Siamo davvero sicuri di volere una HTA europea?

Incominciamo col dire che, se mai esistesse una scienza esatta, l’Health Technology Assessment (HTA) mai apparterrebbe a questa categoria. Le sue stesse definizioni hanno bordi sfumati e le stime delle valutazioni sono mutevoli in ragione della prospettiva, della scelta dei parametri di costo e di efficacia, della affidabilità dei dati spesso mimetizzata dalla referenzialità trasversale. L’HTA è giusto al servizio del portatore d’interesse che conduce la valutazione. Forse proprio per questo la stragrande maggioranza di pubblicazioni è sponsorizzata dagli stessi produttori di tecnologie sanitarie 1.
Ciò premesso, è opportuno iniziare con una riflessione propositiva: l’HTA europea avrebbe senso qualora ci si trovasse nella necessità di stabilire un prezzo massimo europeo, ipotesi dibattuta da anni e ritenuta finora irrealizzabile in ragione dei diversi servizi sanitari e, soprattutto, delle differenti risorse economiche dei 28 (a breve 27) paesi membri della comunità europea2.
Sempre in via ipotetica, questa opportunità sarebbe offerta sia dalle terapie genetiche, note come “one million shot” e destinate soprattutto al trattamento di malattie rare, che dai trattamenti immuno-oncologici personalizzati disponibili nei prossimi anni per un ampio ventaglio di neoplasie. Poiché il dilemma sulle implicazioni sociali e la loro sostenibilità è una questione transnazionale, che coinvolgerà anche le economie più floride, valutazioni economiche a livello europeo consentirebbero di fissare soglie di costi incrementali e, conseguentemente, di ottimizzare le capacità negoziali di ogni stato membro 3.
Per il resto, il proposito dell’Unione Europea di affrontare in modo sistematico le problematiche correlate all’attuazione di differenti e disomogenee procedure nazionali si pone concettualmente in contraddizione con le stesse basi metodologiche della HTA, che, appunto, prevedono stime differenti in relazione alle diverse prospettive e ai differenti orizzonti temporali. E i servizi sanitari europei non sono omogenei per risorse disponibili e offerta di prestazioni sanitarie.
Più comprensibile è la preoccupazione di Bruxelles di accelerare i tempi di accesso al mercato e di ridurre le incertezze dei business plan dei produttori4.
Tuttavia, la proposta della Commissione solleva alcune perplessità sui tempi e modi data la complessità delle procedure prefigurate, forse inevitabile in un contesto fortemente burocratizzato. Uno schema può aiutare a comprendere questa preoccupazione meglio di una approfondita disamina (figura 1). Tutto il processo è affidato dalla Commissione Europea a un Comitato di Coordinamento dove siedono i rappresentanti degli enti sanitari di ciascuno dei 28 stati membri. A sua volta questo Comitato è chiamato a nominare un numero imprecisato di sottogruppi di lavoro in ragione delle differenti tecnologie sanitarie (principalmente farmaci approvati dall’ European Medicines Agency – EMA e dispositivi medici). La figura 1 schematizza anche il processo per arrivare alla stesura delle valutazioni di efficacia relativa (Relative Effectiveness Assessments – REA), che il Comitato può approvare per maggioranza semplice prima di essere archiviato in una banca dati europea, a cui ogni stato membro avrebbe l’obbligo di fare riferimento.
Complessità a parte, l’obiettivo dichiarato di promuovere l’applicazione delle più innovative metodologie di valutazione merita di essere considerato con prudenza: a quali modelli decisionali innovativi si stanno riferendo?
La proposta in discussione si limita a indicare che ogni REA debba focalizzarsi sull’analisi di efficacia relativa, valutata in base a esiti sanitari che siano rilevanti secondo la prospettiva dei pazienti, accompagnata dalla stima del grado di certezza in base alle evidenze disponibili.



