani da quelli indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità proprio nelle regioni meridionali dove si nasce maggiormente e dove le vaccinazioni raccomandate sono spesso disattese (in alcuni distretti sanitari un terzo dei bambini non risulta essere vaccinato).
L’Italia è in ritardo anche per quanto riguarda la disponibilità di asili nido. Oggi solo 23 bambini su 100 trovano posto e solo tre regioni (Emilia Romagna, Toscana e Umbria) hanno le carte in regola per raggiungere l’obiettivo europeo del 33% entro il 2010 fissato a Lisbona. Il divario Nord-Sud si ripropone anche nei risultati scolastici dei bambini delle scuole primarie. I bambini italiani non hanno le stesse opportunità di apprendimento a seconda del territorio in cui vivono, e dell’estrazione sociale a cui appartengono, con un Sud svantaggiato e i bambini stranieri ancora più in difficoltà. Essere uno studente del Sud significa partire con circa un anno e mezzo di ritardo scolastico rispetto ad uno studente del Nord, indipendentemente dalle caratteristiche individuali e dalla scuola che frequenta. Nelle regioni meridionali un terzo dei quindicenni non raggiunge la soglia minima di competenze definita internazionalmente e l’abbandono dell’istruzione è elevato (il 20% non raggiunge un diploma di scuola superiore).
Diseguaglianze regionali che costringono ancora molti bambini del Sud bisognosi di cure alla migrazione ospedaliera, ad una precarietà occupazionale (quando cresciuti) sino a dieci volte superiore dei loro coetanei residenti al Nord.
Ma non sono solo i bambini del Sud ad avere queste difficoltà. C’è un mondo sommerso ancora indefinito che è rappresentato dai bambini stranieri che vivono in Italia.
Al 1° gennaio 2009 risultavano essere 862.453 i minori stranieri residenti a fronte delle 128.000 unità del 2001. In termini percentuali essi rappresentano il 22,3% della popolazione straniera complessiva, ovvero è minorenne uno straniero ogni cinque soggetti regolarmente iscritti in anagrafe. Le stime però sono approssimative, i dati ufficiali dei minori sono arrotondati per difetto a causa dell’invisibilità di questi ragazzini, soprattutto non accompagnati o figli di genitori irregolari. Ma cosa sappiamo di questi minori stranieri riguardo allo stato di salute e all’accesso alle cure? Purtroppo ben poco perché non sono di fatto disponibili dati accurati e le poche indagini effettuate non sono in grado di mettere in luce i principali aspetti problematici per fornire informazioni sui diritti all’assistenza sanitaria degli immigrati e per verificare che effettivamente le risorse e i servizi rispondano ai bisogni e alle necessità di questa popolazione debole. Da alcuni studi si sa che i neonati con genitori immigrati presentano frequenze maggiori di nascite pre-termine, basso peso rispetto ai neonati italiani e i tassi di natimortalità e di mortalità neonatale precoce sono superiori rispetto a quelli della popolazione italiana. I minori stranieri hanno differenti possibilità di accesso alle cure sanitarie a seconda della loro condizione giuridica e per questa ragione vivono in una condizione svantaggiata e di disuguaglianza nell’accesso alle cure e all’assistenza socio-sanitaria rispetto alla popolazione autoctona. Accedono con ritardo alle strutture sanitarie e fanno scarso uso del pediatra di libera scelta, utilizzano in maniera sproporzionata il pronto soccorso e il ricovero ospedaliero e in particolare i minori figli di genitori irregolari hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi sanitari. Questa forte presenza straniera di minori in Italia pone anche problemi riguardo all’accoglienza, l’integrazione scolastica, lo sfruttamento e il maltrattamento; di come questi bambini e questi ragazzi vivono e quanto i loro diritti siano garantiti nei diversi contesti: famiglia, scuola, reti sociali.
L’acuirsi delle diseguaglianze nella salute dell’infanzia tra le regioni italiane è la denuncia lanciata con il 2° Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, da 86 associazioni e istituzioni indipendenti (Gruppo CRC – Convention on the Rights of the Child).
Il 16,6% dei bambini (1.700.000) vive al di sotto della soglia di povertà (pari al 23% della popolazione povera) e risiede in gran parte al Sud o nei quartieri periferici delle grandi città. Nel corso dell’ultimo decennio poco è stato fatto e le “distanze” si sono accentuate. Bambini e adolescenti, quindi, sono ancora dimenticati. A testimonianza della disattenzione istituzionale per la condizione dell’infanzia basti ricordare che l’ultimo Piano Nazionale Infanzia approvato risale al periodo 2002-2004 e da allora non è stato più rinnovato. Si confidava nella presentazione del nuovo Piano nel corso della Conferenza Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, organizzata nello scorso novembre a Napoli dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali insieme alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e in collaborazione con la Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, ma ancora una volta è stata un’attesa vana.
I determinanti distali e prossimali della salute incidono sullo “star bene” dei bambini e di tutta la comunità e ne condizionano lo sviluppo presente e futuro. L’interesse per ridurre queste croniche inique differenze è quindi interesse di tutti e gli interventi non dovrebbero essere frazionati o mirati ad una sola fascia della popolazione, ma a tutta la comunità. La mancanza di un progetto e di un modello italiano di welfare per l’infanzia e l’adolescenza è una grave lacuna che accentua le diseguaglianze (locali, regionali, nazionali) nella salute. Le politiche per l’infanzia e l’adolescenza sono di competenza multiministeriale e necessitano di una programmazione condivisa e di un monitoraggio continuo e accurato della loro attuazione. Non dovrebbe essere più accettato che il rischio di nascere e non poter crescere sia triplo per i neonati di Cosenza rispetto a quelli di Udine e che questo perduri da lustri anche per l’indolenza istituzionale.