Nell’incertezza, è opportuno ricordare e ribadire che l’HTA è tanto più affidabile quanto più è basata su un solido confronto clinico nuova vs. tecnologia in uso. Come ha sottolineato Rita Banzi5, purtroppo sono troppo spesso carenti le evidenze di efficacia relativa su esiti importanti a sostegno del beneficio terapeutico incrementale clinicamente significativo, criterio chiave per ogni definizione onesta di innovazione.
In mancanza di questi dati, l’HTA scivola, o meglio, si dissolve nella nebbia delle stime e delle opinioni e si espone ai conflitti d’interesse. L’opinabilità e la sequenza infinita di discussioni che l’accompagnano sono un rischio concreto per le REA dei farmaci approvati dall’EMA, che (troppo) spesso approva i nuovi farmaci solo in base a dati di efficacia assoluta, anche ottenuti da studi non controllati in pochi pazienti trattati per breve tempo.
E allora, viene da commentare che la Commissione Europea dovrebbe in primo luogo rivalutare criticamente se in termini propedeutici non sia preferibile cogliere l’opportunità per stimolare da subito l’EMA a richiedere studi di confronto come parte integrante dei dossier registrativi almeno per quelle indicazioni dove sono già disponibili trattamenti alternativi.
Sebbene il progetto cooperativo EUnetHTA6, attivo dal 2009 e sponsorizzato dalla Comunità Europea, abbia coinvolto su base volontaristica oltre 80 istituzioni nazionali, – fra le quali, per l’Italia: Agenas, AIFA, le regioni Veneto ed Emilia-Romagna e il Policlinico Gemelli di Roma, – le esperienze di reale applicazione della HTA sono distribuite in modo disomogeneo nei 28 paesi della Comunità Europea. Premesso che le valutazioni economiche sono per lo più riservate ai farmaci e con minor frequenza ai dispositivi medici, a fronte di un ristretto gruppo di Stati dove da tempo le valutazioni economiche sono divenute parte integrante dei processi di rimborso, vi sono nazioni dove l’HTA è sostanzialmente rimasta nell’elenco dei buoni propositi e altre dove è agli albori. È stato evidenziato come una iniziativa europea potrebbe rappresentare per queste ultime un’opportunità per avviare o completare lo sviluppo strutturale della HTA. Al contrario, è altrettanto possibile che una centralizzazione potrebbe esercitare un effetto inibitorio, così come è accaduto per i processi regolatori dove le autorità nazionali di fatto dipendono da EMA e stanno progressivamente diluendo le proprie competenze.
La questione dell’obbligatorietà è motivo di profonda preoccupazione. Secondo la proposta della Commissione, gli stati membri non avrebbero facoltà di condurre valutazioni autonome su tecnologie già coperte da REA. Alcune agenzie nazionali, come il G-BA e l’IQWiG, rispettivamente il Federal Joint Committee e l’Institute for Quality and Efficiency in Health Care, hanno lamentato il rischio che le valutazioni europee non siano in grado di rispettare gli standard valutativi da tempo raggiunti in Germania. Un rischio importante considerando che le REA potrebbero essere approvate a maggioranza semplice e ognuno dei Paesi membri avrebbe un voto, indipendentemente dalla propria competenza nazionale. Si ripresenta così l’incognita dei conflitti d’interesse che diverrebbe concreta possibilità qualora davvero venisse offerta ai produttori di tecnologie sanitarie l’opportunità di finanziare l’HTA europea. Una evenienza sconsiderata che mina le fondamenta della proposta della Commissione Europea.
Certo ogni Stato membro manterrebbe la responsabilità di negoziare l’accesso della nuova tecnologia. È discutibile quanto questa autonomia sarà reale. Già oggi le autorità sanitarie nazionali sono sottoposte a pressioni politiche e sociali per accettare proposte di prezzi elevati a fronte di benefici clinici questionabili. È il caso di molti farmaci approvati con procedure accelerate. Immaginiamo cosa accadrebbe se queste tecnologie avessero ottenuto un parere favorevole, non contestabile, dalla HTA europea.
L’offerta di una consultazione scientifica (Joint Scientific Consultation) sullo sviluppo di una nuova tecnologia merita una conclusiva e positiva considerazione. Questa riedizione dell’attuale consultazione parallela EMA-EUnetHTA, se adeguatamente sostenuta e responsabilizzata, potrebbe avere il merito concreto di negoziare con il produttore il ruolo in terapia alla luce dei bisogni clinici insoddisfatti, i criteri primari per misurare l’efficacia e la soglia minima di beneficio clinico incrementale desiderabile. La traduzione di queste raccomandazioni in studi clinici appropriati potrebbe consentire un accesso accelerato al mercato europeo, favorendo i produttori di innovazioni terapeutiche.
La proposta della Commissione Europea merita una attenta e serena discussione, per identificare in primo luogo quali compiti possano essere affidati a una struttura europea in sinergia con le responsabilità proprie dei singoli stati. Senza fretta è indispensabile stabilire un percorso a medio termine che preveda la concomitante revisione delle linee guida per lo sviluppo di nuove tecnologie sanitarie con la richiesta di studi di efficacia relativa.
Così potrebbe essere utile.
Gianluigi Casadei
Dipartimento di Salute Pubblica
Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri IRCCS, Milano
gianluigi.casadei@guest.marionegri.it

BIBLIOGRAFIA
1. Garattini L, Koleva D, Casadei G. Modeling in pharmacoeconomic studies: funding sources and outcomes. Int J Technol Assess Health Care 2010; 26: 330-3.
2. Garattini L, Curto A, Freemantle N. Pharmaceutical price schemes in europe: time for a ‘continental’ one? Pharmacoeconomics 2016; 34: 423-6.
3. Casadei G. Terapia genetica e sostenibilità: programmare un cambio di paradigma. Ricerca&Pratica 2018; 34: 76-9.
4. Commission E. Strengthening EU cooperation beyond 2020 2018 [Available from: https://ec.europa.eu/health/technology_assessment/eu_cooperation_en.
5. Banzi R. La strada tortuosa verso l’HTA europeo.
Ricerca & Pratica 2018; 34: 257-62.
Anche http://politichedelfarmaco.it
6. EUnetHTA. European Network for Health Technology Assessment 2018 [Available from: https://www.eunethta.eu]